Elvio RotondoElvio Rotondo
Contributor
Bassanonet.it

Geopolitica

Bosnia, sotto la cenere la brace arde ancora

Un paese tra politiche secessioniste e influenze esterne che tendono a destabilizzare l’area

Pubblicato il 21-10-2023
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I Balcani, fantastico crocevia di civiltà, dove vive un mosaico di popoli con diverse lingue e religioni, sono stati luoghi di violenti scontri tra popoli con aspri combattimenti, bombardamenti indiscriminati di città, villaggi, pulizia etnica e stupri di massa sistematici perpetrati da alcune forze in campo, soprattutto nella Bosnia-Erzegovina nel periodo 1992-1995.

Prima della disgregazione della Jugoslavia del 1991, i serbi erano il gruppo etnico più numeroso. Non vivevano solo nella Repubblica di Serbia, un gran numero di serbi viveva anche in Croazia (nel 1991 circa il 12% della popolazione croata era serba), in Bosnia-Erzegovina (più di un terzo della popolazione era serba) mentre in Kosovo la popolazione dominante era albanese.

Con l’invasione russa dell’Ucraina, i rischi di destabilizzazione per i Balcani occidentali crescono esponenzialmente, soprattutto lungo le faglie della tradizionale sfera di influenza del Cremlino nella regione.


La Bosnia-Erzegovina, una delle 6 repubbliche dell’ex Jugoslavia, è stata luogo di un’aspra guerra nel periodo 1992-95, costata la vita a oltre 100.000 persone. Terminata solo grazie all'assistenza della Comunità internazionale e della NATO, con la firma, a Parigi, degli accordi di Dayton. L'accordo divide il Paese in due entità federali: la Federazione di Bosnia ed Erzegovina (FBiH) e la Repubblica Serba (RS) e un'unità amministrativa autonoma sotto la sovranità della Bosnia, il Distretto di Brčko.

Da allora, si sono avvicendate diverse operazioni militari per l’implementazione e il mantenimento della pace con le missioni:
IFOR 1995-1996;
SFOR 1996- 2004;
Dal 2004 l'Unione Europea ha avviato l'operazione militare EUFOR ALTHEA.
Inizialmente l’Unione Europea aveva schierato una robusta forza militare (EUFOR) con gli stessi effettivi della SFOR (poco meno di 7.000 uomini) per garantire il continuo rispetto degli accordi di Dayton/Parigi e contribuire a un ambiente sicuro e protetto (SASE) in Bosnia.
Nel febbraio 2007, il livello delle truppe è stato ridotto a circa 1.600. In seguito all'attivazione della Forza di riserva intermedia EUFOR nel 2022, il livello delle truppe EUFOR è ora pari a circa 1.100 unità e la Forza si concentra principalmente sull'assistenza al governo della Bosnia-Erzegovina (BiH) nel mantenimento di un ambiente sicuro e sull'addestramento combinato con le sue forze armate.

Attualmente, EUFOR dispone di un battaglione multinazionale con una forza ridotta, ma in caso di necessità, forze di riserva da tutta Europa possono intervenire rapidamente per integrare le sue capacità. Dispone, inoltre, di altri mezzi che le consentono di operare in BiH, tra cui elicotteri e una squadra per lo smaltimento di esplosivi e ordigni (EOD). Ha una rete di 19 Liason and Observation Teams (LOT) in tutta la Bosnia, che mantengono i contatti con la comunità locale e aiutano a "tastare il polso" della situazione.
L'Italia ha partecipato a tutte le missioni militari che si sono avvicendate nei Balcani in relazione alle diverse crisi e nelle diverse aree.
All'interno dell’attuale Forza sono presenti un totale di 20 paesi tra Stati membri dell'UE e paesi non UE che contribuiscono con truppe, tra cui Albania, Austria, Bulgaria, Cile, Repubblica Ceca, Francia, Grecia, Ungheria, Irlanda, Italia, Polonia, Portogallo, Repubblica del Nord Macedonia, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svizzera, Turchia e Regno Unito.
Attualmente, la Bosnia fa parte del programma PfP (Partnership for Peace) della NATO.

La situazione nel paese non è delle migliori, lo scorso anno gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni al leader serbo-bosniaco, Milorad Dodik ("Blocco delle proprietà e sospensione dell'ingresso negli Stati Uniti che contribuiscono alla situazione destabilizzante nei Balcani occidentali"), accusandolo di corruzione e di minacciare la stabilità e l’integrità territoriale della Bosnia-Erzegovina. Sarebbe inoltre stato accusato di portare avanti politiche secessioniste e riforme in campo giuridico, amministrativo e militare allo scopo di aumentare i poteri della Repubblica Serba di Bosnia a scapito delle istituzioni centrali.
Dodik rimane un forte sostenitore della ricongiunzione con la Serbia considerandola madre patria, e in un’intervista da parte di InsideOver dichiara: “..Non siamo serbi bosniaci. Siamo serbi. Apparteniamo ad una nazione: la Serbia. La Serbia bosniaca fu costruita dall'Occidente durante l'impero austro-ungarico quando il popolo serbo era diviso. Esiste qualcosa di più naturale del voler essere uniti? Vorrei farti una domanda: perché la Germania è stata riunificata? I tedeschi ne avevano il diritto, noi serbi no. Perché?”
I Balcani rivestono una grande rilevanza strategica in quanto centro di una competizione serrata tra diversi attori internazionali desiderosi di acquisire posizioni preminenti al suo interno. Si incrociano le agende politiche e gli interessi economici di alcuni paesi come Russia, Cina, Turchia e le Monarchie del Golfo. Queste ultime due sfruttano il loro ascendente sulla popolazione visto che il 50% della popolazione bosniaca attuale è di fede islamica. La stabilità dei Balcani è fondamentale per la sicurezza dell’Europa stessa. In Bosnia come negli altri paesi dei Balcani occidentali c’è il perenne rischio che alcune micce inneschino vecchi conflitti in realtà mai sopiti.
Lo abbiamo visto in passato con le tensioni in Kosovo che hanno evidenziato gli stretti rapporti tra Serbia e Russia. Una linea di frattura che passa anche per i sentieri religiosi, ponendo in contrapposizione il cristianesimo ortodosso con le confessioni islamiche, in un territorio che da sempre è un crocevia di popoli e cultura. D’altra parte, non si può fare a meno di notare come anche l’influenza turca in Kosovo faccia progressi. Pristina ha acquistato un lotto di droni Bayraktar di fabbricazione turca, in un momento in cui deve affrontare disordini nel nord del paese, dove l'etnia serba si rifiuta di riconoscere le autorità di Pristina. Il Kosovo ufficialmente non ha forze militari ma solo di sicurezza. Inoltre il comando di KFOR (forza militare della NATO in Kosovo) è passato per la prima volta alla Turchia. Con 600 militari assegnati alla missione NATO, la Turchia è al secondo posto tra i 27 Paesi che contribuiscono alla forza KFOR.

Il fascino della "slavità" nei paesi con popolazioni prevalentemente slave come la Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina offre alla Russia la possibilità di esercitare una soft-power in settori quali l'istruzione, la cultura e la religione. Infatti, Mosca gestisce anche un centro culturale dinamico presso l'Università di Banja Luka attraverso la Fondazione Russkiy Mir, sponsorizzata dallo Stato.

Tra i molti rancori e animi non proprio placati ci sono segnali che fanno pensare che non sarà facile giungere ad una armonia tra le varie parti in Bosnia. Ne sono un esempio i libri di testo di storia destinati agli studenti delle scuole secondarie della Bosnia-Erzegovina, che forniscono resoconti diversi di ciò che accadde durante la guerra in Bosnia degli anni ’90 a seconda del gruppo etnico, rafforzando ulteriormente le divisioni attraverso l’istruzione dei bambini. Tra le molte differenze ci sarebbero i massacri di Srebrenica, avvenuti nel 1995, citati da una parte e ignorati dall’altra. In genere le parti adottano un approccio diverso nei confronti del conflitto bosniaco degli anni '90, concentrandosi sulle vittime di guerra del proprio gruppo etnico mentre tendono a sminuire o ignorare il numero delle vittime di altri gruppi etnici.
Al momento lo strumento più forte dell'Occidente per stabilizzare e integrare la regione, è la promessa di adesione all'UE, ma restano, comunque, le preoccupazioni per alcune influenze nei Balcani occidentali, area ancora segnata dalle guerre etniche degli anni passati, soprattutto dopo l'invasione dell'Ucraina.
Il processo di adesione della Bosnia Erzegovina all’UE ha ufficialmente preso avvio nel 2008 con la firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione. Ha presentato domanda di adesione all'UE nel febbraio 2016 e ha ottenuto lo status di paese candidato il 15 dicembre 2022, nonostante le critiche al modo in cui viene gestita la nazione balcanica. Naturalmente a condizione che il paese adotti le misure raccomandate per rafforzare lo Stato di diritto, la lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata, la gestione della migrazione e i diritti fondamentali.
Attualmente si ha la sensazione che la strada di Sarajevo verso la UE sia lunga e tutta in salita. Alla fine del mese di agosto scorso, il presidente della Repubblica Serba di Bosnia, Milorad Dodik, aveva scritto su Twitter che avrebbe proposto l'adesione della Bosnia ai BRICS (Raggruppamento delle economie mondiali emergenti formato da Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa), sostenendo che sarebbe stato più rapido che tentare di aderire all'UE.

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