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Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
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Anonima Ingegneri

Riflettori su un protagonista “dimenticato” della storia del Ponte di Bassano: Bartolomeo Ferracina, che lo ricostruì 270 anni fa. La tormentata storia del suo progetto di ricostruzione ricorda per molti versi quella attuale

Pubblicato il 16-03-2021
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C'è “L'Illustre Bassanese” e c'è “L'Illustre Sconosciuto”, vale a dire un illustre non adeguatamente ricordato dai posteri. È il caso di Bartolomeo Ferracina, solagnese, ingegnere della Serenissima, inventore nel '700 di sofisticati meccanismi come quello che gli permise di ricostruire l'orologio della Torre di Piazza San Marco a Venezia che ancora oggi fa battere le ore ai due Mori, per la gioia degli smartphone di frotte di turisti in tempi extra-Covid. La sua biografia è costellata di quelle che oggi verrebbero chiamate “opere pubbliche”, sia nel campo dell'orologeria che nell'ampio settore dell'ingegneria civile e idraulica. Un multiforme ingegno insomma, che dovette la sua fortuna in vita alla sua abilità di “costruttore di macchine”, al punto che una lapide sulla chiesa di Solagna lo definisce nientemeno che Archimedis aemulo. La stessa abilità che gli consentì di affrontare la prova, e di superarla, della ricostruzione del Ponte di Bassano.
I lavori iniziarono nel settembre 1750 e terminarono nel settembre 1751, con la riapertura al pubblico del manufatto ricostruito, di cui quest'anno cade il 270simo anniversario.
La ricostruzione proseguì poi in una seconda fase (oggi si direbbe “secondo stralcio”) di lavori di rifinitura tra il 1753 e il 1754. Alla fine, dopo non poche contestazioni nei suoi confronti, Ferracina venne acclamato dai suoi contemporanei per l'opera eseguita, come attesta anche la lapide in suo onore collocata sul lato in spalla sinistra del Ponte. Tuttavia quello non fu che l'atto finale di una vicenda ricca di vicissitudini, discussioni e polemiche. Déjà vu. Fosse esistita all'epoca una versione cartacea e settecentesca di Bassanonet, avrebbe avuto a che scriverne in abbondanza.

Il busto di Bartolomeo Ferracina in via Ferracina a Bassano. Foto di Alessandro Tich


In un'epoca senza Soprintendenze (il Magistrato alle Acque di Venezia bastava e avanzava), senza plurime consulenze esterne, senza ture in alveo, senza varianti di progetto e senza travi reticolari, si rese necessaria la ricostruzione del Ponte parzialmente distrutto dalla devastante brentana del 1748.
Ferracina fu prescelto alla direzione dei lavori per “titoli e meriti”, ma la partenza della sua impresa fu tutt'altro che facile. Ne rende conto un prezioso libro intitolato Vita e Macchine di Bartolommeo Ferracino colla storia del Ponte di Bassano, edito nel 1754 dalla Stamperia Remondini e oggi disponibile nella sua ristampa anastatica curata da Tassotti Editore.
Autore del volume fu lo storico Francesco Memmo, che di fronte ai contestatori dell'epoca prese le difese dell'ingegnere di Solagna, chiamato a restituire alla città (“dov'era e com'era”) l'originario Ponte di Andrea Palladio che aveva resistito per 200 anni. La cosa interessante, nel riscoprire le peripezie di quel restauro di oltre due secoli e mezzo fa, è che per molti versi ricorda le traversie del restauro attuale che sta per concludersi dopo circa 7 anni dal suo concepimento politico. L'unica grande differenza - fatte salve le enormi differenze tecnologiche, normative e amministrativo-burocratiche tra le due epoche - è la tempistica. Ma continuare a sottolineare l'estenuante lunghezza dell'attuale intervento di ripristino e consolidamento del Ponte di Bassano, prima “cantiere senza inizio” e poi “cantiere senza fine” finalmente vicino alla conclusione, è come sparare sulla Croce Rossa.

Ai suoi tempi, prima di entrare nella “fase esecutiva”, Bartolomeo Ferracina ebbe le sue belle gatte da pelare. Ci vollero ben due anni, dalla brentana del 1748 all'“affidamento” dei lavori, prima che le autorità competenti decidessero per l'“avvio del cantiere”.
Anche in quella occasione fu disposto quello che oggi chiameremmo “studio preliminare”, antesignano dei tanti affidamenti di incarico per sondaggi di fattibilità che hanno caratterizzato il restauro attuale prima dei lavori. Venne affidato proprio al Ferracina, incaricato di fare una perizia sui lavori da fare. Il suo incarico, ma anche il progetto definitivo che ne sarebbe conseguito, vennero però lungamente messi in discussione da altri tecnici locali. Anche questa, una storia già sentita. Ci si mise di mezzo anche un “Anonimo”, che segnalò al Magistrato alle Acque le presunte incongruenze del progetto a cui affidarsi, dei preventivi presentati, dell'acquisto del legname, della larghezza dei pali, della loro squadratura. Niente di nuovo sotto il Brenta. Le polemiche accese dall'Anonima Ingegneri allungarono i tempi e sfinirono il Ferracina al punto da fargli richiedere la revoca dell'incarico. Fu lo stesso Magistrato alle Acque a risolvere alla fine il contenzioso, verificando la “titolarità” dell'ingegnere a compiere l'opera appena iniziata e confermandogli l'incarico ad eseguire i lavori. Roba che al confronto Tar e Consiglio di Stato impallidiscono.

Tutto il resto è una storia di progresso tecnologico. Per la ricostruzione del manufatto ligneo, Ferracina mise all'opera un suo efficacissimo “brevetto”: il battipali a trazione idraulica, una specie di maglio per piantare pali, da lui riprogettato in modo tale da effettuare le operazioni previste secondo i criteri di “prestezza, robustezza, minor spesa”. Si trattava di una macchina consistente “in una sola ruota girata dall'acqua e in un fuscello, sovra di cui gira la corda, che il battipali solleva”, come descrive il Memmo. L'innovazione permise di migliorare notevolmente le performance rispetto ai battipali manuali, arrivando a piantare ben 5 piloni al giorno. Ne trassero beneficio la velocità dei lavori e quello che oggi chiameremmo il “quadro economico complessivo” dell'opera. Nelle due distinte fasi della ricostruzione l'ingegnere di Solagna riuscì a concludere il cantiere in meno di tre anni, facendo risparmiare alla Serenissima ben 1000 ducati rispetto alla somma originariamente preventivata.
È qui che l'ideale parallelo tra il restauro di allora e il restauro di adesso, principalmente riferito alle discussioni e alle polemiche nelle rispettive epoche, si ferma. Perché in quanto a tempi e denari il restauro attuale non ha eguali e ha battuto ogni record: quattro anni effettivi dall'avvio del cantiere del primo appaltatore Vardanega fino ai giorni nostri, preceduti da un anno e passa di sospensione per contenzioso giudiziario, e un costo complessivo che dai 4 milioni e mezzo di euro inizialmente stimati è lievitato a circa 9 milioni.
Altro che battipali: qui si è battuta soprattutto cassa.

La memoria storica dell'impresa ricostruttiva del Ferracina si è dissolta nel tempo, anche perché del Ponte settecentesco non è rimasto praticamente nulla. Gli sforzi ingegneristici del grande “Bartolommeo” furono vanificati nel 1813 dal viceré d'Italia Eugenio di Beauharnais, che cercando di contrastare l'avanzata austriaca nell'ultimo periodo dell'impero napoleonico, incendiò il Ponte, dopo averlo ricoperto di pece, mentre era in ritirata con le sue truppe, nonostante le suppliche dei bassanesi a desistere dal suo intento piromane.
Il Ponte sarebbe stato quindi nuovamente ricostruito, tra il 1819 e il 1821, dall'architetto ed ingegnere Angelo Casarotti di Schio. Già: proprio quel Casarotti che inserì nelle fondazioni la famosa “trave di soglia” di legno che porta il suo nome, che secondo la relazione storica per il restauro attuale del professor Giovanni Carbonara avrebbe dovuto essere mantenuta al suo posto e che invece, per dare spazio alle maxi travi reticolari di fondazione in acciaio inox previste dalla variante di progetto Inco, è stata segata via e di lei oggi non si hanno notizie certe. Un ulteriore esempio dello scarso interesse nei confronti dei grandi ricostruttori del passato del nostro grande Ponte Vecchio.
La casa di Bartolomeo Ferracina, in via Ferracina a Solagna, è oggi un edificio di proprietà privata disabitato e in stato di abbandono. Sopra la porta d'ingresso c'è una piccola lapide, ingrigita dalla patina del tempo, con la scritta “Qui abitava Bartolomeo Ferracina e qui moriva”. Niente di più. Il ricordo pubblico di un grande veneto del XVIII secolo si limita al poco o al niente, se non fosse per il monumento con il busto a lui dedicato in via Ferracina a Bassano, a pochi passi dal Ponte.
La domanda che pongo è quindi la seguente: nella foga celebrativa per la vicina inaugurazione del Ponte restaurato, sarà degnamente rievocato anche il suo nome?

Proprio in questi giorni l'amministrazione comunale di Bassano del Grappa ha affidato l'appalto per la progettazione e l'allestimento della mostra “Palladio, Bassano e il Ponte. Invenzione, storia, mito”, pensata come evento celebrativo per la conclusione del restauro e in programma al Museo Civico dal 23 maggio al 26 settembre prossimi. Appalto affidato all'architetto Andrea Bernard per un corrispettivo lordo di 8.600 euro.
Come annunciato dalla direttrice dei Musei Civici Barbara Guidi nel suo video-intervento per la festa di San Bassiano, la mostra approfondirà in particolare “lo straordinario capitolo rappresentato dal progetto di Andrea Palladio, il tutto attraverso un affascinante percorso composto da disegni originali, libri cinquecenteschi, mappe antiche, dipinti, fotografie e modelli di studio contemporanei”. Ci sarà comunque anche spazio per “la secolare storia del Ponte, dalle origini ai giorni nostri, attraverso le tante ricostruzioni di cui è stato protagonista”. L'auspicio è che a Bartolomeo Ferracina, costruttore di macchine “emulo di Archimede”, venga dedicato un settore espositivo degno di tale nome e non solo un pannello collaterale alla rievocazione del sommo nome di Palladio: staremo a vedere.
Perché anche l'ingegnere della Serenissima meriterebbe il giusto tributo di memoria, ora che gli “Anonimi” sono solamente i falsi profili nei social.

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