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Alessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it
Figli dei fiori
Riflessioni a margine del caso degli alberi tagliati in Prato: può nascere a Bassano una nuova coscienza ecologica che metta finalmente da parte le distinzioni politiche?
Pubblicato il 08-04-2021
Visto 7.572 volte
Sedentari di tutto il mondo, unitevi. Nella due-giorni di Pasqua - non potendo fare altro per Dpcm - mi sono guardato sul divano di casa un po' di bei film, scaricati di qua e di là.
Tra questi, anche Hair di Miloš Forman: celebre pellicola ispirata all'omonimo e altrettanto celebre musical rock di Broadway, considerato “il prodotto forse più importante della cosiddetta controcultura hippie degli anni sessanta” (© by Wikipedia).
La vicenda racconta la storia di un gruppo di capelloni all'epoca della guerra del Vietnam, con un finale che - per chi non lo ha visto - non vi voglio spoilerare. Ma al di là della trama e di storiche canzoni come “Aquarius” o “Let the sunshine in”, la visione del film mi ha ispirato - nei soliti meandri contorti della mia mente - una ardita ed improvvisa associazione di idee con l'attualità bassanese.

Foto Jacopo Tich
Prima di Pasqua, infatti, la mia tastiera di redazione è stata particolarmente impegnata a raccontare il caso degli alberi tagliati, su disposizione dell'amministrazione comunale, in Prato Santa Caterina a Bassano e le discussioni e polemiche che ne sono conseguite: la decisione presa dall'alto, il Consiglio di quartiere non interpellato, le giovani “essenze” sostitutive non ritenute consone, eccetera. Capita quasi ogni volta che in città si compie un intervento di rottamazione e di sostituzione arborea e ormai su questa dinamica delle cose, per usare un termine molto in voga in questo periodo, siamo o dovremmo essere vaccinati. Eppure, ancora una volta, si è perso il filo della questione.
Quella che è nata come una discussione sulla valenza del patrimonio arboreo urbano, partendo dalla notizia di cronaca cittadina, si è trasformata in un braccio di ferro tra opinioni “pro” o “contro” l'amministrazione Pavan, in particolare nei social. Se sei favorevole all'intervento sei un sostenitore a prescindere dell'amministrazione di centrolega, se sei contrario fai parte invece dell'opposizione politica o ancor di più ideologica.
Il parallelo con Hair è evidente: è come se le varie associazioni e gruppi civici intervenuti criticamente ma anche propositivamente, in varie forme, sull'intervento in Prato (Consiglio di quartiere Margnan-Conca d'oro, Bassano per Tutti, Europa Verde Bassano, Italia Nostra sezione di Bassano del Grappa) facessero parte della “controcultura hippie degli anni venti del Duemila”. Una sorta di novelli figli dei fiori della pedemontana che non trovano di meglio da fare che richiamare l'attenzione sulla salvaguardia dell'ambiente e puntare il dito sull'opportunità di procedere al taglio di 14 aceri, a fronte persino della circostanza che si trattava di aceri malati.
Affrontando la questione con questi presupposti, non se ne esce. E il problema che sovrappone una lente distorta ed esclusiva (“o sei di qua, o sei di là”) al confronto di opinioni sull'argomento è insito alla radice: e cioè la mancanza in città di una coscienza ecologica condivisa che metta finalmente da parte le distinzioni politiche.
A questo punto diciamolo subito: la convivenza di una città con i suoi alberi non è mai facile. Le piante non hanno un mero scopo “ornamentale” e non sono delle belle statuine: sono organismi complessi la cui vita non sempre si armonizza con l'ambiente di asfalto che li circonda. Ne sanno qualcosa i residenti di quartiere Firenze: zona di Bassano caratterizzata da una profusione sulle sue vie di splendidi filari di pini domestici. Ogni volta che mi reco in quel quartiere non posso fare a meno di ammirarli, mi risuonano quasi le note della suggestiva musica dei “Pini di Roma” di Ottorino Respighi. Devo però stare attento a non ammirarli troppo con il naso all'insù, rischiando di inciampare su qualche rigonfiamento sui marciapedi provocato dalle radici sottostanti o di scivolare nei giorni di pioggia, in particolari periodi dell'anno, sugli strati di aghi caduti dai rami. Ma così è, da sempre: anche in ambiente urbano, la natura non chiede permesso.
Come tutti gli organismi viventi, inoltre, anche gli alberi hanno i loro acciacchi e malattie.
Non mi riferisco solo al caso del Prato, ma anche a tutte le altre volte in cui le necessità di “chirurgia botanica” hanno cambiato il paesaggio di qualche strada cittadina.
Chi segue da più anni le nostre cronache ricorderà il polverone sollevato dall'espianto dei platani in viale Montegrappa, sostituiti da 70 giovani carpini piramidali. Déjà vu. Un'operazione che oltre alle nuove “essenze” aveva piantumato anche le solite polemiche, quando ancora non era in auge - come lo è oggi - il tritacarne dei social.
All'epoca l'assessore ai Lavori Pubblici era Dario Bernardi, che fu il regista anche del turnover degli alberi in viale Venezia. Bernardi è stato un buon assessore e in quel tempo ha fatto molte cose anche pregevoli, ma il suo mandato sarà ricordato come quello dell'“assessore taglialegna”. Poi per lungo tempo le cronache locali sono state obnubilate dal progetto del taglio dei platani in viale Scalabrini, voluto sempre da Bernardi e poi rimodulato in modo più “soft” dal suo successore Roberto Campagnolo. Ci furono anche in quella occasione petizioni, lettere di Italia Nostra, contro-campagne televisive.
E anche allora, ancora e sempre, al di là delle rispettabili prese di posizione dei cittadini e delle associazioni civiche, la discussione sull'opportunità dell'intervento era finita in ostaggio dei contrasti della politica. E ha fatto più rumore un albero che cade di una Bassano che dovrebbe invece crescere.
Tutte queste vicende, di cui il “licenziamento in tronco” degli aceri del Prato rappresenta solo la puntata più recente, sono il segno di uno stadio ancora incompiuto di una presa di coscienza collettiva cittadina sulla gestione del patrimonio arboreo come bene comune,
di cui gli atti apparentemente “improvvisi” di disboscamento urbano della pubblica amministrazione sono il riflesso diretto. Al punto che l'interesse per i destini della città alberata sembra risvegliarsi solamente quando il problema si presenta vicino a casa.
La comunità bassanese non è per nulla facilitata in tal senso, se è vero che - come periodicamente riemerge in queste occasioni - Bassano del Grappa non dispone nemmeno di una Consulta del Verde, richiesta inutilmente da anni dall'associazionismo locale.
Ne consegue che chiunque richieda al potere amministrativo, più o meno ad alta voce, di dare una svolta decisa e soprattutto condivisa alle politiche del verde in città rischia di essere considerato un figlio dei fiori nell'epoca sbagliata o un idealista hippie del Terzo Millennio o, peggio ancora, un “ambientalista”.
Proprio così: ancora oggi, la parola “ambientalista” è un'etichetta politica, automaticamente associata per luogo comune al movimento dei Verdi o più in generale alla sinistra.
Ciò è un controsenso, perché l'ambiente che ci circonda è il Grande Fratello che non ci chiede tessere e che ci permette di vivere. E ciascuno di noi, nei limiti delle proprie possibilità, dovrebbe avere a cuore il suo rispetto e la sua tutela.
Dovremmo essere tutti “ambientalisti”, come atteggiamento mentale e come espressione naturale dei nostri comportamenti. La politica non c'entra. Anzi, c'entra ma solo nella misura in cui traduce in atti amministrativi le istanze di una coscienza ecologica che deve partire dal basso. Ma non è possibile etichettare il nostro rapporto con la natura in base alle ideologie di appartenenza. Sarebbe come dire che la qualità dell'aria che respiriamo (grazie anche al lavoro instancabile dei soliti alberi) e la salvaguardia del nostro habitat sono materie da programma di coalizione.
Certamente nel mondo qualcosa sta cambiando, anche se il concetto di “transizione ecologica” è ancora lungi dall'occupare i nostri pensieri al nostro risveglio alla mattina.
Non sono più di moda, come lo sono stati anche a Bassano, i “Fridays for Future”, sostituiti da oltre un anno a questa parte dal più inquietante “Covid for Today”.
Ma dovrà venire prima o poi il momento in cui potremo e dovremo dedicare attenzione alle dinamiche, finalmente partecipate, di costruzione di una città più sana e non solo alla condanna a morte di un albero malato.
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