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Alessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it
Vi faccio le scarpe
L'unico calzolaio in centro storico a Bassano è una giovane donna. Creatrice anche di scarpe su misura. Intervista a Sonia Guerra, artigiana e designer. “La scarpa è come se fosse un collegamento della mia mano”
Pubblicato il 05-03-2019
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Donne e tacchi: un'abbinata classica. Il fatto è che lei i tacchi li ripara. Ma anche suole, solette e tomaie, che per lei non hanno segreti. Martelli, forbici, pinze e lesine producono il suo pane quotidiano. Perché Sonia Guerra, 34 anni, originaria di Nove, fa di mestiere il calzolaio. È lei l'ultimo “scarparo” rimasto in centro storico a Bassano, dopo la chiusura di altre tradizionali botteghe del settore nel salotto cittadino.
Sonia svolge la sua attività in via Roma, a pochi passi da porta Dieda, in quello che è stato il laboratorio artigiano di Giuseppe “Pino” Spitale, calzolaio e personaggio molto noto in città, che l'ha affiancata per un anno per l'avvio del lavoro. Lavoro che, a quanto pare, non manca di certo. La giovane calzolaia di Bassano mi dà infatti appuntamento, per un'intervista, alle 9 di mattina. Più tardi non sarebbe possibile perché nel resto della giornata ha troppo da fare. E in effetti, già poco dopo l'apertura del negozio, due clienti entrano a ritirare le scarpe riparate, facendole anche i complimenti.
Ma lei non è solo una “riparatrice” di calzature. Perché le crea e le realizza pure, su misura e a richiesta del cliente o con la creazione di linee, in particolare di zoccoli, che portano la sua firma. Sulla vetrina della sua bottega, del resto, c'è scritto “Sonia Guerra artigiana & designer”. Che sono le due facce della stessa medaglia: quella di una passione assoluta per l'universo delle scarpe. La sua non è solo una storia di passione e di talento, ma anche di costante applicazione e di continuo studio e aggiornamento sul campo. Un interessante esempio, in questa Italia ancora piena di incertezze per chi cerca la propria via professionale, del fatto che “volere è potere” non è solamente un modo di dire.

Sonia Guerra nel suo laboratorio (foto Alessandro Tich)
Dunque Sonia, qual è stato il percorso che l'ha portata a intraprendere questo mestiere?
“È partito tutto dall'Università IUAV di Venezia, indirizzo moda. Però per la verità non andavo tanto bene, perché i vestiti non mi attiravano più di tanto, non avevo bei voti. L'ultimo anno è arrivato il signor Segalin, un vecchio calzolaio storico di Venezia, che ci ha fatto il corso sulle scarpe su misura. E da lì delle scarpe mi sono innamorata. Ho fatto il corso e la mia tesi di laurea è stata proprio sulle scarpe. Sono andata in Africa, a fare un viaggio in Etiopia, a studiare la Valle dell'Omo, le tribù... Da lì ho preso tutta l'ispirazione e ho fatto una collezione di scarpe per la tesi di laurea. La tesi è andata benissimo, ho preso il massimo dei voti, era il primo esame che in tre anni mi è andato benissimo e da li ho deciso di seguire le scarpe.”
Le scarpe perché?
“Tenendole in mano è come se fossero un tutt'uno con la mano. Io, in mano, una scarpa la sento. È come se fosse un collegamento della mia mano. La giro, la guardo, la modello...”
E dall'Università fino a qui cosa ha fatto? Cosa ha fatto “nel mezzo”?
“Nel mezzo ho cercato di continuare a studiare le scarpe. Sono andata da un vecchio calzolaio in pensione di Treviso, il signor Luigi, che adesso è morto. Lui aveva anche una fabbrica, era molto bravo, e mi ha insegnato proprio a fare le scarpe su misura. Io decidevo dei modelli, li facevamo insieme e alcuni li ho anche venduti ai parenti e a qualche amico. Alcuni modelli li ho fatti per me e due-tre volte a settimana andavo da lui al pomeriggio. Intanto lavoravo coi miei, è come se fosse stata una continuazione degli studi. Dopo da lì ho lavorato a Breganze, dal signor Gimo che è un calzolaio molto bravo, però lì ho più seguito la parte del cucito. Con lui siamo ancora in collaborazione, è come se fosse il mio maestro attuale. Poi ho conosciuto un'altra persona molto importante che è il signor Goji, giapponese, di Padova, che fa le scarpe su misura, tutto a mano, senza macchinari. Io mi sono innamorata della sua arte, sono andata lì tutti i lunedì per un anno a imparare e anche con lui sono ancora in contatto. Infine sono arrivata qua che ero comunque sempre senza lavoro fisso e avevo superato ormai i 30 anni.”
Qui a Bassano cosa è successo?
“Un mio amico mi ha detto che il signor Pino Spitale voleva forse cedere l'attività. Sono venuta qui da lui un pomeriggio e gli ho detto: “Salve, sono Sonia Guerra, ho sentito che lei vorrebbe cedere... eccetera eccetera... potrebbe farmi fare una prova? Non si spaventi perché sono una ragazza”. E lui: “Eh no, proprio perché sei una donna ti faccio fare la prova e se vuoi lunedì vieni qua”. Ho fatto la prova di due settimane, lui mi ha detto che secondo lui avrei potuto farcela ma che ovviamente dovevo essere affiancata e mi ha affiancato per sei mesi. Poi gli ho chiesto altri sei mesi di affiancamento. Dopo un anno, a gennaio dell'anno scorso, lui è andato in pensione. Io mi sentivo abbastanza pronta, ho preso io l'attività e a marzo, assieme a un amico, abbiamo rivoluzionato tutto il laboratorio.”
Lei qua cosa fa? Non ripara solo scarpe...
“Ripariamo scarpe, ripariamo borse. C'è la scarpa su misura. Viene presa la misura del piede destro e del piede sinistro, si decide la pelle insieme e poi si fa la scarpa.”
Quindi lei non è solo un “calzolaio”. Lei cos'è?
“Beh, come posso dire? Una creativa... Ancora quando studiavo avevo conosciuto anche una signora argentina, di Fontaniva, molto brava sulle borse, che aveva avuto l'idea di fare degli zoccoli. Adesso questa idea degli zoccoli la porto avanti. Qui ci sono delle basi e ognuno si può far fare la parte sopra come vuole. Questa è la linea che cerco di portare avanti perché è più facile, la scarpa su misura è molto difficile e anche costosa, ci vuole tempo. Mi piace portarla avanti, ma in una realtà come Bassano è un po' difficile rispetto a città come Milano o Firenze.”
La gente che viene qua per la prima volta e vede una ragazza cosa dice?
“Alcuni sono entrati e sono anche andati via. Perché entrano, vedono e poi dicono “ah no, ho sbagliato posto”. Altri rimangono sbalorditi, però sono curiosi e altri sono subito contenti, mi mettono alla prova. Io cerco di essere gentile e carina subito e quindi la gente è anche più contenta. Io vado in un bar non solo perché il caffè è buono ma anche perché il cameriere o il barista è gentile, no? Cerco di puntare anche su quello.”
Qual è la cosa più difficile di questa attività?
“È la forza. La forza fisica, perché essendo una ragazza, e magrolina, sento ogni tanto che mi esplodono le braccia. Le mani si stanno rovinando un sacco, anche se uso i guanti si stanno ingrossando, usandole come un muscolo. Vabbè, pazienza. Però a volte ritorno a casa stanca morta.”
E invece la cosa più bella?
“La cosa più bella è che sono padrona di me stessa e della mia arte. Posso esprimermi e collaborare anche con altri. Il mio sogno sarebbe stato avere in cima a una collina, in mezzo alla natura, un posticino dove poter collaborare assieme, un atelier con altri artigiani. Però mi sento a casa anche qua dentro.”
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