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Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
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Enogastronomia

Livin' la Vida L'Oca

Al Mozart Bistrò di Bassano la Cena dell'Oca per San Martino. Nel segno della rivisitazione creativa dei sapori della tradizione. E “chi no magna l'oca a San Martin”...

Pubblicato il 14-11-2018
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Metti, una sera a cena al Mozart Bistrò in via Vittorelli nel cuore di Bassano.
E non una cena qualsiasi: ma la Cena dell'Oca. Organizzata in occasione di San Martino, domenica 11 novembre. Per chi può, è la classica serata da non perdere: se non altro per scaramanzia. Recita infatti un detto popolare veneto: “Chi no magna l'oca a San Martin, no ciapa el becco de un quattrin.” Nelle nostre campagne l'11 novembre coincideva infatti con la fine dell'anno lavorativo agricolo e il “non magnare l'oca” significava per i mezzadri che il padrone dei campi, in base alla resa del podere, non chiedeva di restare a lavorare anche l'anno dopo. Se invece decideva di rinnovare il contratto, i mezzadri potevano rientrare a casa per festeggiare con i prodotti di stagione. Non c'è che dire: volere è podere.
Ora i tempi sono cambiati, ma rimane l'usanza. Che nella città di Bassano, tuttavia, non può essere considerata una vera e propria tradizione gastronomica, diversamente da altre parti della nostra provincia e non solo. C'è però chi coglie, e non da oggi, l'“ocasione”.

L'oca in 'tecia' su letto di polenta e funghi chiodini, la più votata dai commensali

Ed è appunto il titolare del Mozart Paolo Marin, altresì noto come “Paolo Mozart” e da me già ribattezzato, in tempi non sospetti, Wolfgang Amadeus Paolo. Il quale non è nuovo a proposte del genere: quest'anno la Cena dell'Oca, ingranditasi e affinatasi col tempo, è giunta infatti alla sua quinta edizione. C'è anche il co-organizzatore, presentatore e gran maestro cerimoniere della serata: Luca Maria Chenet, professionista della comunicazione, sceso una volta tanto dalla bicicletta per far pedalare i ritmi e l'animazione dell'evento. Che in primo luogo - e ci mancherebbe altro - è un evento culinario, nel quale lo chef propone un menù, con un attento abbinamento dei vini e sempre diverso di anno in anno, le cui pietanze vengono sottoposte al giudizio dei commensali. Con tanto di scheda di votazione per ciascun tavolo, che per poter votare (ma anche per partecipare al gioco finale, di cui parlerò in seguito) deve darsi anche un nome. C'è chi ad esempio ha chiamato il gruppo del suo tavolo “I vegani astemi”, ma l'Oscar per il nome 2018, tra tutti i tavoli della giuria conviviale, va all'unanimità al quintetto ribattezzatosi “I 5 dell'oca selvaggia”.
Per quanto riguarda il menù, non c'è che l'imbarazzo della gola. Antipasti: “Speck d'oca con melograno su crostone caldo di pane nero”, abbinato nel bicchiere a un Cesarini Sforza Brut, e “Foie gras profumato all'aceto di lamponi su letto di misticanza e mele dorate”, coraggiosamente ma felicemente associato a un Dindarello. Primi piatti: “Tortelli ripieni d'oca con zucca e tartufo nero” e “Bigoli di pasta fresca con ragù d'oca al coltello”, entrambi accompagnati a un Lagrein Kettmeir. Secondo piatto (ma in realtà e il quinto): “Oca in “tecia” su letto di polenta e funghi chiodini”, accanto a sorsi di Cabernet Conte d'Attimis. C'è infine anche spazio per il “Dessert e vino a sorpresa”, ovviamente fuori oca: la “Crema fritta”, accostata ad un Moscato, che ripropone un must della cucina di casa di una volta, o se preferite della cucina delle nonne.
Ma non di solo palato vivono serate come questa. E - tra una portata e l'altra - ci pensa appunto Chenet a ravvivare la tradizione nel segno della ricorrenza dell'11 novembre, facendo innanzitutto recitare ai presenti, tutti in coro, la celebre poesia “San Martino” di Giosuè Carducci, di cui in realtà ci ricordiamo più o meno solamente i primi quattro versi (La nebbia a gl'irti colli / piovigginando sale, / e sotto il maestrale / urla e biancheggia il mar). Ma grazie ai ripassi dell'ultimo momento e a Google sempre consultabile sullo smartphone in caso di amnesia, la “scolaresca” se la cava egregiamente.
E c'è inoltre, come già anticipato, anche il gioco finale, che altro non può essere che il gioco dell'oca. Dai vari tavoli i commensali gettano a turno i due dadi, e il gruppo che alla fine raggiunge il traguardo vince un bottiglione magnum di vino d'autore messo in palio da Paolo Mozart. Si riempiono altri bicchieri e alla fine una sorsata del premio, inevitabilmente, viene offerta dai vincitori anche a tutti gli altri partecipanti.
A proposito: qual è stato il piatto più votato dalla giuria conviviale?
Quest'anno si impone la corposa e gustosa “Oca in “tecia” su letto di polenta e funghi chiodini”, mentre sui due gradini più bassi del podio salgono rispettivamente la “Crema fritta” e i “Bigoli di pasta fresca con ragù d'oca al coltello”. L'epilogo di una serata che si è svolta nel segno non solo della rivisitazione creativa dei sapori della tradizione ma anche, nel senso più nobile del termine, del divertimento.
Insomma: “Livin' la Vida L'Oca”, come canterebbe, con un apostrofo in più, Ricky Martin.
E, con un cognome così, non potrebbe fare altrimenti.

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