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Alessandro Tich
Direttore Responsabile
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Giù la maschera
Quello che ho imparato dagli avvocati di Bassano: considerazioni a margine dell'incessante protesta delle toghe cittadine contro la soppressione del Tribunale
Pubblicato il 19-09-2013
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Se siete curiosi, ma se avete anche una dose di sano autolesionismo, andate sull'indice di Bassanonet e alla lettera “t” cliccate il tag “tribunale di bassano del grappa”. Troverete l'infinita sequela di articoli dedicati alla never ending story della morte annunciata del Tribunale e della Procura della Repubblica della nostra città.
Ma potrete anche constatare, scorrendo i vari titoli, che la mia opinione al riguardo - al di là del dovere di cronaca e del rispetto delle istituzioni e delle situazioni personali coinvolte - è sempre stata chiara e non è mai mutata: quella per la difesa dei presìdi di giustizia in città, per quanto sostenuta da sacrosante ragioni di comodità operativa, di efficienza “economica” e di lotta agli sprechi (nuova Cittadella della Giustizia) è stata ed è tuttora la grande ed esclusiva battaglia degli avvocati. A Bassano come in tutte le altre città dello Stivale che la riforma della geografia giudiziaria ha privato dei rispettivi palazzi di giustizia, tribunali ordinari o sezioni distaccate che siano.
“Devo dare atto di una cosa: gli avvocati non mollano l'osso - scrivevo in un altro mio editoriale esattamente un anno fa -. Sono abituati a farlo per lavoro, figurarsi adesso che è in gioco il destino del loro Tribunale, in realtà già segnato dal de profundis del governo Monti. Ma la classe forense bassanese è sempre lì, in prima linea: raccoglie firme, promuove incontri, organizza manifestazioni, lancia crociate, fa sentire il suo fiato sul collo di una classe politica locale che fino adesso, sul salvataggio del palazzo di giustizia di Bassano del Grappa, si è rivelata superficiale ed impotente.”
L'"avvocatessa mascherata", diventata ormai l'icona delle proteste per la soppressione del Tribunale di Bassano (foto Alessandro Tich)
“Quello delle toghe, da un punto di vista umano e professionale - scrivevo ancora in quell'articolo -, è un atteggiamento comprensibile: perché il Tribunale di Bassano, con il suo bilancio economico ampiamente in attivo, frutto dell'industria burocratica delle pene pecuniarie e ingiunzioni di pagamento, è una macchina di introiti anche per loro. E' giusto quindi che la categoria faccia spirito di corpo per difendere, in tutti i modi e con tutti i mezzi, i propri interessi. Ma non mi si venga a dire che la questione del Tribunale non faccia dormire la notte i comuni cittadini.”
E' passato un anno, è cambiato il governo, la situazione si è evoluta come ben sappiamo, ma loro sono sempre lì e continuano, nonostante tutto e tutti, a non mollare l'osso per far cambiare idea - sperando in una improvvisa illuminazione dei nostri rappresentanti politici locali - al ministro della Giustizia: e oltre alle toghe a lutto e ai lumini accesi per la dipartita della giustizia in città adesso si sono aggiunte anche le maschere bianche.
E esattamente come un anno fa, e come tristemente confermato alla manifestazione dello scorso luglio sul Ponte di Bassano, a fronte delle innumerevoli azioni e iniziative di protesta e di sensibilizzazione promosse dall'Ordine degli Avvocati di Bassano e dal comitato per la difesa del Tribunale e della Procura di Bassano, a sua volta composto in gran parte da avvocati, è sempre mancato all'appello quello che avrebbe dovuto essere il vero dominus della situazione: la cittadinanza.
Non mi soffermo qui, avendone già più volte scritto in passato, sui motivi del grande distacco dell'uomo della strada rispetto alle istanze, alle mobilitazioni e alle proteste dell'uomo della toga. Che per la prima volta ha chiesto all'uomo della strada - non più visto come cliente o come controparte in udienza - di fare squadra con lui e di alzare la voce assieme a lui per salvare “il Tribunale di tutti”. Trasformando la sede delle udienze civili e penali quasi in una sorta di bene comune, come l'acqua dei referendum.
E' vero che le conseguenze del trasferimento del Tribunale da Bassano a Vicenza si abbatteranno in primo luogo sui cittadini che con l'apparato giudiziario, per le ragioni più diverse, sono costretti a fare i conti (parcelle forensi comprese) o anche per un semplice certificato da ritirare. Ma sperare che la popolazione in generale si mobiliti per instaurare la santa alleanza con le carte bollate non è di questo mondo, tanto meno in questo particolare momento storico.
E se l'uomo della strada non è sceso in strada, non è stato certamente per mancanza o carenza di informazione: la vicenda del Tribunale e le iniziative promosse per il suo salvataggio - tra stampa quotidiana, tv locali e portali giornalistici on line - hanno goduto di un'esposizione mediatica senza precedenti e senza soluzione di continuità.
Devo tuttavia dare atto agli avvocati bassanesi di una ostinazione, di uno spirito di categoria e di una coerenza di azione davvero encomiabili.
Tutto quello che si poteva e si doveva fare per sostenere il mantenimento delle sedi giudiziarie in città - partita che a loro dire non è ancora persa -, loro lo hanno fatto.
Il consigliere dell'Ordine forense di Bassano avv. Luca Milano, intervenendo la settimana scorsa alla mesta cerimonia della chiusura della Procura della Repubblica in via Verci, ha rivelato che tra tutte le iniziative messe in campo e le continue e non ancora concluse trasferte al ministero della Giustizia e negli altri Palazzi del potere a Roma gli avvocati hanno speso di tasca propria, in questi due anni, tra gli 80 e i 90mila euro. Evidentemente - aggiungiamo noi - perché la posta economica in palio è molto più alta.
Ma lo stesso avv. Milano, nell'occasione, ha respinto il “messaggio distorto” che da alcuni fronti dell'opinione pubblica ha preso piede in questi stessi due anni di mobilitazione a sostegno del Tribunale: “Non è vero - ha detto - che la nostra è stata la battaglia di una casta, e il tempo ci darà ragione. In Italia siamo 260mila avvocati, come possiamo essere considerati una casta?”.
Dunque un campo di battaglia di tanti soldati, e non un orticello di pochi generali.
E riconoscendo alle toghe cittadine il fatto di aver difeso e di difendere ancora fino all'ultimo il loro ambiente di lavoro, affermo anche che dagli avvocati di Bassano ho imparato una cosa: quando il gioco vale la candela, non resta altro che mettersi in gioco. Poche volte, se non quasi mai, ho assistito a una così caparbia capacità di “stringersi a coorte” per tutelare il presente e il futuro di una categoria o di una corporazione professionale.
Difendere i propri interessi, del resto, è una cosa legittima: e in questo senso gli avvocati del Foro di Bassano del Grappa hanno dato, a modo loro, un esempio. Mettendoci inoltre - chiamando a raccolta le istituzioni nelle loro azioni di protesta, raccogliendo le firme in piazza, promuovendo incontri e dibattiti pubblici o sfilando nei tanti cortei - sempre la faccia.
Ora su quella faccia, simbolicamente, ci hanno messo una maschera bianca.
Un segnale di guerra o un segnale di resa?
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