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Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
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Maria, che estasi

Alla Gypsotheca di Possagno inaugurata la mostra “made in Sgarbi”: messe in dialogo le due Maddalene di Canova e di Caravaggio. Con prove tecniche di riconciliazione: intervenuto all'inaugurazione anche il sindaco di Bassano

Pubblicato il 02-05-2021
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“Difficile immaginare due artisti più lontani di Caravaggio e Canova.”
E se lo scrive Vittorio Sgarbi, nel suo testo di presentazione della mostra “La Maddalena - Caravaggio e Canova”, inaugurata ieri al Museo Gypsotheca Antonio Canova di Possagno, c'è da credergli. Ma nei percorsi artistici e biografici dei due geni - burrascoso e “maledetto” il primo, ammirato e glorificato in vita il secondo - c'è un punto di ideale contatto: Maria Maddalena. Un soggetto ricorrente della storia dell'arte, riguardante una figura femminile che ha mantenuto attraverso i secoli il provocante richiamo del suo fascino inquieto, su cui entrambi gli artisti hanno lasciato il segno.
Fino al prossimo 21 novembre, in mezzo agli altri gessi canoviani collocati nel salone ottocentesco della Gypsotheca, le due interpretazioni della santa peccatrice realizzate dalle due somme firme vengono presentate l'una accanto all'altra: la Maddalena in estasi di Caravaggio e la Maddalena distesa di Antonio Canova.

La Maddalena distesa di Antonio Canova e la Maddalena in estasi di Caravaggio

Un uno-due pugilistico che colpisce l'occhio e scuote l'emozione. Quella dipinta, accreditata da molti come autografa di Caravaggio e proveniente da una collezione privata di Roma, è una Maddalena drammatica e dolente. In estasi, con la testa reclinata all'indietro e lo sguardo perduto, occupa quasi tutto lo spazio del dipinto, contro un indefinito sfondo buio. In un impeto di chiaroscuro caravaggesco, la luce colpisce il volto su cui scendono le lacrime e sfiora i lunghi capelli dorati, indirizzando lo sguardo sulle mani intrecciate. La camicia bianca dalle lunghe pieghe si apre sul petto, scoprendo la spalla definita dalla luce mentre la veste rossa copre le gambe.
Quella scolpita è invece una Maddalena che “si lascia andare”, giacente, all'estasi.
“Anche in questo caso - spiega la direttrice del Museo e Gypsotheca di Possagno Moira Mascotto - vi è un gioco di tensioni sacre e sensuali: il corpo abbandonato, vero e seducente, il volto estatico, reclinato all'indietro e incorniciato dalla fluente chioma di capelli.” Antonio Canova la realizzò nel 1819, verso la fine della sua carriera. Nel 1822, anno della morte dell'artista, il marmo venne ceduto al conte di Liverpool, ma dell'opera oggi si sono perse le tracce. Della Maddalena distesa il Museo di Possagno conserva il prezioso bozzetto originale in terra cruda e il modello in gesso esposto in mostra, per una raffigurazione definita dal suo stesso autore “Maddalena seconda giacente, e in atteggiamento di soave e languido abbandono per eccessivo dolore”.
A caratterizzare l'opera vi sono il potente pathos e, come in altre figure giacenti realizzate nella fase terminale della carriera del genio di Possagno, la svolta “naturalistica”.

La figura di Maria Maddalena, del resto, ha intrigato Antonio Canova più di una volta.
Come spiega ancora la direttrice Mascotto, autrice del testo Le Maddalene canoviane, “il soggetto della Maddalena è molto ben rappresentato nel corpus di opere realizzate da Canova, sia come pittore sia come scultore”. All'interno del Tempio Canoviano di Possagno la grande pala d'altare con la Deposizione dalla Croce rappresenta la Maddalena riversa sul corpo del Cristo Morto. Nello stesso periodo l'artista ritornò sul soggetto dipingendo una Maddalena penitente, oggi dispersa. Così avvenne anche in scultura: famosa è la sua struggente Maddalena Penitente - inginocchiata pietosamente a terra, quasi crollata su sé stessa, con la testa abbassata nel contemplare il crocifiisso che tiene tra le mani - di cui lo scultore realizzò due versioni. Una Maddalena “naturalistica”, senza riferimenti a quel mondo classico che aveva decretato la fortuna di Canova nella sua carriera, che anticipa i lineamenti figurativi della Maddalena distesa.
È difficile, se non impossibile che Canova abbia visto la Maddalena in estasi di Caravaggio. “E non tanto - spiega Vittorio Sgarbi - perché essa sia tra le opere più tardivamente apparse con il nome di Caravaggio, ma per una ragione profondamente estetica, di opposte visioni della religione, della bellezza, del dolore”.
In più nel secolo del Canova Michelangelo Merisi detto il Caravaggio era oggetto di una sorta di damnatio memoriae, “demonizzato” dai giudizi impietosi della critica, prima che la sua riabilitazione nel '900 rovesciasse i valori proiettandolo nel novero dei più grandi pittori di tutti i tempi. Eppure tra le due Maddalene esposte a Possagno emergono sorprendenti consonanze: “le affinità, perfino nell'apertura della bocca, nella plasticità delle lacrime, nel movimento dei panneggi, nelle loro onde”. “Casualità, certamente - precisa Sgarbi -. I mondi di Caravaggio e di Canova sono opposti ma, nel dolore e nella penitenza che si fa estasi, sembrano convergere.”

Dunque la mostra al Museo Gypsotheca mette in dialogo le due Maddalene e i due grandi “signor C” che le hanno realizzate. Una mostra in tutto e per tutto “made in Sgarbi”.
È stato Vittorio Sgarbi a portare il Caravaggio a Possagno, dopo l'esposizione “Caravaggio. Il Contemporeaneo” al Mart di Rovereto, a trovare lo sponsor in Intesa Sanpaolo e ad affidare il progetto all'organizzazione esterna e all'ufficio stampa di Contemplazioni, in collaborazione con Fondazione Canova onlus di cui è il presidente.
Della mostra, in un certo senso, fa parte anche lui. L'allestimento presenta infatti le due opere - sopra il dipinto di Caravaggio, sotto il gesso di Canova - mentre sulla destra del pannello viene esposto il bozzetto originale di Canova e sulla sinistra compare una frase, stampata nelle stesse dimensioni del quadro, dello stesso Sgarbi: “Sensualità, erotismo e complicità sono impliciti nell'idea di Santa Maria Maddalena e nella rappresentazione che gli artisti propongono nei secoli”.
Ancora Vittorio Sgarbi è stato al centro della cerimonia di inaugurazione di ieri, alla quale è intervenuto uno stuolo di “autorità locali”. Tra queste non passa inosservato il nome di Elena Pavan, sindaco di Bassano del Grappa, città ultimamente oggetto degli “strali sgarbiani” per il progetto della mostra programmata autonomamente al Museo Civico per il Bicentanario Canoviano del 2022. Nelle immagini dell'inaugurazione, la Pavan è immortalata assieme a Sgarbi accanto alle due opere esposte e vicino a lui nelle foto di gruppo. Prove tecniche di riconciliazione, sotto lo sguardo benevolo dell'onorevole leghista e sindaco di Cartigliano Germano Racchella, colui il quale si era proposto di “intermediare” tra il collega parlamentare Sgarbi e l'amministrazione bassanese, pure presente tra gli ospiti dell'incontro inaugurale.
E - guarda un po' - il sindaco di Possagno e vicepresidente di Fondazione Canova Onlus Valerio Favero ha dichiarato nell'occasione che “per rendere uniche le celebrazioni del 2022 sarà importante dialogare con il territorio, con Bassano del Grappa, con Venezia, con Treviso, con Cartigliano e con tutte le persone che amano l’artista”. E se lo ha detto davanti al presidente Sgarbi, vuol dire che Sgarbi acconsente.
Bassano del Grappa ritorna dunque, o sta per ritornare, tra i “buoni”. “L'importante è capirsi e tradurre in azioni la volontà comune. Bassano, Possagno e molto altro per Canova22”, ha scritto Elena Pavan nella sua pagina Facebook, pubblicando le foto che la ritraggono assieme al professore ex inviperito per “l'urticante volontà di prevalere di Bassano”.
Adesso Bassano e Possagno sembrano intraprendere di nuovo un cammino di pace in direzione del Bicentenario Canoviano del 2022. Maria, che estasi.

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