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Stefania Zilio
Giornalista
Bassanonet.it
Biagio Antonacci chiude il Marostica Summer Festival
L’evento organizzato da DuePunti Eventi conferma l’ottima organizzazione e professionalità.
Pubblicato il 15-07-2023
Visto 4.153 volte
“Viviamo liberi stanotte, cerchiamo di non pensare, ma solo di sentire, solo sentire… “, e parte subito il primo brano “Sappi amore mio” come saluto alle 4000 persone che lo accolgono con un fragore pregno d’amore per il cantautore italiano.
A seguire senza interruzioni “Liberatemi” “Convivendo”.
“Vorrei che questo restasse nelle vostre teste come un incontro che si fa quando si prova gioia nello stare insieme.
Biagio Antonacci
I protagonisti siete voi che avete investito, che avete parcheggiato la macchina, che avete fatto sacrifici per esserci.
Noi cerchiamo di dare tutto e mi auguro che domani nessuno di voi abbia più voce perché vuol dire che tutto ha funzionato.”
Dopo queste parole sentite la connessione con il pubblico è cosa fatta e Biagio con la sua band intona “Se fosse per sempre”.
Un repertorio di brani che il pubblico conosce a menadito a dimostrazione che le sue canzoni fanno parte della storia, partendo dalle più vecchie come “Vivimi”, “Se io se lei”, “Ti penso raramente” fino a “Seria” e “Telenovela” per citarne solo alcune.
La carriera di Biagio Antonacci, anno 1963, inizia durante le superiori quando tra i libri per diventare geometra troneggia una batteria. Scrive canzoni e suona, una passione che cova senza mai smettere di crederci. Dopo la maturità si arruola nell’ Arma dei Carabinieri e finito il corso svolge il servizio a Garlasco. È il paese di Ron e Biagio vuole conoscerlo a tutti i costi. E fa bene perché Ron lo presenta al Gaetano Curreri, frontman degli Stadio e lo fa debuttare in apertura di un loro concerto. Non deve attendere molto Biagio per avere il suo primo contratto discografico con la PolyGram che arriva a 26 anni con la pubblicazione del suo album ”Sono cose che capitano”. Un anno dopo arriva “Liberatemi” e Biagio Antonacci diventa il Biagio Antonacci del pop italiano. Da qui il resto è storia.
Biagio Antonacci come promotore di molte manifestazioni a scopo benefico, il Biagio Antonacci titolare della Nazionale Italiana Cantanti, il marito e padre, sempre il poeta cantautore.
Si produce nel 1996 e interamente nel 1998 con il suo sesto album “Mi fai stare bene”. Le canzoni “Quanto tempo ancora” e “Iris” ottengono il successo sperato, il Premio Tour del Festivalbar 1999.
Un Biagio che scava nei sentimenti e analizza la vera rivoluzione: l’amore.
Ecco la nostra chiacchierata dove ci ha portato.
Ne è passato di tempo da quel lontano 1989, quando uscì il tuo primo album. Eppure, la ricerca e l’intensità delle parole delle tue canzoni non è variata. Che ricordi sono impressi di quel periodo.
I sogni. Ne avevo così tanti che mi piovevano addosso. Al tempo ero un cantautore che cercava di diventare famoso e che scriveva con amore le sue canzoni nella sua cameretta all’ottavo piano di un palazzo popolare della provincia di Milano. E che lavorava in cantiere. Da quell’anno c’è stata una grande rivoluzione.
“Seria”, ultima nata in casa Antonacci, anticipa l’arrivo di un nuovo album dopo più di due anni dall’uscita di “Chiaramente visibili dallo spazio”. Chi è “Seria”?
Ho scritto spesso degli umori e degli amori delle donne, fino ad arrivare a questo brano. È il desiderio di un uomo che attende la decisione di una donna. “Seria" appunto è una donna in continua ricerca, che non compromette mai la sua libertà, che si sente libera di portarsi anche solo un cuscino a casa del suo uomo.
In questi mesi ho pubblicato diversi brani. “Tridimensionale” “Seria”, “Telenovela” pezzi che entreranno nell’album che uscirà in settembre/ottobre, sicuramente prima della fine dell’anno. Me la sto prendendo con calma, perché voglio divertirmi.
Significa che prima non ti divertivi?
Vedi, un tempo si consegnavano i dischi quasi per dovere ovvero c’erano delle tempistiche da rispettare. Oggi sono molto più libero e quindi decido io quando divertirmi.
Se dovessero chiederti di descrivere l'evoluzione del tuo stile musicale nel corso degli anni, quali sono le prime parole che useresti?
Che ci si può perfezionare nel tempo, ma la testa che avevi da giovane non cambia.
Ogni artista ha una canzone del cuore, quella che, quando riascolta, muove qualcosa di profondo dentro. La tua qual è?
“Liberatemi” mi ha cambiato la vita perché mi ha reso indipendente dal lavoro, ho potuto fare solo musica. Senza “Liberatemi” probabilmente avrei continuato a fare il geometra, sognando di fare l’artista.
Il processo creativo è qualcosa di geniale. Arriva in momenti inaspettati, dispettosi, magari proprio quando non si hanno taccuino o penna per chiosare le parole. E il tuo quando arriva?
Non c’è un luogo, uno spazio e neppure una stagione per il processo creativo. Per me è un’ombra ed è proprio lì che trovo tutto quello che mi serve. Non ho altre spiegazioni, se non che la creatività è l’ombra che hai nella tua anima quando intorno a te splende il sole. Quella luce che io chiamo ispirazione.
Un tempo esistevano i miti, cantanti che bramavi di vedere con i tuoi occhi a un concerto. Oggi si è spianata la notorietà. I social network hanno distrutto il desiderio. Cosa ne pensi?
Purtroppo, sì. I social hanno tolto il mito. Hanno fatto diventare tutti di tutti. Mescolato la popolarità, che non esiste più. Ciò che conta sono i followers. Un tempo il mito passava attraverso il processo della creatività, oggi basta che nel tuo quartiere ti segua qualcuno e sei popolare. Greci docet. Per gli antichi greci il mito era un piacevole racconto strampalato e fantasioso considerato verità sacro, ma non certo reale. Oggi i miti stanno dentro questa scatola chiamata telefono e di loro sappiamo tutto. Sono rari coloro che si dosano, si gestiscono e sanno usare questo social in maniera creativa. È un grande limite.
C’è una canzone che cantata dal vivo ti connette profondamente con il tuo pubblico?
Sicuramente in questo periodo “Questo sono io”. La canzone che divido con il mio pubblico, ma anche “Se io Se Lei”, “Iris”, “Convivendo”. In verità ce ne sono parecchie. Scritte in periodi diversi ma molto simili tra loro. Quella famosa creatività che arriva senza avvertire e poi ti proietta nel tempo.
Marostica ti ospita in una delle scacchiere più belle al mondo. Tu giochi a scacchi?
Mi ha sempre affascinato il gioco degli scacchi, ma non so giocare. Non è un gioco che fa per me. Ci vuole troppa pazienza e ne ho poca. Sono un istintivo, uno che viaggia veloce, che ama la prestazione rapida. L’unico gioco che mi diverte è il poker, ma in modo sporadico.
Hai qualche consiglio per i giovani artisti che stanno cercando di emergere nel mondo della musica?
I giovani artisti devono “fare”. È anacronistico aspettare come facevamo noi, parlo della mia generazione. Oggi il tempo è un lusso che pochi, anzi pochissimi si possono permettere. Una canzone va subito registrata e pubblicata a casa, senza spendere soldi. Molti giovani si lasciano illudere da promesse vane, come entrare in una casa discografica o andare in qualche etichetta. Sono spesso promesse illusorie e deleterie visto che in fondo tutti possono essere pubblicati. L’unica cosa che consiglio è di lavorare molto dietro un progetto. Sfruttare YouTube, farsi conoscere tramite i social che, da questo punto di vista, aiutano a farsi conoscere senza essere intrappolati dalla filosofia discografica.
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