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Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
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Fino a esaurimento scorte

Tutto esaurito e Castello degli Ezzelini blindato per la serata di Resistere con Roberto Saviano e Pietro Grasso in ricordo di Giovanni Falcone. Suicidio insegnante trans: Saviano accusa di “codardia” Elena Donazzan

Pubblicato il 19-06-2022
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L’assedio al Castello. Alle 20.30, 45 minuti prima dell’inizio della serata della rassegna letteraria Resistere con la star Roberto Saviano e l’ex magistrato e già presidente del Senato Pietro Grasso, una lunghissima fila di persone staziona fuori e nell’area interna del Castello degli Ezzelini in attesa di poter accedere nella sede dell’incontro.
L’ingresso è libero ma non può superare la capienza dei posti a sedere del Teatro all’aperto Tito Gobbi, dove di lì a poco lo scrittore noto in tutto il mondo per le sue inchieste sulla criminalità e il magistrato siciliano che fu giudice a latere nello storico maxiprocesso di Palermo contro Cosa Nostra avrebbero raccontato la figura di Falcone e pezzetti di storia di quella decisiva epoca della lotta contro la mafia, nel trentesimo anniversario della strage di Capaci.
La serata è inevitabilmente da tutto esaurito e prima che inizi l’incontro clou del programma 2022 della rassegna organizzata dalla Libreria Palazzo Roberti una delle tre Manfrotto Sisters, Lavinia, ha il suo bel daffare sul palcoscenico con il microfono aperto e il telefonino collegato coi suoi collaboratori agli ingressi per gestire in diretta le operazioni di riempimento degli ultimi posti a sedere disponibili, fino a esaurimento scorte.

Foto: Filippo Guerra

Ma le scorte, quelle vere, sono quelle che altrettanto inevitabilmente accompagnano i due protagonisti della serata, supportate da un cordone di sicurezza, discreto ma imponente, che blinda il Castello in ogni suo spazio. Ovunque agenti di polizia soprattutto in borghese, controlli agli ingressi coi metal detector palmari, uomini col distintivo confusi tra il pubblico.
Anche l’arrivo dei due illustri ospiti è nascosto agli occhi indiscreti fino all’ultimo, con un’auto scura e col lampeggiante acceso che entra dalla porta carrabile dell’arena teatrale e li porta direttamente ai piedi del palco, nel backstage invisibile dalla platea.
La loro imminente uscita è annunciata dall’apparizione ai due lati del palcoscenico dei gorilla armati della scorta, che ivi stazioneranno immobili per tutta la durata della serata, pronti a tutto. Nel dare finalmente il via all’atteso incontro, Lavinia Manfrotto ringrazia per primi gli uomini delle forze dell’ordine per il loro servizio di sicurezza.
Poi esprime il suo ringraziamento agli uomini delle scorte “che rendono possibile la presenza dei due grandi ospiti qui stasera” e, nel dirlo, la voce le si spezza dalla commozione.
Applauso generale. Seguito dall’ovazione per l’ingresso sul palco di Saviano Superstar assieme a Pietro Grasso e al giornalista ed ex direttore de la Repubblica Mario Calabresi - che per la cronaca è figlio del commissario Luigi Calabresi, assassinato da un commando negli anni di piombo - che ha il compito di intervistarli.

Entrambi i famosi relatori, nel trentesimo anniversario della sua morte, hanno motivo di ricordare Giovanni Falcone.
Roberto Saviano ha dato alle stampe il suo ultimo libro “Solo è il coraggio”.
Sottotitolo: “Giovanni Falcone, il romanzo”. Descrizione affidata alla casa editrice: “Questa è la storia di un uomo che resiste, che prova a fare la differenza, che non voleva essere un martire né un eroe.” “È il racconto della complessità di una stagione”, spiega Saviano al pubblico bassanese. Nel romanzo l’autore analizza molte testimonianze e documenti, inclusi gli atti ufficiali dei diversi processi che succedettero alla strage di Capaci, ricostruendo la vicenda in primis umana del coraggioso magistrato che, nel pieno e al culmine della carriera, fu in realtà al culmine del suo isolamento.
Pietro Grasso, che fu amico e lavorò al fianco di Falcone, ha scritto invece il libro “Il mio amico Giovanni”, primariamente destinato ai giovani, nel quale non solo vengono ricordate le tante battaglie del giudice simbolo della lotta alla mafia, ma viene anche reso noto il suo sconosciuto lato privato. “Diversamente da Paolo Borsellino - racconta a Bassano l’ex procuratore capo di Palermo ed ex procuratore nazionale antimafia -, Giovanni in pubblico era una persona distaccata, che sembrava non voler dare confidenza a nessuno. Ma mi spiegava il perché: “A Palermo non sai mai chi ti cammina davanti e chi ti cammina dietro”. Con gli amici era invece una persona divertente, spassosa. Faceva sempre battute, anche sui rischi della sua attività contro la mafia. Una volta davanti al tribunale era parcheggiato un furgone dell’Avis con la scritta “Date il vostro sangue” e lui mi ha detto: “Ma ci vengono a sfottere pure davanti al palazzo di giustizia?”.” “Ecco - rimarca Grasso -, questa è l’immagine di Giovanni Falcone che voglio tramandare alle nuove generazioni.”
Di Falcone Saviano sottolinea invece “il coraggio della prudenza, dello spirito di servizio e della disciplina” e l’intelligenza investigativa, culminata in quel maxiprocesso di Palermo che portò alla sbarra 475 imputati tra capimafia, “colonnelli” e gregari, con 19 ergastoli e 2265 anni di carcere comminati, che confermò la tesi di Giovanni Falcone dell’organizzazione unitaria e verticistica di Cosa Nostra e che secondo lo scrittore ha rappresentato il punto di svolta a livello mondiale del modo di procedere contro la criminalità organizzata.

È impossibile, ovviamente, citare in un unico articolo tutte le cose che vengono dette in un’ora e un quarto di conversazione all’appuntamento top di Resistere.
Ci sono persino - e chi lo avrebbe mai detto - dei momenti divertenti: accade quando Pietro Grasso rievoca alcuni episodi del “dietro le quinte” del maxiprocesso degni, pur nella gravità giudiziaria della situazione, della sceneggiatura di un film della commedia all’italiana.
Come quando la corte fu invitata dai carabinieri a non entrare in aula perché nessuno degli imputati, che mangiavano il pranzo dietro alle sbarre di sicurezza, aveva mangiato i mandarini e si temeva un bombardamento di agrumi all’entrata dei giudici.
“Ci fu permesso di entrare dopo che i carabinieri avevano obbligato gli imputati a mangiare tutti i mandarini, fino all’ultimo.”
Ma in occasione del maxiprocesso venne anche ucciso per strada un bambino di 11 anni, Claudio Domino, i cui genitori avevano in appalto il servizio di pulizie dell’aula bunker dell’Ucciardone e la cui morte fino ad oggi è rimasta senza verità.
Grasso ricorda le parole al maxiprocesso di Giovanni Bontate, uno degli imputati “eccellenti”, che in aula alzò la mano per chiedere di parlare e, riguardo all’omicidio del piccolo, dichiarò che “noi queste cose non le facciamo”. Usando il “noi” per la prima volta, sottolinea Grasso, Bontate ammise così l’esistenza di Cosa Nostra come organizzazione criminale, fino a quel momento sempre negata.
Il conduttore Calabresi stimola i due ospiti anche su argomenti generici ma impegnativi come la paura o l’indifferenza, a cui ciascuno dei relatori, in base alla propria esperienza, dà la propria interpretazione. Riguardo alla paura, l’ex magistrato racconta di quella volta che rientrò a casa e sua moglie, indicando il citofono, gli disse che qualcuno aveva suonato dicendo “Tuo figlio sappiamo quando esce di casa, ma non si sa se ritornerà”.
Suo figlio era appenda uscito per andare in palestra e il procuratore mandò la scorta a controllare se tutto fosse a posto. “Non era successo nulla, era probabilmente un modo per metterci alla prova - afferma Grasso -. D’accordo con mia moglie, che come insegnante era impegnata sul tema della legalità, abbiamo deciso di fare finta di niente. Non potevamo mandare a scuola sotto scorta nostro figlio, impedirgli di andare in motorino, rovinargli gli anni della gioventù. C’era la paura, ma anche la consapevolezza di poterla affrontare.”
Mentre Roberto Saviano, sulla scia della sua vita sotto scorta, afferma che “la paura, diversamente dalla codardia, è alleata del coraggio”.
Ed è a questo punto che l’autore di Gomorra offre una perla inaspettata al blocchetto degli appunti del vostro umile cronista.
Lo scrittore punta il dito sul caso accaduto nel Veneto dell’insegnante trans Cloe Bianco, suicidatasi nei giorni scorsi. Come informano le cronache che consulto subito dopo la serata di Resistere, dopo il suicidio della professoressa transgender l’assessore regionale all’Istruzione Elena Donazzan, in un’intervista a Radio24, l’ha etichettata, come già fatto in passato, come “un uomo vestito da donna” aggiungendo che “dire che si è omosessuali è una affermazione, ma presentarsi in classe, perché questo accadde, con una parrucca bionda, un seno finto, una minigonna e i tacchi è un'altra cosa”.
Fine della parentesi di cronaca. Torniamo sul palco del Castello.
“Dopo quello che ha detto - dichiara testualmente Saviano - la Donezzan...Donazzan…non ha dato le dimissioni. Ecco, quella è codardia.”

Non c’è che dire: Roberto Saviano è sempre uguale a sé stesso, nei ritmi cadenzati del discorso, nelle espressioni del viso e nella gestualità, nel piglio imbronciato e nelle frasi ad effetto, fedele a quell’icona mediatica che ne alimenta il carisma.
La piacevole sorpresa della serata è Pietro Grasso, Piero per gli amici, annunciato quasi come una “spalla” al celebrato scrittore e capace invece di conquistare l’empatia del pubblico con una inattesa brillantezza da oratore, portato persino ai motti di spirito.
Il finale dell’incontro è tutto suo, quando Mario Calabresi gli chiede “se ha ancora quell’oggetto che porta sempre con lui”.
Certo che ce l’ha, e Grasso lo tira fuori dalla tasca: è un accendino d’argento, con accensione a rotellina.
“Questo accendino - rivela - me lo ha dato Giovanni Falcone, in un viaggio di ritorno in aereo da Roma a Palermo. Giovanni mi aveva detto: “Piero, tieni questo accendino, ma non è un regalo. Te lo do perché ho smesso di fumare e me lo devi tenere. Sappi che se riprenderò a fumare me lo dovrai restituire. Mi fido di te.” Questo avveniva due settimane prima della strage di Capaci. Da quel momento questo accendino ha sempre accompagnato la mia vita. In tutti i momenti di difficoltà lo tiravo fuori e lo accendevo.”
L’accendino funziona ancora perfettamente perché Pietro Grasso ha avuto sempre cura di tenerlo efficiente. L’ex magistrato lo accende anche sul palco dell’incontro di Bassano e afferma: “In questa fiamma io vedo la scintilla degli occhi di Giovanni ma anche la sua intelligenza, la sua forza e la sua determinazione nel portare avanti le sue idee.”
Applauso generale, fine dell’incontro, le sorelle Manfrotto omaggiano agli ospiti delle penne Montegrappa, si chiude il sipario che non c’è e si formano in un attimo altre due lunghissime file al centro e su un lato dell’arena per il prolungato e paziente rito del firmacopie dei due libri sul palco da parte dei due autori.
Per l’occasione Saviano e Grasso si mettono la mascherina, la polizia filtra nuovamente gli accessi, le guardie del corpo sempre all’erta sovrintendono all’operazione e si procede in successione alla firma delle dediche e degli autografi.
Anche in questo caso, fino a esaurimento scorte.

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