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Alessandro TichAlessandro Tich
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Roberto bolle

Bassano “città di montagna”. Parla l’albergatore Roberto Astuni: “Una persona voleva prenotare una settimana bianca a Bassano”. Poi allarga il tiro: “Il turismo fa paura a chi vuole controllarlo dall’alto”

Pubblicato il 07-06-2022
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Ben ritornati a San Martino di Castrozza.
Il mio editoriale di ieri “Lassù sulle montagne”, che ha preso di mira la falsa immagine turistica di Bassano del Grappa come “città di montagna”, ha inevitabilmente animato l’eterno dibattito sul turismo a Bassano e nel territorio.
Ed è stato lo spunto di un non programmato incontro-intervista con Roberto Astuni, noto albergatore e già presidente degli Albergatori di Bassano, che mancava da tempo nelle pagine di attualità del nostro portale.

Roberto Astuni (foto Alessandro Tich)

Astuni è uno dei “Tre Tenori”, come li battezzai nell’ormai lontano gennaio del 2014, promotori del Tavolo di Marketing Territoriale Territori del Brenta, poi evolutosi nel mai compiuto progetto per l’istituzione del Marchio d’Area.
Nel frattempo, col passare degli anni e con l’accertata impossibilità di far decollare l’iniziativa, due Tenori su tre hanno tirato i remi in barca.
Roberto Astuni segue esclusivamente l’attività del suo Hotel Alla Corte a Sant’Eusebio, di cui è il general manager.
L’architetto Massimo Vallotto è totalmente preso dalla realizzazione di Ca’ Apollonio Heritage a Romano d’Ezzelino, il resort vitivinicolo di prossima apertura che sarà rivolto alla fascia alta della clientela turistica ed enogastronomica.
L’unico a non mollare la presa è stato Andrea Cunico Jegary, che continua a perorare la causa del Marchio d’Area come componente del direttivo dei Territori del Brenta.
Tuttavia, pur non facendo più parte formalmente del progetto, Astuni rimane un fermo assertore dei princìpi che a loro tempo portarono alla nascita del Tavolo di Marketing Territoriale e proprio le considerazioni espresse nel mio articolo di ieri gli hanno fornito l’ispirazione per mettere gli ennesimi puntini sulle “i”. Si vede che sono argomenti sui quali freme ancora per dire la sua. Roberto bolle.

Roberto Astuni, lei mi dice che la lettura del mio editoriale di ieri “Lassù sulle montagne” ha generato una curiosa coincidenza. Qual è?
La coincidenza è veramente molto particolare perché prima di leggere l’articolo ero a tavola con un amico e in quel momento è arrivata mia moglie che mi fa: “Vuoi ridere? Ha appena chiamato uno che voleva prenotare qualche giorno a Bassano perché amava fare le camminate in alta montagna. Io gli ho risposto che noi le montagne le vediamo col cannocchiale.” A questo si aggiunge, come raccontavo al mio amico, che qualche mese fa ha chiamato un signore per prenotare una settimana bianca a Bassano. Fatalità, dopo qualche minuto io come sempre, finito il servizio, mi leggo la posta, i messaggi e vado a leggere anche qualche articolo di Bassanonet e vedo il suo editoriale. E ho pensato: “Caspita, Tich ancora una volta mi ha letto nel pensiero”.

Ma è vero che qualche tempo fa sono arrivate persone qui nel suo hotel che erano equipaggiate come se dovessero andare sulle Dolomiti?
Questo è un fatto successo diversi anni fa, ma succede spesso. Due ragazze arrivate dalla Sicilia per fare le stagiste, si sono presentate vestite come Totò nella famosa scena della stazione a Milano, che sembrava dovesse andare al Polo Nord. Però facevo anche la riflessione che noi effettivamente siamo percepiti come la parte più bassa del Trentino. Quindi è naturale essere percepiti come una città di montagna. Inoltre i comportamenti degli ultimi anni, e parlo della comunicazione che c’è stata, riguardano sempre questa sfera della montagna: la guerra, il Monte Grappa, gli Alpini e quindi ancora guerra, il Ponte eccetera. Quindi non stiamo comunicando invece quello che oggi è il nostro territorio, cioè un territorio dove si possono fare ad esempio tantissime attività outdoor che oggi rappresentano una fetta importante per l’economia turistica bassanese e non solo.

Perché non riusciamo a comunicarlo o lo comunichiamo male?
Non è che lo comunichiamo male, non lo comunichiamo proprio. Per fare questo ci vogliono delle regole e delle azioni ben precise. Oggi tutto il mondo del turismo, oltre ai cambiamenti degli ultimi anni legati alla sostenibilità, parla sempre più - e so che è una cosa che ormai avrete sentito all’inverosimile - dell’attrattività. L’attrattività di una destinazione è semplicemente il risultato dei comportamenti di tutta la comunità residente. Noi dobbiamo mirare ad elevare questa attrattività, quindi la reputazione del territorio, rispetto a quella degli altri. Noi abbiamo proposto tanti anni fa un percorso da fare che era quello del Marchio d’Area, che non è stato suggerito da noi, cosiddetti “Tre Tenori”, ma noi ci siamo scrupolosamente attenuti alle leggi regionali e alle regole comunitarie. Tutti gli altri Marchi d’Area stanno lavorando su questa piattaforma, che è l’unica riconosciuta.

E allora il problema qual è?
Il turismo è semplicemente la restituzione delle parole “cultura” e “ambiente” e quindi dobbiamo partire da un concetto primario: la nostra identità, che è alla base di tutto per come vogliamo essere percepiti. Se non c’è identità - lo dice anche Annibale Salsa che è un formatore della Tourism School of Management di Trento - conviene stare assolutamente fermi. Noi invece lo stiamo facendo, ma in modo sbagliato. Un altro grosso problema, ed è un problema di legge, è che nessuno ha fissato delle regole e paletti per la governance del turismo. Quindi tutti si sentono deputati al ruolo di decisori e ostacolano il processo perché questo li riporterebbe ai loro ruoli. Senza far polemiche di nessun tipo, sto parlando della parte pubblica e di quella che dovrebbe essere la parte privata e cioè le associazioni di categoria. Le amministrazioni, lo dice la parola stessa, dovrebbero amministrare e le associazioni di categoria dovrebbero portare avanti le istanze sindacali degli associati. Poi c’è un altro equivoco grandissimo che riguarda proprio i politici.

Ovvero?
Queste persone, prive di formazione ma anche perché non è il loro lavoro, vedono nello sviluppo del territorio una perdita della loro visibilità. Loro vivono di questo e quindi sono contro l’innovazione, che tarda ad essere compresa. Quindi il turismo irrita e fa paura a chi vuole controllarlo dall’alto. Una cosa che io dico sempre agli amministratori è la seguente: se noi dobbiamo sedere a un tavolo e parlare di un progetto, noi due - parte privata e parte pubblica - abbiamo esigenze diverse. Io ho bisogno di capitalizzare presenze, quindi monetizzare denaro, tu invece hai bisogno di capitalizzare consensi, quindi “monetizzare” voti. Quindi se c’è un progetto che soddisfa le esigenze di tutti e due, andiamo d’accordo. Ma se un progetto in cui tu porti a casa voti e io non porto a casa niente oppure il contrario, non andiamo da nessuna parte. Questo è un grosso problema.

All’ultima assemblea sociale di Confcommercio Bassano è stato annunciato di fatto il de profundis per il Marchio d’Area. “Acqua passata non macina più”, è stato detto. In tema di turismo è stato rinnovato l’appello alla sinergia, a “fare rete” sul territorio con una nuova ridefinizione del ruolo dell’IPA Pedemontana del Brenta. Lei come valuta questa cosa?
Ritengo che la domanda, secondo me, dovevate farla voi della stampa alla Confcommercio. Cioè: perché voi sindaci e associazioni di categoria, che avete firmato un protocollo d’intesa per il Marchio d’Area, non chiedete la prosecuzione dell’impegno preso? E perché non avete delle alternative? Oggi sul tavolo non c’è nessuna alternativa diversa da quella proposta da noi. Che non è un “capriccio” mio, di Vallotto o di Cunico: noi siamo stati semplicemente promotori di questa iniziativa. Si è arrivati alla definizione di un direttivo e questo direttivo è ancora tutto in piedi. Io non c’ero, ma noto che le osservazioni che hanno fatto in assemblea sono le stesse e identiche che facciamo noi da anni: fare squadra, fare rete. Cosa vuol dire “dobbiamo fare squadra”? E otto, nove anni fa, cosa abbiamo detto fin dall’inizio?

Come se ne esce?
Se noi non partiamo dal concetto che una destinazione debba avere un’identità ben precisa, non se ne esce. E le destinazioni hanno esigenze diverse. Noi abbiamo esigenze diverse rispetto a Vicenza o a Jesolo, noi non abbiamo bisogno di ombrelloni. Quindi dobbiamo capire che la nostra destinazione, per natura, per conformità, per caratteristiche, è solo questa: il Brenta. A nord c’è la Valsugana, più a nord ancora ci sono le montagne, andando a sud arriviamo alla Riviera del Brenta. Quindi quale può essere la nostra identità, se non il Brenta? Una può essere, e punto. Tornando alla questione di prima, certe affermazioni andavano fatte se sul piatto ci fosse stato un progetto diverso. Ma non può esserci, perché nessuna legge regionale lo permette. Certamente l’ambiguità ti fa fare di tutto e di più e per questo ho fatto la premessa che purtroppo non ci sono regole e paletti. Tutti si sentono deputati al ruolo di decisori, cosa che invece non spetta a loro.

Lei ha dichiarato che “il turismo fa paura”. È una frase forte…
Certo. La paura, secondo me, è quello che ho detto prima. Il turismo, inteso come comunità che si offre al mondo e si offre agli altri, è costituito da azioni che partono dal basso. Quindi questo fa paura, perché chi vuole controllarlo dall’alto ovviamente non ci sta.

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