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Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it

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United Colors of Zarpellon

Abbandonate dal 2018, prive di manutenzione, inghiottite dalla natura, in stato di degrado progressivo eppure ancora riconoscibili. Le Cave di Rubbio continuano a richiamare tanti visitatori

Pubblicato il 16-08-2024
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Ferragosto a Rubbio.
Per carità: non sarà come Natale a New York o Midnight in Paris, ma il panorama della pianura veneta che si gode da qui è spettacolare.
Dopo un po’ di anni ritorno a visitare la Cava Dipinta, con gli United Colors of Zarpellon, e le altre Cave di Rubbio che per quasi un trentennio hanno richiamato oltre mezzo milione di visitatori, da tutta Italia e da tutta Europa, confermati dalle firme e dai commenti sui libri delle presenze.

Foto Alessandro Tich

Per me - ma poi scoprirò con piacere che non è solo per me - è una sorta di pellegrinaggio, di viaggio sentimentale in uno dei luoghi più magici del nostro territorio e non solo.
L’ultima volta che me ne ero occupato è stato esattamente due anni fa, nell’agosto 2022. Avevo dato la notizia che l’area privata attigua alle Cave - con due rustici, 52.000 metri quadrati di pertinenze esterne tra terreni e boschi e comprendente la Cava Dipinta come “bene accessorio” - era stata messa in vendita da un’agenzia immobiliare di Bassano.
A seguito di quell’articolo avevo ricevuto una lunga lettera-memoriale di Toni Zarpellon, il grande artista novese che in reazione ad un periodo di crisi esistenziale aveva inventato lo scenario da fiaba delle Cave di Rubbio e che in quella lettera, a riguardo delle stesse, affermava: “Non mi rimane che assistere al loro destino.”
In quella occasione avevo anche scritto che l’operazione di compravendita della proprietà di Rubbio, in territorio comunale di Bassano del Grappa, apriva un possibile spiraglio di recupero e di rinnovata fruizione pubblica della Cava Dipinta.
Ma era più un auspicio che una concreta eventualità.

La nuova notizia, che risale a qualche mese dopo e che non ho mai avuto occasione di diffondere, è che l’area è stata acquisita da un nuovo proprietario.
La Cava Dipinta, la più iconica delle quattro Cave di Rubbio, non è stata recuperata e come ogni luogo lasciato a sé stesso oggi versa in uno stato di progressivo degrado.
Non ripeterò tutta la storia di questa creazione di arte rupestre unica nel suo genere, avendovi dedicato negli anni fior di articoli e di servizi televisivi.
Ne ricorderò soltanto l’Alfa e l’Omega.
Tutto ha avuto inizio nell’autunno del 1989.
Toni Zarpellon, in fuga dalle convenzioni e dalle ipocrisie della società contemporanea, trovava in questo posto isolato, nel lembo più estremo e ad alta quota del territorio del Comune di Bassano, il proprio eremo creativo.
Con il suo intervento, quattro cave di pietra calcarea dismesse diventavano così la Cava Dipinta, la Cava Abitata, la Cava Laboratorio e la Cava dell’Immaginazione.
E tutto ha avuto fine nel gennaio del 2018.
Dopo 29 anni di cura e restauro pittorico costante delle sue “creature”, Zarpellon ha rinunciato definitivamente ad occuparsi dell’area da lui stesso trasformata, sfibrato dall’incessante impegno di manutenzione della zona artistica e di ripristino dai continui vandalismi.
Erano i titoli di coda di uno dei più bei film mai trasmessi a Bassano.

A Rubbio a Ferragosto ci sono ovviamente molte persone.
Villeggianti, escursionisti, turisti di malga, famiglie in gita.
E scopro appunto con piacere che più di qualcuno, come me, scende a piedi la panoramica serpentina di via Molaghi, stradina privata laterale di via Monte Caina, per raggiungere poche decine di metri più in là il sito delle Cave in mezzo al bosco.
Passano gli anni, cambiano i tempi ma questa specie di museo a cielo aperto, per quanto oramai in disarmo, continua a richiamare ancora tanta gente.
All’imbocco del sentiero che da via Molaghi devia il viandante in direzione di quella che per un trentennio è stata un’autentica destinazione del turismo culturale, ci sono ancora i cartelli di legno con l’indicazione “Cave”, scritta con l’inconfondibile calligrafia a lettere maiuscole del loro autore.
Il percorso incomincia alla grande perché la prima delle quattro “sorelle” ad apparire agli occhi dei visitatori è proprio la Cava Dipinta.
Qui gli United Colors of Zarpellon hanno trasformato un anfiteatro di grigie rocce calcaree in un grande bestiario multicolore, con i massi trasfigurati e le pareti ridipinte in forme di animali e anche antropomorfe, lanciando un richiamo sul primordiale ritorno all’essenza della vita stessa in contrapposizione alle bestialità della civiltà dei consumi.

Io me la ricordo la Cava Dipinta, ai suoi tempi d’oro.
Era un’esplosione di colori vivaci, un festival di tinte in contrasto, una sassaiola di stimoli visivi.
Oggi è invece visibile ciò che ne rimane: gran parte di quel bestiario di pietra è ormai ricoperto dalla vegetazione che sta riconquistando i suoi spazi e, non essendoci più nessuno a curarne la manutenzione, i colori degli “abitanti” della Cava Dipinta ancora immuni dall’avanzata della boscaglia sono diventati sempre più stinti e slavati.
Il posto ha perso la sua energia originaria, ma non ancora il suo fascino.
Quando arrivo alla Cava Dipinta, dove negli anni ho portato chissà quante volte mia moglie e i miei figli, sul posto ci sono già prima una giovane coppia e poi una famiglia con madre, padre e figlio.
Il padre mostra al figlio, che è un ragazzino, quelle rocce dipinte così strane e particolari e dal trasporto con cui ne parla si capisce subito che anche per il genitore sono un bel ricordo di gioventù.
Cave di Rubbio Generations.

Non può essere tuttavia un pellegrinaggio degno di tale nome senza una visita di cortesia anche alle altre tre Cave zarpelloniane, ovvero a ciò che ne resta.
Non meno suggestiva di quella Dipinta, la Cava Abitata è un silenzioso urlo per la liberazione dai miti e dagli incubi della cosiddetta civiltà industriale e dei consumi.
Lo lanciano, idealmente, circa 150 ferri vecchi tra marmitte arrugginite e consunti serbatoi di autoveicoli, appesi alle pareti rocciose e tramutati dall'artista con tagli e fenditure in inquietanti teschi e scheletri che si struggono nel dolore esistenziale.
Sembrava che dovesse essere la prima cava destinata allo smantellamento ed invece quegli spettri di metallo sono ancora lì.
Anche qui però le piante spontanee stanno avanzando inesorabilmente e coprono già parzialmente la visione d’insieme che si godeva in origine.
Infine, le ultime due Cave di Rubbio oggi sono meno interessanti perché quasi totalmente conquistate dalla vegetazione che ne rende difficoltoso l’accesso.

La Cava dell’Immaginazione era stata concepita dal grande Toni, oggi 82enne, come tempio del puro pensiero creativo.
Priva di interventi dell’artista e quindi visibile tale e quale come scavo di pietra la fece, era un antro di roccia da riempire idealmente e solamente con i “graffiti” della nostra mente. Ora, soprattutto nel sentiero di accesso, la riempiono solamente le erbacce.
La Cava Laboratorio è stato invece il Teatro delle Cave di Rubbio.
Innanzitutto era un luogo aperto di sperimentazione in cui ogni visitatore, con colori e pennelli alla mano, poteva diventare partecipe e lasciare il proprio segno.
Ma qui, per anni, si sono tenuti anche spettacoli, rappresentazioni, reading letterari e animazioni teatrali per i bambini. Ne restano ora solamente il palcoscenico di roccia e qualche brandello di scenario dipinto alle pareti.
Terminato il mio piccolo viaggio sentimentale sulle tracce delle Cave che furono, risalgo quindi, ma non a riveder le stelle perché alle sette di sera c’è ancora un bel sole.
Nonostante il loro declino le Cave di Rubbio continuano ad essere un luogo magico ed è incredibile come ancora oggi, dopo averle frequentate in decine di occasioni negli ultimi tre decenni, ogni visita è sempre un’esperienza nuova.

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