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Alessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it
Special report
Profumo di Leandro
Dopo 300 giorni restituita alla comunità la Pala restaurata della Madonna del Rosario di Leandro Bassano, opera al centro dell’omonimo altare nel Duomo di Santa Maria in Colle
Pubblicato il 20-11-2022
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Leandro Bassano. Chi era costui?
In realtà non serve scomodare il don Abbondio manzoniano per capire che stiamo parlando di un artista conosciuto, ma non troppo.
“Colpa” del suo illustrissimo padre Jacopo Dal Ponte alias Jacopo Bassano, la cui fama nella storia dell’arte ha offuscato quella dei componenti della sua prolifica famiglia di pittori: suo padre Francesco Bassano “il Vecchio”, il fratello Giambattista e i suoi quattro figli Francesco “il Giovane”, Giambattista, Leandro (eccolo qua) e Gerolamo.
Il momento dello scoprimento della Pala restituita (foto Alessandro Tich)
Il buon Leandro Dal Ponte fu comunque un artista eminente dei suoi tempi.
Figlio maschio terzogenito del nostro Jacopo nazionale (che in tutto ebbe otto figli: cinque maschi, di cui uno mancato a pochi mesi, e tre femmine), fu avviato dal celebre padre alla pratica della pittura assieme ai suoi tre fratelli.
Ma, come apprendo dall’intervento della storica dell’arte Claudia Caramanna, solo due su quattro dei componenti della new generation dalpontiana si sono realmente distinti nel campo della pittura: Francesco “il Giovane” e appunto il già citato Leandro.
Negli anni ’90 del Cinquecento, dopo la morte del padre e del fratello Francesco, Leandro Bassano si trasferì a Venezia dove acquisì notorietà e clientela principalmente come ritrattista. In laguna fece carriera, grazie soprattutto al ritratto del doge Marino Grimani (eseguito nel 1596) che gli valse la nomina a cavaliere di San Marco.
Una sorta di “pass” per entrare nelle grazie dei committenti della Serenissima e per figurare nel gotha dei pittori veneziani dell’epoca. Fino alla sua morte, risalente proprio a quattrocento anni fa: 15 aprile 1622.
Quest’anno ricade pertanto il quattrocentesimo anniversario dalla sua scomparsa, totalmente offuscato - questa volta - dai fasti celebrativi del duecentesimo anniversario dalla morte di Antonio Canova. È il destino che purtroppo viene riservato agli eterni secondi.
Ma ecco che, come per incanto, il nome di Leandro Dal Ponte sale all’improvviso agli onori della cronaca. Grazie a una sua opera: la Pala della Madonna del Rosario - nota anche solo come Pala del Rosario o con la denominazione più dettagliata di Pala con Madonna del Rosario, Cristo risorto, angeli e regnanti -, dipinta post 1595 circa su una doppia tela ricucita sulla linea centrale, dalle imponenti dimensioni di 3,95 x 2,05 metri e collocata al centro dell’Altare del Rosario nel Duomo di Santa Maria in Colle a Bassano.
Il dipinto fu commissionato all’artista dalla Confraternita del Santo Rosario, in un momento storico successivo al Concilio di Trento (1545-1563) e soprattutto alla Battaglia di Lepanto (1571) in cui l’iconografia del potere clericale e del potere politico, correlati ai simboli del Cristianesimo, godette di un fortissimo impulso. E la Pala del Rosario ne rappresenta un tipico esempio.
Nella parte inferiore del dipinto sono mirabilmente ritratti in estasiato assembramento - uomini a sinistra, donne a destra - diversi grandi dignitari dell’epoca, Papa e Doge compresi. In mezzo al gruppo c’è anche un selfie di famiglia, coi ritratti realizzati da Leandro del fratello Francesco, del padre Jacopo e di sé stesso.
Mentre sulla parte superiore della grande tela si stagliano le figure del Cristo risorto e della Beata Vergine, accerchiati da una affollata corona di angeli.
Tutti motivi noti agli studiosi nell’arte, molto meno invece al cosiddetto grande pubblico.
Per la sua collocazione al centro dell’altare - non certamente ad altezza d’uomo ma anzi in posizione più elevata rispetto ai banchi della chiesa madre di Bassano - e soprattutto per le condizioni in cui versava il dipinto, “abbrunato” dall’usura del tempo, né i dettagli dell’opera né tantomeno i colori originari erano più visibili agli occhi contemporanei.
Da qui la necessità di eseguire un intervento di restauro. Facile a dirsi, meno facile a farsi, soprattutto per i costi e per i vari passaggi autorizzativi e operativi che un restauro del genere richiede.
Ma laddove non arrivano i mezzi per portare avanti progetti del genere, arriva Fulvio Bicego.
Il recupero della Pala del Rosario rientra nel quadro del restauro generale dell’Altare del Rosario che riconosce in Fulvio Bicego, l’uomo dei calendari a scopo benefico, il suo appassionato e indefesso promotore.
Tutto era iniziato nel 2020, l’anno del Covid e del 300simo anniversario della scomparsa di Orazio Marinali, col restauro finanziato dal Rotary Bassano Castelli della statua marinaliana, collocata ai piedi dell’altare, della Santa Caterina.
Poi, su impulso del gruppo degli “Amici di Orazio” è seguito il restauro della statua marinaliana del San Domenico di Guzmán. Fino a che, dopo aver reperito i necessari fondi da benefattori sensibili, non si è giunti al restauro completo di tutto il resto dell’altare: prima le altre quattro statue di Marinali (San Gioacchino, Sant’Anna e i due Angioletti) e la statua seicentesca della Madonna dello scultore tedesco Heinrich Meyring o Enrico Merengo e adesso la Pala della Madonna del Rosario di Leandro Dal Ponte.
In tutta questa serie di restituzioni Fulvio Bicego ha svolto il ruolo di collettore di energie, di promotore di crowfunding e di instancabile documentarista degli interventi, scattando migliaia di foto sul prima, il durante e il dopo dei restauri eseguiti.
Anche nel caso del dipinto l’intervento di recupero è stato affidato alla restauratrice Antonella Martinato, di Artemisia Restauro, e al suo team di specialisti.
La Pala è stata prelevata dall’altare lo scorso 24 gennaio e sabato 19 novembre, esattamente dopo 300 giorni, viene ufficialmente restituita alla comunità, con gli effetti speciali dei suoi colori originari, con una cerimonia in Duomo.
Duomo gremito in ogni ordine di posti, per usare un linguaggio da “Tutto il calcio minuto per minuto” dei tempi che furono, per la presentazione alla cittadinanza della Pala restituita.
È una cerimonia molto e volutamente Old Style: i discorsi di rito vengono intervallati dalle musiche antiche eseguite dal Gambe di Legno Consort, formazione strumentale (e per strumenti si intendono il flauto traversiere, il clavicembalo, la tiorba eccetera) diretta da Paolo Zuccheri. Tra le musiche eseguite, anche quelle del compositore bassanese seicentesco Domenico Freschi, altro illustre Carneade locale che nell’occasione riemerge all’attenzione dei posteri.
L’incontro civico nell’edificio sacro viene condotto dall’editore-amico di Orazio-amico di Leandro-presentatore-e altro ancora Andrea Minchio.
E come nella Pala dalpontiana, in questo che è il luogo originario della Chiesa bassanese sono presenti in prima fila anche i dignitari politici: sindaco Elena Pavan, assessore Giovannella Cabion, vicepresidente del consiglio regionale Nicola Finco.
Il programma dell’avvenimento è alquanto fitto e l’esigenza di far conciliare la suadente retorica della celebrazione restitutiva con i tempi limitati concessi agli interventi dei numerosi relatori non è impresa facile.
Don Andrea Guglielmi, arciprete abate di Santa Maria in Colle, trae spunto dalla Confraternita del Rosario che commissionò l’opera per auspicare che “il contatto tra le persone a livello morale, spirituale, sociale e culturale ricarichi in noi una sete di comunità a tutti i livelli”.
Nicola Finco benedice la cerimonia di restituzione come un’espressione “di identità” e indica nel promotore Bicego “un modello di cittadino di cui i giovani hanno bisogno”.
Nulla al confronto di quanto affermato dal sindaco Elena Pavan che riconosce a Bicego di aver realizzato nientemeno che “un miracolo laico”. Mentre l’assessore Giovannella Cabion esprime parole “di riconoscenza, di grande affetto e di condivisione”.
Al confronto Edmondo De Amicis, l’autore del libro “Cuore”, era un dilettante.
Quando arriva il suo turno, il plurinominato Fulvio Bicego ricorda come il recupero complessivo di tutto l’Altare del Rosario sia costato 57.000 euro, tutti coperti da contributi di benefattori. “Prima del restauro sulla Pala si vedevano 122 angeli, dopo il restauro se ne vedono 133 - rivela -. Sulla tela ci sono 133 angeli, 22 donne, 22 uomini, più la Trinità e la Madonna.” Sono i dettagli che riesci a scorgere quando segui da vicino un restauro minuto per minuto. E adesso FB, che non dorme sugli allori dell’opera compiuta, sta già pensando ai prossimi restauri di opere d’arte da sostenere in città.
La studiosa dell’arte Claudia Caramanna, illustrando la Pala e la figura di Leandro Bassano, auspica che la restituzione dell’opera, non tra le più studiate dell’artista, “dia la speranza di far rientrare la Pala negli studi bassaneschi”.
Ma l’aspetto più interessante di un restauro è sempre il suo “dietro le quinte”.
Lo raccontano Francesca Meneghetti, funzionaria della Soprintendenza Belle Arti che ha curato la direzione scientifica dell’intervento, e la restauratrice Antonella Martinato.
Ed è il racconto di un’opera d’arte che nonostante la patina del tempo da ripulire ha preservato i propri colori, ma che versava in condizioni problematiche nelle strutture di supporto, imponendo di “sfoderare” il retro del dipinto e di inserire una nuova tela di rinforzo. In dieci mesi di lavoro Antonella Martinato e i suoi collaboratori hanno avuto davvero a che fare: velinatura dell’opera, distacco della tela retrostante, pulitura di 40 toppe e delle macchie di mastice sul retro del dipinto, nuove cuciture e stiratura della tela, diagnostica ai raggi X e all’infrarosso a falsi colori, pulitura e infine ritocco.
Riuscendo, alla fine, a far tornare sul dipinto il profumo di Leandro.
Terminati i discorsi, arriva il momento clou della cerimonia.
Sull’altare maggiore del Duomo, l’opera restaurata e fino a questo momento ricoperta da un telone rosso viene finalmente svelata. Cade il drappo e la Pala del Rosario si presenta così, come non l’avevamo mai vista. Ai suoi due lati sono collocate anche le due tele lunghe e strette, opere seicentesche di scuola bassanesca, che raffigurano i quindici Misteri del Rosario, che erano posizionate ai lati dell’altare e che sono state pure sottoposte a un opportuno maquillage.
Si scatenano gli smartphone e le fotocamere dei presenti per immortalare il momento mentre il consort di musica antica sta ancora eseguendo, eroicamente, l’ultimo brano.
Prima di ritornare a suo posto al centro dell’Altare del Rosario, la Pala di Leandro rimarrà esposta, a disposizione del pubblico, sull’altare centrale. La si potrà ammirare “da vicino” tutti i giorni, fino al prossimo 4 dicembre.
Fino allora, il Duomo di Santa Maria in Colle sarà il nuovo PalaBassano.
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