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Quando il disco “esce di casa”
Riflettori sull'ernia del disco. Intervista al dr. Vittorio Bernardi, specialista in Anestesia e Rianimazione e in Terapia del Dolore
Pubblicato il 11-11-2011
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Il guaio inizia quando un disco della nostra colonna vertebrale, che è una struttura collocata tra due vertebre, se ne va - per così dire - per conto suo. Fuoriesce cioè dalla “casa” che lo contiene e chiede spazio, comprimendole, alle strutture nervose circostanti.
E' il meccanismo alla base dell' “ernia del disco” o “ernia discale”: patologia diffusa che colpisce più frequentemente il tratto lombare della colonna vertebrale e che a sua volta è la causa più comune della lombosciatalgia cioè di una sindrome caratterizzata da “mal di schiena” con una tipica irradiazione del dolore a livello dell’arto inferiore.
Per saperne di più, ci rivolgiamo al dr. Vittorio Bernardi, specialista in Anestesia e Rianimazione e in Terapia del Dolore.

Il dr. Vittorio Bernardi
Dr. Bernardi che incidenza ha nella popolazione l'ernia del disco?
“Nei Paesi occidentali, la prevalenza nel corso della vita dell'ernia del disco lombare si attesta dall'1 al 4%. In Italia, secondo dati ISTAT, l'8,2% della popolazione ha riferito di essere colpito da lombosciatalgia.”
Che cos'è, in poche parole, l'ernia del disco?
“E' una patologia degenerativa del disco intervertebrale, con la fuoriuscita del disco dall'“anulus”, e cioè dall'anello che lo contiene. Il disco è una specie di cuscinetto che ha il ruolo di fare l'ammortizzatore tra una vertebra e l'altra.”
Per cui cosa succede una volta che il disco esce?
“Con la fuoriuscita del nucleo polposo del disco attraverso l'“anulus” che lo circonda, avviene la sua migrazione nel canale spinale. Tutto ciò va a comprimere - con diverse modalità - le strutture nervose e in particolare le radici nervose da cui prendono origine i nervi periferici. A seconda del segmento della colonna vertebrale interessato, si distinguono vari tipi di “radicolopatia”, e cioè di patologia delle radici nervose, che riguardano l'arto inferiore con diverse espressioni di tipo clinico.”
Con quali sintomi si manifesta il problema?
“L'espressione più tipica della patologia che interessa il tratto lombare della colonna vertebrale, è un quadro clinico caratterizzato da un mal di schiena, da una radicolopatia compressiva e da una limitazione o impotenza funzionale nell'attività motoria degli arti inferiori. Si distinguono anche due diversi tipi di dolore: il dolore “crurale”, o “cruralgia”, è un dolore che corre lungo la coscia, anteriormente, mentre quello “sciatico” è un dolore posteriore lungo tutta la gamba, fino al polpaccio o al piede.”
Quali sono invece i fattori di rischio?
“Età (picco fra 45 e 64 anni), sovrappeso, alta statura, fumo, stress, strenua attività fisica (attività lavorative che comportano il sollevamento manuale di carichi con flessione e associata torsione della colonna lombare), ma, paradossalmente, anche inattività o occupazioni sedentarie. Prolungata guida di automezzi pesanti con vibrazioni trasmesse a tutto il corpo.”
Su cosa si basa la diagnosi?
“La diagnosi si basa essenzialmente su una accurata visita medica che deve comprendere una meticolosa anamnesi, cioè la storia clinica del paziente, e uno scrupoloso esame obiettivo. La diagnosi strumentale fonda le sue basi su indagini radiologiche avanzate come la tomografia assiale computerizzata (TAC) o la risonanza magnetica nucleare (RMN). Questi esami vanno riservati, in prima battuta, solo a quei pazienti che all’esame clinico presentino deficit neurologici severi o progressivi. Gli altri pazienti vanno, invece, rassicurati sul decorso generalmente favorevole della patologia dopo circa un mese di trattamento conservativo. Se dopo tale periodo permane una sintomatologia severa, questi pazienti possono divenire candidati a interventi più “invasivi” e in questa ottica è giustificato il ricorso agli accertamenti radiologici avanzati.”
In cosa consistono i trattamenti conservativi?
“Prima di tutto il paziente dovrebbe ricevere una completa informazione non solo, come già accennato, sulla prognosi della malattia, ma anche sull’utilità di mantenersi attivo che si è dimostrata più efficace del riposo a letto nell’accelerare la guarigione. Una certo beneficio è dato anche dai trattamenti di fisioterapia e in particolare dalle manipolazioni spinali. I trattamenti conservativi sono sostanzialmente di tipo farmacologico e comprendono soprattutto farmaci analgesici. Possono trovare impiego, in casi particolari, anche farmaci indicati nel controllo del dolore neuropatico.
In casi selezionati lo specialista può fare ricorso alla terapia di tipo infiltrativo, fino ad arrivare ad una tecnica che sta al confine fra i trattamenti conservativi e quelli prettamente invasivi e, cioè, all’infiltrazione dello spazio peridurale con somministrazione di farmaci steroidi e/o anestetici locali.”
Quando si raccomanda il trattamento chirurgico?
“L’intervento chirurgico in urgenza si raccomanda in presenza di deficit neurologici severi e/o progressivi. Ad esempio nella sindrome della cauda equina dovuta alla compressione delle radici nervose lombo-sacrali, dove si assiste ad un quadro clinico caratterizzato da un’alterazione della funzione sfinterica con ritenzione/incontinenza urinaria e/o fecale, ipostenia (debolezza) degli arti inferiori e anestesia ”a sella” in regione perineale.
L'intervento chirurgico in elezione, va preso in considerazione anche quando sono presenti contemporaneamente i seguenti criteri: durata dei sintomi superiore alle sei settimane, dolore persistente e non rispondente al trattamento analgesico e fallimento di trattamenti conservativi bene impostati e adeguatamente condotti.”
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