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Brassaï. L’occhio di Parigi

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it

G8

Dario and the City

Interviste in enoteca: Bassano del Grappa vista da Dario Bernardi, per 34 anni amministratore comunale e oggi affezionato “osservatore esterno” delle questioni della sua città. “A Bassano manca la politica”

Pubblicato il 25-05-2023
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Brassaï. L’occhio di Parigi

“Sono stato in via Matteotti per 34 anni.”
Così mi risponde Dario Bernardi quando gli chiedo per quanto tempo abbia svolto l’attività di amministratore comunale a Bassano, visto che - sinceramente - avevo perso il conto.
Bernardi detiene il primato di candidature a sindaco di Bassano, ruolo nel quale si è proposto agli elettori per ben tre volte. È stato anche tre volte assessore, con tre maggioranze del tutto diverse: la prima tutta di centro, espressione della DC, col sindaco Gianni Tasca; la seconda di centrodestra nel primo mandato del sindaco Gianpaolo Bizzotto e la terza col sindaco Stefano Cimatti, nella quale il PD era il partito principale.

Dario Bernardi (foto Alessandro Tich)

“Non mi ritengo un trasformista - precisa -, ma il portatore di uno stile che ha cercato di privilegiare l’amministrazione alla parte politica.”
Oggi Dario Bernardi è impegnato su un altro fronte, quello dell’assistenza socio sanitaria, nella sua veste professionale di direttore di Casa Gerosa.
Mentre a livello della politica comunale, dopo una carriera amministrativa di così lungo corso, da quasi cinque anni ormai è fuori dai giochi. Ha seduto ininterrottamente sui banchi della giunta e del consiglio comunale dal 1985 fino al 2019, l’anno di elezione dell’amministrazione Pavan. E proprio per il fatto di non essere più legato alla responsabilità di rappresentarla sul piano elettivo, voglio sapere da lui come vede oggi la città di Bassano del Grappa.
È lo spunto di questa nuova intervista in enoteca, la rubrica ospitata dall’enoteca Sant’Eusebio presso l’Hotel Alla Corte nell’omonima frazione di Bassano.

Dario Bernardi, lei da cinque anni è fuori dal Palazzo dopo averlo frequentato per 34 anni consecutivi. Per chi ha una così lunga esperienza in amministrazione, starne fuori è un “meritato riposo” o c’è sempre la voglia di seguire le cose che interessano l’amministrazione della città?
C’è una voglia di seguire sempre, anche perché Bassano l’abbiamo dentro al cuore. E per chi come me ha avuto la fortuna di fare questo servizio alla città, si è ancora più innamorati di Bassano. Poi devo anche esprimere ammirazione per tutti coloro che in ogni forma continuano a impegnarsi. Perché le situazioni sono state complicate precedentemente ma lo sono anche oggi. Do una lettura della complessità con cui si deve amministrare e pertanto esprimo veramente compiacimento e ammirazione per chiunque si impegni per la città.

Quanto è complessa Bassano?
Bassano è complessa ma è anche semplice. È complessa perché è anche a capo di un comprensorio e si interfacciano varie problematiche. È semplice perché, tutto sommato, c’è ancora una capacità della popolazione di riconoscersi comunità. E questo semplifica molto. Pensiamo solo al volontariato, alla capacità di aggregazione, al dinamismo culturale. La fatica è quella di incanalare queste forze attorno a degli obiettivi comuni. Forse la crisi di oggi è la difficoltà di riconoscere degli obiettivi comuni. Ogni società, anche la società bassanese, ha un capitale sociale. Io ho l’impressione che il nostro capitale sociale stia perdendo dei pezzi. E il primo pezzo che forse sta perdendo è riferito ai giovani.

Ovvero?
Il fatto che i nostri laureati non trovino più lavoro nel nostro territorio è un fatto scontato se pensiamo che il Veneto è la seconda Regione in Italia di emigrazione giovanile. Ma nello stesso tempo non vedo in città che questo sia un problema da dibattere. Sotto due aspetti. Il primo è il dato contingente che i giovani laureati se ne vanno. Il secondo è porsi la domanda di cosa possiamo fare come sistema per farli ritornare, se non altro in minima parte. Perché l’assenza di una generazione va a impoverire il capitale sociale della società bassanese.

Io mi occupo in maniera importante in questo portale delle questioni della politica amministrativa bassanese. Ma secondo lei oggi la città quanto è interessata a queste questioni?
La crisi della politica pesa molto anche a Bassano. A Bassano manca la politica. Non è che manchi l’impegno di chi attualmente dirige la città o fa parte del consiglio comunale. Manca una riflessione generale politica, che coinvolge non solo gli amministratori del Comune ma anche le organizzazioni generali che rappresentano gli interessi comuni: dalle categorie economiche ai sindacati, eccetera. Dobbiamo rigenerare il capitale sociale di Bassano a partire dalla politica che oggi manca.

Ma come si fa?
Si fa, secondo me, ponendo e sollecitando la ricerca di obiettivi comuni. Io mi ricordo che ogni volta che mi sono candidato a sindaco mi ero impegnato di convocare nei primi sei mesi dell’amministrazione gli stati generali della città. Perché non è il partito che vince che può avere tutte le soluzioni, ma il partito che vince deve essere il facilitatore di tutte le forze vitali della città per andare a condividere degli obiettivi comuni che vanno portati avanti. Quello che manca oggi. Poi oggi manca un’altra cosa: la formazione della classe dirigente. Sia a livello della responsabilità politica ma anche a livello delle altre rappresentanze di interessi comuni, c’è urgenza. Noi non possiamo, ogni cinque anni, ricominciare da capo. Però la continuità amministrativa è legata alla formazione. Credo che qualsiasi responsabile di una società debba porsi questo tema. E questo tema significa che a livello politico, dirigenziale, di rappresentanza di vari organismi, sia oggi indispensabile la formazione, che non c’è.
Dunque si arriva a svolgere un compito pubblico o un compito di rappresentanza per vie che sono diverse da quella della formazione.

Non da ex amministratore, ma da semplice cittadino che usufruisce dei suoi servizi e che la vive quotidianamente, come vede oggi la sua città?
Da cittadino vedo che la città è presente. Io vivo anche nel mondo socio sanitario e sicuramente il nostro welfare è un welfare che ancora dà delle risposte importanti. Però, più a livello di servizio, si affievolisce un po’ la partecipazione. E pertanto c’è la facile critica, c’è l’attendere e non c’è un coinvolgimento diretto della base ad affrontare, dibattere e partecipare alle soluzioni. È difficile dire il perché. Certamente usciamo anche da una stagione impensabile, che è quella della pandemia. Ma forse questo è un motivo in più per riappropriarci di spazi, di dibattiti, di confronti, perché solo da questo scaturiscono poi le migliori risposte.

Come vede invece Bassano in futuro?
Glielo dico così: domenica ho ripercorso la Superstrada Pedemontana Veneta. Per me è da cambiare nome: cioè dovremmo riuscire a chiamarla Superstrada Pedemontana Bassanese. Non per uno spirito egemonico di Bassano rispetto alla fascia dei 95 chilometri della Pedemontana. Ma perché quella è un’occasione in più che abbiamo per dare a questo territorio una centralità a livello regionale, per poi aprirsi a contesti più ampi, che oggi sta un po’ venendo meno. Lei pensi che già prima del 1970, quando sono state introdotte le Regioni, Bassano e Chioggia nella programmazione avevano la stessa dignità dei capoluoghi di Provincia del Veneto. Oggi non è così. Noi dobbiamo lavorare su questo. E su questo dobbiamo lavorare in termini innovativi. Io credo che, anche se la cosa potrebbe disturbare qualcuno, anche gli stessi confini comunali oggi vanno stretti. I Comuni di Valbrenta, di Pove, di Solagna, di Bassano dovrebbero essere un’entità unica. Bassano dovrebbe confinare col Trentino. Lì hai una capacità concorrenziale molto più elevata. Gli altri tentativi come la Grande Bassano, l’Area Urbana Pedemontana eccetera, sono tentativi significativi ma non sono quelle risposte istituzionali che un Comune più forte e unico potrebbe dare.

Ha voglia di tornare a impegnarsi pubblicamente o le va bene così?
Io credo che ci siano le stagioni. Io ho vissuto una stagione di forte impegno, che con un gruppo di amici mi ha portato anche a candidarmi tre volte a sindaco della città. Bisogna riconoscere che poi le stagioni cambiano, che non sempre siamo adeguati, eccetera. Ciò su cui invece mi impegno è, nel mio piccolo, di essere partecipe e attivo nelle forme che io posso oggi coltivare.

L’abbinamento del vino

Come ogni volta, dopo l’intervista spetta al patron dell’enoteca Sant’Eusebio Roberto Astuni associare un vino, in base alle caratteristiche, alla persona intervistata.
“Ho riflettuto molto perché Dario è un amico e ci conosciamo da tanti anni, visto che abbiamo fatto persino le scuole elementari assieme - afferma Astuni -. Comunque Dario è una persona molto moderata, quindi abbinare un vino moderato non è stato difficile. Però è anche una persona sorprendente, perché in tutte le varie fasi della sua vita politica è riuscito molto spesso a sorprendere un po’ tutti. E soprattutto, come il Gisla della cantina Ca’ da Roman che è in questo caso il vino che ho scelto, sa conquistarti proprio al primo sorso.”
“È un vino moderato - spiega ancora il manager dell’enoteca Sant’Eusebio -. Lo definiscono un “orange wine”. Sono dei vini che vengono messi a macerare con le bucce per qualche giorno a settimana e quindi prendono questo colore “orange” proprio per la buccia che rimane nel vino a macerare, in questo caso 24 ore a freddo. È un vino che si sposa bene con tutto, come Dario che è una persona ben vista dalle forze politiche e politicamente sta bene a destra, a sinistra e al centro.” “È un vino da aperitivo a tutto pasto - conclude Astuni -. Ca’ da Roman, che è la cantina di Maria Pia e Massimo Vallotto che lo produce, lo definisce un “easy orange”. E Dario è proprio una persona “easy”, nel senso di molto facile da prendere.”
Segue il rituale brindisi col Gisla, il vino prescelto, tra Roberto Astuni e Dario Bernardi “orange”. E arrivederci al prossimo G8. Che, lo ricordo ancora una volta, si legge “Gotto”.

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