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Alessandro Tich
Direttore Responsabile
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Special report
Eravamo quattro amici al Tar
Riflettori accesi su un protagonista indiscusso del mandato dell'Amministrazione Poletto: il Tribunale Amministrativo Regionale
Pubblicato il 09-09-2018
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È lo spauracchio di tutte le amministrazioni pubbliche, nessuna esclusa.
Si chiama Tar: Tribunale Amministrativo Regionale. Ce n'è uno per ogni Regione italiana e il suo compito, a seguito della presentazione di un ricorso, è quello di emettere sentenze e ordinanze sulla legittimità degli atti amministrativi (deliberati o decretati dai Comuni, dalle Regioni e dall'amministrazione periferica dello Stato) degli enti pubblici la cui sfera di azione si svolge esclusivamente nella Regione di competenza.
C'è poi il Consiglio di Stato, che è l'organo a cui ci si può appellare contro le sentenze e ordinanze del Tar. Poi il cerchio si chiude: i gradi di giudizio della giustizia amministrativa sono due. Il più delle volte le motivazioni dei provvedimenti di Tar e Consiglio di Stato sono molto articolate. Ma basta anche un cavillo per annullare - per restare al livello più vicino a noi, e cioè quello municipale - un atto di una giunta, di un consiglio o di un dirigente comunale.
La sede del Tar del Veneto, a Venezia (fonte immagine: nuovavenezia.geolocal.it)
Il Tar del Veneto è salito nuovamente in questi giorni agli onori delle cronache bassanesi per la kafkiana questione del Burger King di via Ca' Dolfin.
Vale a dire il pubblico esercizio che ha aperto la sua attività senza sapere di esercitarla in un immobile ancora privo dei requisiti amministrativi relativi alla variante urbanistica che ne ha permesso la costruzione. Sull'argomento il Tribunale Amministrativo Regionale, a seguito di due distinti ricorsi presentati dalla Beyfin Spa, si è espresso per ben tre volte con una sentenza e due ordinanze e per tre volte ha detto in sostanza che l'iter comunale doveva essere rinnovato e completato prima che l'attività commerciale - già inaugurata la scorsa primavera - possa regolarmente svolgersi all'interno di quell'immobile.
Poi è intervenuto anche il Consiglio di Stato, che gli ha dato ragione.
Morale della favola: in soli due mesi gli uffici e gli organi politici comunali hanno intrapreso una corsa furiosa degna di Mad Max per rinnovare tutti i passaggi burocratici, consentendo alla fine la convocazione d'urgenza del consiglio comunale di giovedì scorso per la riapprovazione della variante.
Ma il polpettone dell'hamburger urbanisticamente stracotto è soltanto l'ultima di una serie di questioni che indipendentemente dagli esiti dei contenziosi hanno portato il Tar ad assurgere a un ruolo di protagonista indiscusso del mandato dell'Amministrazione Poletto: una sorta di governo tecnico parallelo che ha periodicamente inciso, e non poco, sulle tempistiche e anche sui destini di alcune tra le principali questioni della cosa pubblica cittadina.
Cominciamo innanzitutto dai ricorsi al Tar ancora pendenti.
Il più rilevante, senza dubbio, è quello presentato lo scorso aprile dalla Confcommercio mandamentale in merito al progetto del centro commerciale nell'ex Area Pengo, o ex Area Morassutti, di via Capitelvecchio. L'associazione di categoria chiede ai giudici amministrativi l'annullamento della delibera di consiglio comunale del 15 febbraio 2018 di approvazione definitiva della variante al Piano degli Interventi di recepimento dell'atto di accordo Pubblico/Privato per la ristrutturazione e rigenerazione urbana del complesso commerciale, promossa dalla proprietà privata Finpengo Spa.
Riguardo al progetto per il quale è previsto l'insediamento di una nuova Grande Struttura di Vendita con superficie di vendita complessiva di 8000 mq., Confcommercio contesta principalmente il fatto che sia stato approvato in difformità alla nuova legge regionale sul territorio (29 dicembre 2017), la quale impone che la realizzazione di strutture commerciali con superficie di vendita superiore ai 4000 mq nei Comuni non capoluogo di provincia è subordinata alla preventiva approvazione di un Piano di assetto del territorio intercomunale, siglato con tutti i Comuni confinanti. Accordo tra municipalità che, nel caso in questione, non è stato fatto. La Regione Veneto, a tal proposito, si è già espressa affermando che l'approvazione del piano “è in contrasto con la legge regionale” e pertanto l'area “non è urbanisticamente idonea”. Da qui la richiesta alla Provincia di Vicenza, competente per la pianificazione del territorio, di “accertamento della legittimità della delibera comunale, con potere di annullamento”. Lo stesso accertamento che Confcommercio ha richiesto ai giudici amministrativi che, ovviamente, decideranno in autonomia. Ma provate a immaginarvi le conseguenze se e qualora il Tar desse ragione ai ricorrenti. Quella stessa Confcommercio che, tanto per non farci mancare nulla, sempre quest'anno e sempre in aprile ha impugnato al Tar del Veneto anche la delibera del Comune di Bassano sulle tariffe rifiuti 2018.
Non tutte le sentenze del Tar - come nel caso Burger King - sono state avverse all'Amministrazione.
Ad esempio nell'agosto 2016 i giudici amministrativi avevano respinto, dichiarandolo “inammissibile per difetto di giurisdizione”, il ricorso presentato dalla ditta Andreola Costruzioni Generali Spa con Termoidraulica Sbrissa Srl contro il Comune per il subentro nell'appalto del cantiere del Polo Museale Santa Chiara.
La Termoidraulica Sbrissa era la ditta che si era costituita in RTI (Raggruppamento Temporaneo d'Impresa) con la capogruppo Adico Costruzioni Srl di Maser per la costruzione del primo stralcio del Polo Museale. Dopo il blocco del cantiere per il fallimento della Adico, nel primo semestre dell'Amministrazione Poletto e cioè nell'ottobre del 2014, la Sbrissa si era consociata con la Andreola, terza classificata nella gara d'appalto, richiedendo al Comune il riaffidamento dei lavori. Lavori che l'Amministrazione - notoriamente - non voleva più fare, vagheggiando il progetto sostitutivo del Teatro Civico. Poi le cose, come ben sappiamo, sono cambiate.
Ma intanto nell'aprile 2015 il Comune escludeva le due ditte dal rapporto di appalto e partiva il ricorso al Tar contro il provvedimento, poi bocciato l'anno successivo.
Con quella sentenza cambiavano comunque i destini dell'importante cantiere: nel settembre 2016 la Nico Vardanega Costruzioni Srl di Possagno, seconda in graduatoria e contemporaneamente impegnata nel braccio di ferro giudiziario per l'affidamento dei lavori del Ponte, accettava di subentrare nell'appalto per il completamento della costruzione del Polo. Tutto il resto è già storia.
Ma non finiva qui: nel gennaio 2017 partiva un nuovo ricorso al Tar sempre su iniziativa di Andreola e Sbrissa. Secondo i ricorrenti il Comune aveva affidato i lavori alla Vardanega mentre sulla questione era ancora pendente un procedimento giudiziario presso il tribunale ordinario. Di questo secondo ricorso, a dire la verità, si sono perse al momento le tracce. Ma ha comunque contribuito a rimpinguare la nutritissima voce di spesa che ha caratterizzato il mandato di questa Amministrazione: quella per gli incarichi legali.
Ma la madre di tutte le sentenze del Tribunale Amministrativo Regionale nel corso dell'attuale mandato amministrativo bassanese resta, e resterà per sempre, quella sull'appalto dei lavori del Ponte. Qui i giudici amministrativi di primo grado, per la verità, agli inizi avevano creato agli occhi del Comune l'effetto “la grande illusione”.
Il ricorso al Tar era stato presentato nel marzo 2016 dalla Vardanega contro il provvedimento comunale che l'aveva esclusa dall'appalto, dopo essere stata dichiarata vincitrice della gara a procedura negoziata, per presunti vizi riscontrati nel contratto di avvalimento con il Consorzio Al.Ma. di Aversa.
Poi, il 7 aprile, il primo pronunciamento del Tar con un'ordinanza che respingeva l'istanza di “sospensione cautelare dei lavori” (e cioè il blocco del cantiere in attesa della sentenza) del ricorso dell'impresa possagnese poiché “non sostenuta da idonei elementi”.
Ma fissando al successivo 6 luglio - attenzione attenzione - l'udienza per la trattazione del merito del ricorso stesso.
L'Amministrazione di Bassano cantava vittoria. E mentre Vardanega presentava ricorso al Consiglio di Stato contro l'ordinanza del Tar, il Comune affidava immediatamente e in via definitiva l'appalto alla INCO Srl di Pergine Valsugana, seconda in graduatoria.
Quello che è seguito, sul fronte comunale, è stato degno del Manuale della Sfiga Applicata.
11 aprile 2016: il Consiglio di Stato respingeva un'istanza della Vardanega che chiedeva di accelerare la decisione dei giudici amministrativi di secondo grado.
“Il Consiglio di Stato respinge il ricorso della Vardanega Costruzioni Srl”, intitolava trionfalmente un comunicato stampa del Comune di Bassano. Ma non era così.
2 maggio: il Comune consegnava il cantiere del Ponte alla INCO Srl, nonostante fosse ancora pendente il ricorso di Vardanega al Consiglio di Stato.
12 maggio: clamoroso stop del Consiglio di Stato ai lavori sul Ponte. Accolta la richiesta di sospensiva del cantiere presentata da Vardanega. Tutto bloccato, dopo soli dieci giorni dalla consegna dei lavori alla INCO, in attesa dell'udienza del 6 luglio del Tar sul merito del ricorso della ditta possagnese e della successiva pubblicazione della sentenza.
30 settembre: pubblicazione della altrettanto clamorosa sentenza del Tar emessa nell'udienza del 6 luglio. Il Tribunale Amministrativo Regionale dava ragione alla Vardanega, a cui veniva riconosciuta la titolarità ad eseguire i lavori.
Il Comune di Bassano del Grappa veniva obbligato a recedere dal contratto con la INCO Srl e alla stipula del contratto con la Nico Vardanega Costruzioni Srl.
E anche qui tutto il resto è già storia.
“Il giudice ci ha condannato a lavorare con Vardanega”, ha dichiarato il sindaco Riccardo Poletto nel corso di un consiglio comunale dopo la rescissione del contratto di appalto con l'impresa di Possagno. Come dire: il Comune è stato condannato a lavorare con la ditta che era stata invitata alla gara, e prescelta in prima istanza, dal Comune medesimo.
Così è, se vi pare.
Quelli ricordati sopra, egregi lettori, sono solo i casi più eclatanti del frequente incrocio tra gli atti del Comune di Bassano del Grappa e i giudici amministrativi di Venezia.
L'elenco è infatti assai più corposo e comprende diversi ulteriori contenziosi - alcuni vinti, alcuni persi, alcuni ancora pendenti - intentati, in questo quasi quinquennio, da varie ditte e da singoli cittadini per questioni che non richiamano gli onori della cronaca.
Fa eccezione in questo senso il ricorso al Tar presentato nell'ottobre 2017 dalla ditta Belfiore 90 di Bortoli Antonio & C. Snc - promotrice del famoso progetto della centralina idroelettrica sul canale Arcon in via Pusterla, a pochi passi dal Ponte - per l'annullamento del provvedimento della Commissione Regionale per il Patrimonio Culturale del Veneto, emanazione del Ministero dei Beni e Attività Culturali, sulla “tutela indiretta” del contesto monumentale che si sviluppa attorno al Ponte Vecchio. Una disposizione che, in sostanza, fissa un'“area di rispetto” entro la quale vengono vietate modifiche al paesaggio e alla morfologia degli edifici.
In questo caso il contenzioso promosso dal privato riguarda un atto ministeriale, ma il Comune di Bassano - la cui avversità nei confronti della centralina è risaputa - ha ritenuto comunque di costituirsi in giudizio, motivando la decisione con “la tutela del Ponte Vecchio, simbolo per eccellenza della città (...), nonché del contesto storico, artistico e monumentale, preziosissimo per la città di Bassano del Grappa, che si sviluppa attorno al manufatto palladiano (...)”. E conferendo a tal proposito l'ennesimo incarico legale all'avvocato di turno.
La litigiosità sugli atti municipali e non solo, dunque, è sempre dietro l'angolo. Trasformando il Tribunale Amministrativo Regionale in una autentica presenza immanente nell'operato e nelle vicissitudini dell'Amministrazione comunale: quasi un ritrovo abituale in cui darsi ciclicamente appuntamento. Eravamo quattro amici al Tar.
E la storia - stiamone certi - non finisce qui.
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