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Il Gigante
In memoriam: Alessio Tasca, grande maestro e artista assoluto della ceramica contemporanea (1929-2020)
Pubblicato il 01-02-2020
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Per fare certe cose ci vuole il modo giusto e il tempo giusto per farle.
E adesso ho finalmente il tempo per dedicarmi ad esprimere il mio pensiero, con le dovute parole, su Alessio Tasca. Lo so che questo mio intervento non è tempestivo rispetto alla sua scomparsa, avvenuta qualche giorno fa. Ma io non scrivo coccodrilli. In queste tristi circostanze io scrivo solamente se la mia tastiera è ispirata dal cuore, e la partecipazione dell'animo e la sincerità non hanno data di scadenza.
Alessio se ne è andato lo scorso 29 gennaio a Heilbronn, in Germania, a 90 anni di età.
Alessio Tasca all'inaugurazione dell'ultima mostra a lui dedicata a Nove (foto Alessandro Tich)
Era di casa nella città tedesca, di cui è originaria la sua compagna Lee Babel, anch'essa rinomata ceramista, da lui conosciuta in quell'irripetibile evento - per il livello dei partecipanti - che fu il Simposio Internazionale della Ceramica Contemporanea, svoltosi a Bassano e a Nove nel 1978. Lascia i tre figli Marina, Vittore e Saverio: i primi due seguaci delle orme del padre nel campo della ceramica, il terzo musicista (percussionista) di fama internazionale, vincitore nel 2017 di quel “Premio Cultura Città di Bassano” che fu assegnato nel 2002 al suo importante genitore. I funerali saranno comunicati in data da destinarsi: sarà un appuntamento mesto, ma comunque epocale.
L'ultima volta che lo avevo visto, assieme a tante altre persone, è stato in occasione dell'inaugurazione di “Con Alessio Tasca la ceramica fa 90...”, l'ultima mostra a lui dedicata al Museo della Ceramica di Nove in occasione del suo novantesimo compleanno.
Era il 2 aprile dello scorso anno. Esposta, nell'occasione, una selezione della produzione giovanile dell'artista ceramista: quei piatti graffiti realizzati una settantina di anni fa per la “Tasca Artigiani Ceramisti”, che fu attiva dal 1948 al 1961. La testimonianza di un genio in embrione, legato ancora alla tradizione classica e alla decorazione figurativa, prima che in lui esplodesse il sacro fuoco della ricerca, della sperimentazione, della modernità del design, dell'invenzione di nuove forme, della messa in opera di nuove tecniche e della lotta creativa con la materia prima con cui si confrontava quotidianamente: la terra.
A quell'evento inaugurale aveva partecipato molta gente non solo per il richiamo del nome dell'autore, ma anche per il fatto che negli ultimi anni era sempre più difficile incontrare Alessio Tasca in pubblico. Lui, il grande protagonista, coi suoi capelli oramai da tempo diventati bianchissimi, durante tutti i discorsi di rito delle autorità se ne era rimasto seduto in silenzio su una panchina, a fianco di Lee Babel, appoggiato al suo bastone. Invitato quindi a intervenire, aveva pronunciato solamente poche parole.
Ma l'impressione generale era quella di trovarsi al cospetto di un patriarca, che non ha bisogno di lunghi discorsi per diffondere il suo carisma. Al punto che la visione della mostra era passata quasi in secondo piano. E di quel giorno rimarrà impressa nella memoria la lunga fila di persone che, a cerimonia inaugurale terminata, si avvicinavano a quella panchina solamente per stringergli la mano, per salutarlo, per incontrarlo anche per pochi secondi e per cercare di dirgli qualcosa del tipo: “si ricorda di me?”.
Il minimo che possa capitare a una rockstar della Terra di Ceramica.
Conoscevo Alessio Tasca sin da quando ero bambino, quando andavo al seguito di mio papà, fotografo, che nel laboratorio dell'artista di via Roberti a Nove scattava delle straordinarie foto dei suoi lavori - alcune delle quali le conservo ancora gelosamente - da pubblicare nei cataloghi non solo della ditta “Ceramiche Alessio Tasca” ma anche delle mostre d'arte a lui dedicate in Italia e in Europa. Coi miei occhi di bambino e poi di adolescente vedevo sempre il grande ceramista come un orso - un orso buono, s'intende -, perché lo percepivo come una persona restia ad esternare i propri pensieri e i propri sentimenti, quasi una sorta di burbero benefico chiuso all'interno del fantastico mondo delle sue creazioni. Era per questo che mi incuteva un po' di soggezione.
Ma mi sbagliavo. Avrei scoperto diversi anni dopo, leggendo una sua lettera scritta a mio padre, che era un uomo dotato di grande sensibilità. Capendo finalmente che un cotanto protagonista dell'arte ceramica del '900 non disdegnava di aprirsi agli altri, dimostrando il suo lato profondamente umano, ma quando era il momento giusto per farlo.
Tasca era semplicemente un homo faber che ai rumori della civiltà delle chiacchiere preferiva la concretezza della sua opera, facendo parlare le sue ceramiche per lui e facendo in modo che tanti cultori e studiosi della materia scrivessero di lui.
La sua è stata una carriera di livello assoluto. Ceramista, ma anche designer e scultore.
Solamente riguardo alle mostre, cito innanzitutto le sue due partecipazioni all'Esposizione di Ceramica Internazionale al Victoria and Albert Museum di Londra. Quello stesso Victoria and Albert Museum che ha acquisito, ed espone tutt'oggi, due sue opere: un Cornovaso del 1972 e un servizio da caffè prodotto interamente a trafila nel 1974.
E poi, tra decine di altri eventi espositivi personali e collettivi, tre partecipazioni alla Triennale di Milano e ben cinque alla Biennale di Venezia, dove nel 1964 gli fu assegnato il I premio per la ceramica nella sezione Arti Decorative, ex aequo con l'altro “grande” della ceramica novese Pompeo Pianezzola. E ancora diverse mostre in Germania (Heidelberg, Coburgo, Esslingen, Heilbronn, Mönchehaus Museum a Goslar) e tante altre ancora in Italia - tra cui la Biennale di Gubbio e il Concorso internazionale di Faenza - e nel resto d'Europa e anche in Australia, conquistando altri premi e riconoscimenti.
Il suo non è stato tuttavia un caso di nemo propheta in patria perché proprio qui, dove è nato, Tasca ha saputo trasformare i suoi luoghi di lavoro in punti di riferimento, per l'innovazione creativa nella ceramica contemporanea, di respiro internazionale.
Su tutti, la fabbrica di Rivarotta, a Marchesane, in Comune di Bassano ai margini del confine con Nove, già sede di storiche fornaci di ceramiche, che lui stesso aveva ristrutturato nell'arco di dieci anni con un titanico lavoro in solitaria, trasformandola in un atelier-laboratorio unico al mondo. L'opera delle opere in 90 anni di vita.
La caratteristica principale delle creazioni ceramiche di Alessio Tasca è quella di essere inconfondibili. Il suo stile e il suo tratto, cioè, non hanno eguali. La sua formazione, poi perfezionata all'Istituto d'Arte di Venezia, si era plasmata all'Istituto d'Arte di Nove che era diretto dallo scultore ceramista Andrea Parini, di cui fu allievo.
All'Istituto d'Arte di Nove Tasca avrebbe poi insegnato dal 1962 al 1978, succedendo nella cattedra di Plastica a Giovanni Petucco, che fu un altro dei suoi maestri.
Erano gli anni in cui si poteva ben dire che Nove, e con essa Bassano del Grappa, era una delle capitali internazionali della ceramica. Una reputazione di prestigio a cui l'illustre novese - decimo degli undici figli di Edoardo Tasca, poliedrico ceramista e musicista - ha dato il suo fondamentale contributo. Prima con la sua produzione degli anni '50, fatta di grandi pannelli per chiese e scuole in maiolica policroma, in uno stile moderno ma ancora in parte figurativo. E poi - dopo un profondo ripensamento in cui era prevalsa la produzione in piccola serie - con la “grande rivoluzione” del 1967, quando Alessio Tasca ha reinventato l'utilizzo della trafila, una macchina usata dall'industria dei laterizi e degli acciai, da lui riadattata per lavorarvi in verticale con l'argilla.
Nasceva così nell'arte ceramica la tecnica dell'estrusione, che consentiva di produrre dei blocchi di argilla a sezione rettangolare oppure a cilindri, che poi portavano l'autore ad aprirli, tagliarli, rimodellarli, squarciarli, scomporli, ricomporli.
Innovazione allo stato puro, sia per la produzione in serie che per il manifestarsi di una nuova manualità: l'opera da realizzare non dipendeva più da uno stampo in gesso ma era fondata sulla capacità di creare instantaneamente una forma guidando una fuoriuscita di terra incanalata dalla macchina. È con questa tecnica che il geniale Alessio ha creato di tutto: dagli oggetti più piccoli - come i pezzi del servizio da caffè del Victoria and Albert Museum - ai suoi più importanti pezzi unici e alle grandi sculture da esterno.
Negli anni '70 un'altra trafila, perfezionata e di maggiori dimensioni, gli avrebbe permesso di rinnovarsi ulteriormente con l'estrusione in grande formato, su cui l'autore interveniva eseguendo tagli e fratture con il filo d'acciaio. Venivano così realizzate le sue voluminose e incomparabili “Sfere”, ottenute da un cilindro estruso su una matrice a griglia.
E ancora, dopo una ventina d'anni, ricomparivano le grandi sculture, gli enormi frammenti, i totem e le “rovine”, tutti ottenuti da un impasto d'argilla - il gres - di ottima resa e ad alta resistenza. Ma non sono solo le creazioni in trafila, che hanno contraddistinto gli ultimi quarant'anni della ricerca e sperimentazione di Tasca, a parlarci della sua grandezza. Anche le sue opere dei primi anni '60, non certo di rottura rispetto alla tradizione e più vicine al concetto di una produzione ceramica “artigianale”, testimoniano l'evoluzione di un genius loci che non si sarebbe mai fermata fino all'ultimo.
Con Alessio Tasca scompare un Gigante della ceramica contemporanea, il cui nome si proietta nell'olimpo dei grandi maestri dell'arte ceramica di Nove e Bassano del ventesimo secolo come Pompeo Pianezzola, Federico Bonaldi, Giuseppe Lucietti, Cesare Sartori e pochissimi altri. Apprezzo moltissimo l'iniziativa del sindaco di Nove Raffaella Campagnolo che a nome del Comune ha fatto affiggere nel suo paese un avviso a lutto con le espressoni di cordoglio alla famiglia e con la seguente scritta: “Alessio Tasca, insigne maestro, figlio della terra novese dalla quale colse spirito e tecnica per condurre a quote eccelse l'arte del ceramista. Con affetto, riconoscenza e stima, nella certezza che il vuoto lasciato dalla sua figura è colmato dalla sua indimenticabile opera”.
Brava sindaca. Rendere omaggio a questo illustre tuo concittadino era doveroso se non obbligatorio, ma lo hai fatto bene.
Mi rattrista invece la completa assenza dell'amministrazione comunale di Bassano del Grappa nel ricordo dello scomparso. Nessun avviso affisso in città, neanche un post sulla pagina Facebook del Comune, obnubilata dall'anteprima del Giro d'Italia e dalla prima proiezione in città del film “Villetta con ospiti”. Niente di niente.
Eppure Tasca ha dato tanto anche a Bassano, al punto da essere insignito del “Premio Cultura” della nostra città, massimo riconoscimento ai benemeriti che hanno onorato la cultura bassanese in Italia e nel mondo. Anche in questo caso l'amministrazione Pavan ha colto al volo l'occasione per fare brutta figura. È inutile annunciare “una politica culturale di ampio respiro, in grado di riscoprire la nostra identità storica bassanese affiancandola a tutte le tendenze artistico-culturali contemporanee che si muovono nella società bassanese e non solo”, come indicato nelle linee programmatiche del sindaco Pavan, se poi ci si dimentica dei fondamentali. Ma così è se vi pare: se la ceramica bassanese è a cocci, rispetto al suo glorioso e non lontano passato, non possiamo pretendere che la sua tradizione venga recuperata e valorizzata da parte di chi alla tematica si dimostra insensibile. Ora Bassano del Grappa dovrebbe come minimo dedicare una mostra a questo sommo artista della terra che ne ha divulgato il nome nel contesto internazionale: ma so di combattere contro i mulini a vento.
Ciao Alessio. Solo adesso posso finalmente osare darti del tu. Grazie di tutto.
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