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Alessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it
Il deflusso
Come l'acqua pompata dalla tura e restituita al fiume, serve un esame di coscienza dell'Amministrazione per attingere chiarezza dagli errori compiuti sulla vicenda Ponte e restituirla alla normalità
Pubblicato il 20-05-2018
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La visione della tura di cantiere del Ponte soggetta a rimozione forzata per ordine del Comune, coi primi solchi di benna dell'escavatore della Brenta Lavori Srl che ne testimoniano l'inizio esecuzione, ricorda l'immagine di un campo di battaglia dopo che i due eserciti contrapposti sono rientrati nelle retrovie. Qui ancora non c'è un vincitore e non c'è uno sconfitto: sarà un giudice, prima o poi, a stabilirlo. Dopo la risoluzione in danno del contratto d'appalto un vero e proprio contenzioso giudiziario non è ancora in essere, ma l'avvio di una vertenza in tribunale intentata da Vardanega potrebbe essere questione di qualche settimana, se non di qualche giorno. Siamo alla fase delle ultime schermaglie via corrispondenza certificata tra l'ex appaltatore e il Comune, poi la vicenda passerà inevitabilmente dagli uffici tecnici agli studi degli avvocati. Sarà la nuova storia parallela alla storia del restauro, vale a dire della ripresa e della continuazione dei lavori, e il problema è che il Ponte “legal” rischia in questo momento di promettere molte più notizie nei prossimi mesi rispetto al Ponte “executive”.
L'Amministrazione comunale si sta disfando della tura, dopo averlo inutilmente ordinato alla ditta di Possagno - che pure si era dichiarata disponibile a smantellarla ma solo dopo un'ulteriore verifica dello stato di consistenza del materiale accumulato sul fiume -, quasi a disfarsi, sia materialmente che simbolicamente, della stessa controparte.
Ufficialmente, la rimozione della diga di cantiere dopo il termine della “finestra lavorativa” invernale è dettata da motivi di “necessità e urgenza” al fine di prevenire “gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica” nell'evenienza, in questo periodo, di una piena del Brenta che trovandosi l'alveo ristretto dalla tura di Penelope, e col suo carico di “entità solide” trascinabili dalle acque, finirebbe col “colpire le fragili strutture verticali del Ponte degli Alpini, con conseguente concreto pericolo di collasso”.
Le tre pompe sommerse per il deflusso dell'acqua di tura (foto Alessandro Tich)
Senza contare il pericolo “per la pubblica incolumità, per la staticità degli edifici latistanti, per l'integrità fisica delle persone presenti in tali edifici e negli spazi pubblici interessati, nonché per l'esistenza stessa del monumento nazionale tutelato”.
Così ha scritto l'ordinanza contingibile e urgente del sindaco Poletto, indirizzata alla Vardanega, per la rimozione immediata delle ture in alveo e così scrive anche il verbale di somma urgenza di martedì scorso 15 maggio con il quale il RUP Diego Pozza ha affidato d'ufficio alla Brenta Lavori l'intervento di rimozione delle ture “a tutela della pubblica incolumità”.
Eppure, esattamente un anno fa e cioè nel mese di maggio 2017, questo grido di allarme sulla presenza di “ostacoli” a ridosso del Ponte in un periodo a rischio di brentane primaverili non risultava da alcun atto. Era stato anzi lo stesso Comune di Bassano del Grappa - in un momento già di intenso “botta e risposta” con l'appaltatore che aveva preso possesso del cantiere da soli quattro mesi - a sollecitare la Vardanega a costruire la tura per la finestra lavorativa estiva in programma da giugno a settembre.
È del 22 maggio 2017 una comunicazione del Comune alla ditta per l'autorizzazione all'accesso in alveo in sinistra Brenta dell'impresa sub-appaltatrice (sempre la Brenta Lavori Srl) per i lavori di costruzione della “strada” in mezzo al fiume. Ed è del 26 maggio una comunicazione urgente di Vardanega con la quale si dichiara che “l'impresa ha già tutta l'organizzazione predisposta per entrare in alveo”.
Come dimostra inoltre una nostra foto scattata e pubblicata il 9 giugno 2017 (www.bassanonet.it/news/26464-portate_rispetto.html), a quella data - e cioè il giorno precedente all'inizio del 10 giugno della finestra lavorativa estiva - la tura, cominciata a fine maggio, era già costruita per circa la metà. Anche se in versione “abbassata”, su iniziativa della ditta, rispetto alle più alte ture di progetto poi imposte dalla Direzione Lavori per la finestra invernale 2018.
E allora - al di là dei contrasti e delle tempistiche del tura e molla conseguente alla risoluzione del contratto - qualcuno prima o poi mi dovrà spiegare perché l'anno prima il mese di maggio e la prima decade di giugno sono stati ritenuti un periodo utile e anzi necessario per innestare sul fiume l'ingombro di ghiaia e di massi mentre l'anno dopo la permanenza di tale ingombro nello stesso periodo è stata considerata, e con tanto di parere idraulico di un consulente dell'Università di Padova, nientemeno che un grave pericolo per la pubblica incolumità e per l'esistenza stessa del Ponte di Bassano.
Concentriamoci, adesso, sullo stato di fatto. La rimozione d'ufficio della tura è in corso e gli oneri dell'intervento saranno imputati dal Comune alla Vardanega.
Sarà anche questo pane per gli avvocati delle due parti. Restano in sospeso ancora due questioni residue che continuano a surriscaldare le Pec di via Matteotti e di Possagno: il destino delle tre pompe sommerse per il deflusso dell'acqua di tura che Brenta Lavori ha chiesto a Vardanega di “lasciare a disposizione” e il “riconoscimento economico” per le puntellazioni della prima e seconda stilata che la Direzione Lavori esclude dall'inserire in contabilità. Ma questi, oramai, sono dettagli. Manfrine conclusive di un campo di battaglia rimasto sguarnito in attesa di dichiarazioni di guerra su altri fronti.
Ciò che interessa ora, con esclusivo riferimento all'intervento di ripristino e consolidamento del Ponte di Bassano, è la prospettiva.
Visti i ritmi dello scavo e del trasporto materiale di Brenta Lavori la rimozione completa della tura dovrebbe terminare circa a metà giugno, con la “finestra lavorativa” estiva già iniziata. Quindi, secondo la logica più elementare, lo stesso giorno in cui verrà rimosso l'ultimo sasso dovrebbero partire i lavori per la ricostruzione della tura appena smantellata. Ma ciò significherebbe che, nel frattempo, è già stata trovata dal Comune la ditta in graduatoria disposta a subentrare nell'appalto, siglato il contratto e firmato il verbale di consegna dei lavori. Ma rispetto a questa eventualità è assai più probabile che Renzo Rosso dichiari di tifare Inter.
Lo stesso sindaco Poletto è stato molto cauto sull'incertezza dei tempi, da una parte, di riaffidamento dell'appalto e, dall'altra, di ripresa del cantiere che addirittura rimarrebbe bloccato fino alla prossima finestra invernale.
Me ne sono già occupato più volte e non è questa la sede per ribadire i vari “perché” che tengono attualmente l'iter dell'appalto con le spalle, sia sinistra che destra, al muro.
Con la rimozione delle barriere e col ritorno fino a nuovo ordine dell'acqua in scorrimento nella sua interezza tra i quattro rostri malandati del Ponte ritornerà anche, nella sua interezza, la consapevolezza della vulnerabilità del monumento nei confronti delle azioni della natura e soprattutto, in questo caso, anche dell'uomo.
Fino a che non si capirà quando e soprattutto come ricominciare, si avvicina il momento più delicato di tutta questa annosa e incredibile vicenda. È il momento del deflusso: come l'acqua pompata dallo specchio di tura e restituita al fiume, serve un esame di coscienza, dell'Amministrazione in primis, per attingere chiarezza dagli errori compiuti - a cominciare dai peccati originali di una progettazione d'urgenza e di una gara d'appalto d'urgenza - e restituire tutta questa storia alla normalità.
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