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Alessandro TichAlessandro Tich
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Adiós, Italia

La nuova vita di Francesco Celotto, già volto noto della politica bassanese. Si è trasferito in Cile dove aprirà un'impresa in campo alimentare. “Lascio un Paese gattopardesco e privo di futuro nel quale trionfano i servi furbi”

Pubblicato il 07-02-2018
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È passato solo un quinquennio, ma sembrano trascorsi anni luce da quando nel 2013 Francesco Celotto si era candidato al Senato, nel collegio di Bassano del Grappa, per il Movimento 5 Stelle di cui era un noto attivista locale nonché portavoce.
Ricordo ancora la sua conferenza stampa in campagna elettorale, le grandi attese di quel momento, la dichiarata voglia di cambiare il Paese partendo da quelli che all'epoca erano i 20 punti dell'“Agenda Grillo”. Francesco Celotto non venne eletto al parlamento, collocato in una posizione di lista che col sistema elettorale di allora rendeva l'impresa di fatto impossibile. Ma ha continuato a dire la sua, vivendo prima delle contrastate vicende all'interno del M5S e finendo poi con l'essere espulso dal Movimento per avere osato criticare il grande capo. Quindi, con l'associazione A.S.E.V. (Associazione Sviluppo Economia Veneto), si è occupato pubblicamente dei grandi temi di Bassano, del territorio e dell'economia. Dicendo sempre pane al pane senza mandarle a dire e guadagnandosi sul campo, come da un mio articolo del 2014, la qualifica - da lui mai contestata e anzi pienamente riconosciuta - di “rompiscatole”.
Figlio del compianto professor Antonio F. Celotto, indimenticato studioso e divulgatore delle tradizioni dell'area pedemontana, non si è mai tirato indietro dall'impegno prima politico e poi sociale in un contesto in cui ha sempre agito da scomodo dissidente.

Francesco Celotto in escursione domenica scorsa su un vulcano cileno

E la sua attenzione, dal 2015 fino all'anno scorso, si è concentrata sul crollo delle due banche popolari venete - BPVi e Veneto Banca -, riguardo al quale ha promosso diversi incontri pubblici già in tempi non sospetti e iniziative di sensibilizzazione, nella veste anche di vicepresidente dell'Associazione soci banche popolari venete.
Fino a che, a fine 2017, ha mollato tutto. Ha preso un aereo e si è trasferito in Cile.
“Cambio vita e volto pagina”, mi ha scritto su WhatsApp il 30 dicembre. “Inutile perdere ancora tempo - ha scritto ancora nel messaggio, col linguaggio schietto che lo contraddistingue - qua in un Paese che non cambierà mai e promuove leccaculo e furbi.”
Adiós, Italia. Dagli Appennini (o per meglio dire dal Grappa) alle Ande, una storia di nuova emigrazione motivata non dalle cause consuete per le quali si emigra, ma come reazione a un profondo senso di rabbia e di frustrazione nei confronti del proprio Paese di origine.

Francesco Celotto: partiamo dal presente. Di che cosa si occupa oggi in Cile?
“Sono in Cile da poche settimane e sto organizzando tutti gli aspetti della mia vita. Sto lavorando per l'apertura di un laboratorio di produzione di pasta fresca e di dolci. Qui in Cile sono ancora indietro a livello culinario ma amano i prodotti italiani. L'idea è quella di proporre sul mercato locale produzioni 100% made in Italy, quindi di alta qualità. In futuro potrebbero aggiungersi altre attività di import di prodotti italiani.”

Come è nata l'occasione di trasferirsi proprio in Cile?
“Un anno fa circa ho fatto un viaggio da turista in questo Paese e ne sono rimasto piacevolmente colpito dall'efficienza, dalla stabilità e anche dalla bellezza naturale.
Da lì è nata l’idea di trasferirsi per aprire una attività imprenditoriale grazie anche ai consigli di alcuni conoscenti che operano nel Paese da anni e me ne hanno parlato molto bene. Nel frattempo ho conosciuto dei legali cileni che mi stanno aiutando a sbrigare tutte le pratiche burocratiche per l'apertura della società. Il governo cileno distribuisce aiuti alle start-up, anche straniere di tutti i settori, con aiuti a fondo perduto che arrivano anche a 30/40.000 euro dell’investimento. Il sistema bancario è buono, stabile e i finanziamenti alle imprese a tassi convenienti. Preciso che da alcuni anni stavo cercando un Paese dove trasferirmi dopo essere ritornato in Italia nel 2010. In precedenza avevo vissuto in Spagna e Polonia per circa 10 anni lavorando per importanti aziende e come imprenditore.
Il Cile mi è piaciuto perché coniuga la stabilità e il buon andamento dell’economia con la giovialità e la simpatia della gente. È un paese giovane: età media 33 anni (contro i 44 dell’Italia ). Un Paese in crescita che sta cambiando pelle, aperto agli investimenti, con una relativamente bassa tassazione (24% per le imprese), privo di corruzione e con una giustizia che funziona. Tutti elementi necessari per fare impresa. Quest’anno il Pil dovrebbe crescere del 3% circa e il settore del turismo e relativi servizi è in grande crescita. Insomma un Paese interessante dove fare affari. Ho quindi deciso di puntarci, come feci in passato in Polonia con buoni risultati.”

Perché ha deciso di cambiare vita?
“Ho deciso di lasciare l’Italia, come già feci in passato, perché lo trovo un Paese vecchio, privo di prospettive, una sorta di museo bellissimo e pieno di cose interessanti ma appartenenti appunto al passato. Un Paese con poco futuro, dove si vivacchia ma non esiste una vera cultura dinamica d'impresa. Dopo la mia precedente esperienza all’estero tornai in Italia nel 2010 con la speranza di poter far qualcosa, di contribuire al cambiamento da più parti prospettato ma mi sono sbagliato. In realtà tanti italiani non vogliono cambiare, ma vogliono galleggiare. Forse si sono abituati ad un certo stato di cose. Di fronte all’evidenza e dopo aver promosso varie iniziative in ambito culturale, sociale e politico, di fronte all’evidente retrocedere del Paese e di fronte all’immobilismo e alla totale assenza di prospettive mi sono guardato attorno. E ho deciso che sarei ripartito. In fin dei conti sono sempre stato con la valigia in mano.”

Che cosa non le andava più giù, in particolare, dell'Italia?
“Premesso che l’Italia è un Paese unico a livello di bellezze artistiche, storiche, a livello culinario e di produzione di alta moda, lo definisco un Paese gattopardescamente circolare. Forse unico anche da questo punto di vista. Un Paese in cui la mobilità sociale è bassissima, in cui si ragiona come se fossimo ancora al tempo dei Guelfi e dei Ghibellini, in cui esistono localismi e parrocchiette a non finire. Un Paese dove non si riesce a fare rete, dove manca assolutamente la cultura civica, il senso di appartenenza allo Stato (salvo quando gioca la Nazionale di calcio!). Non mi va giù dell’italiano medio questa mentalità mafiosetta per cui il furbetto di turno, l’amico dell’amico va sempre avanti a prescindere dalle capacità, dalle competenze. È un Paese nel quale trionfano i servi furbi. Prova ne sia la quantità crescente di persone qualificate che se ne vanno; pensiamo ai tanti brillanti giovani precari nel mondo universitario che vanno all’estero e trovano università prestigiose che aprono loro le porte. Perché da noi il merito non trova quasi mai spazio? Perché da noi esistono tanti dinosauri che continuano ostinatamente a non farsi da parte e promuovono magari i loro mediocri figli? Perché gli italiani continuano a fare finta di voler cambiare ma poi davvero non cambiano mai? Le vere rivoluzioni le hanno fatte i francesi, gli inglesi, gli americani. Noi no. Mi pare che l’Italia sia un paese di gente che gira in tondo per poi tornare allo stesso punto di partenza. Da noi servirebbe una vera rivoluzione culturale e civica. Senza questa a poco serviranno tentativi che comunque sbatteranno sulla antropologia conservatrice e furbesca dell’italiano medio.”

Nel messaggino che mi ha mandato a fine anno prima di partire, lei definisce l'Italia “un Paese che non cambierà mai e promuove leccaculo e furbi”. Siamo davvero messi così male?
“Come detto, il nostro Paese promuove spesso non il merito ma la paraculaggine.
Basta guardare i politici e soprattutto le liste dei candidati alle prossime elezioni politiche: quanti sono realmente i meritevoli? E questo vale trasversalmente per tutti i partiti.
Basta guardare il sistema dei media. Quanti sono i giornalisti meritevoli che fanno carriera nei media? Guardiamo al sistema delle grandi imprese pubbliche e al sistema bancario (settori che hanno a che fare con il sistema politico). Quanti manager strapagati e dalle modeste competenze. Come mai? Guardiamo poi al sistema delle imprese pubbliche partecipate. Sono di fatto un paracadute per politici trombati.
E potrei andare avanti nella lista. Un Paese dove per tanti posti rilevanti non viene premiata la capacità ma la fedeltà è un Paese senza futuro, condannato ad un eterno presente, nel quale non esiste una classe dirigente con un progetto per il rilancio del Paese ma solo ed unicamente per la conservazione della casta dominante.
Quando poi qualcuno tenta di cambiare, di apportare nuove idee viene malvisto, stroncato, emarginato. Il bello è che poi chi comanda o influenza l'opinione pubblica manipola anche quei gruppi o quelle persone che vorrebbero davvero cambiare (ad esempio basti pensare alla metamorfosi subita dal Movimento 5 Stelle, ma ci torno poi sul punto).
In Italia o ti adegui o sei out, anche perché è difficile innovare in un Paese di vecchi che tendono a conservare lo status quo piuttosto che a promuovere i cambiamenti.
Con un quadro del genere è facile capire che vanno avanti quasi sempre solo gli amici dei capi, i leccaculo e i servi furbi, tutta gente che punta solo a mantenere il potere dei soliti senza davvero voler cambiare. Credo proprio che siamo messi male e che dato che l’età media avanza non si prospetti per il futuro nulla di buono.”

Ha citato i 5 Stelle. La politica italiana, di cui lei in passato ha fatto parte come candidato al Senato per il M5S e che si appresta alle prossime elezioni, la segue ancora?
“Seguo sporadicamente la politica nazionale e come detto non posso non notare il progressivo scadimento nella qualità della offerta elettorale. Non saprei proprio chi votare e non mi sento rappresentato da nessuno dei quattro “leader” attuali (Renzi, Berlusconi, Salvini, Di Maio). Quest’ultimo in particolare ha tradito quasi tutti i valori e le idee che stavano alla base del progetto a 5 Stelle nato nel 2009. In realtà non è lui che lo ha tradito (non credo proprio che Di Maio abbia un simile potere), ma è piuttosto il Movimento 5 Stelle che ha cambiato pelle per cercare di accalappiarsi i voti degli elettori moderati, rinunciando a tante proposte antisistema, diventando un partito normale, che si adegua a quello che vuole davvero chi comanda, cercando di presentarsi quasi con una faccia moderata. Di Maio è un normalizzatore in questo senso ed è sintomatico che Grillo si sia fatto da parte. In ogni caso il Movimento 5 Stelle non avrà mai i numeri per governare e l’Italia si appresta al governissimo-papocchio che garantirà lo status quo ed il proseguimento delle solite politiche. Anche perché Bruxelles non ci permetterebbe mai di sforare gli indici di bilancio e di finanziare il reddito di cittadinanza o la flat tax proposta da Salvini e Berlusconi. L’Italia, con il pesante debito pubblico che si ritrova, l'alta spesa pensionistica e previdenziale, ha un solo modo per risollevarsi: recuperare l'alta evasione ed elusione fiscale e ridurre la corruzione, una tra le più alte al mondo. Insieme valgono, a stare bassi, quasi 300/400 miliardi all’anno. Qualche partito vuole davvero combattere queste due piaghe? Quanti voti rappresentano? Se pensiamo a questo capiamo che nessuno vuole davvero risolvere questi due problemi. Un Paese con un livello così alto di corruzione ed evasione non potrà mai risollevarsi ed avere una forte crescita economica. Tralasciando l’alto livello di criminalità esistente che drena risorse importanti al territorio e all’economia legale.”

Negli ultimi tempi lei si è occupato, con numerosi incontri e con interventi anche nelle Tv nazionali, del tracollo delle banche venete. Che idea si è fatto su questo dramma?
“Il dramma delle banche venete si inserisce purtroppo nel contesto finanziario italiano. Un contesto nel quale la Banca d’Italia e la Consob si rinfacciano mancati controlli su due banche importanti e vitali per il nostro territorio. La giustizia sta intervenendo tardivamente sul problema e la sensazione amarissima è che nessuno pagherà.
Gli unici che pagheranno sono i soliti “pantaloni” ovvero i risparmiatori delle due banche azzerati. Il governo alla fine ha deciso di salvare la parte buona delle due banche, regalandole di fatto a Banca Intesa e privando di fatto i vecchi soci di qualsiasi possibilità di recupero, dichiarando il fallimento dei due istituti. Che dire? Una storia triste che mi amareggia ulteriormente perché ho l'impressione che i veri responsabili alla fine non pagheranno, se non in maniera marginale, per l’assurdo sistema di prescrizioni brevi esistenti in Italia (approvate, lo ricordo, dai governi Berlusconi votati democraticamente), per lo scarso potere di intervento della Banca d’Italia sulle banche e per la tardiva riforma delle Banche Popolari. Il sistema bancario è lo specchio fedele del sistema Italia: atomizzato, politicizzato almeno in parte, inefficiente. Ne è la prova lampante il livello ancora altissimo di crediti in sofferenza presenti nel portafoglio dei nostri istituti bancari. Crediti concessi spesso agli amici degli amici, senza guardare al merito creditizio ma solo ad altri parametri. Torniamo al solito sistema italiano. Avanti il paraculismo, indietro il merito. Certo una tiratina di orecchi la farei anche ai tanti, troppi risparmiatori che si sono ciecamente affidati a queste banche, investendo fette cospicue del loro patrimonio a chi non lo meritava. Purtroppo l’italiano medio, oltre ad essere uno scarso lettore (0,6 libri anno) è anche uno dei più ignoranti a livello finanziario.”

Che impressione finale ne ha tratto?
“Questa amara vicenda, giunta ormai all’epilogo con la messa in liquidazione dei due istituti, mi ha profondamente impressionato da tutti i punti di vista: la mancanza di controlli, la complicità del sistema con chi ha distrutto il risparmio, l’inefficienza e la lentezza della giustizia, la contiguità dei poteri forti locali con i dominus locali (in particolare a Vicenza con Zonin) ma anche, e devo ribadirlo, l'incapacità di tanti risparmiatori di investire i propri risparmi. Infine qualcuno ha furbescamente cavalcato questa tragedia per intascare laute parcelle (alcuni avvocati ), mentre altri (i capi di alcune associazioni di soci) alzando polveroni e minacciando rivoluzioni (senza esercito) ne hanno approfittato per farsi pubblicità e farsi candidare alle prossime elezioni.
Una tipica tragedia italiana dove sono ben rappresentati servilismo, illegalità, inefficienza, complicità, furbizia.”

Con quali occhi vede oggi l'Italia, il Veneto e Bassano a 12mila chilometri di distanza?
“Vedo l’Italia come un museo a cielo aperto, ricco di storia e di passato, dall’incerto presente e privo di futuro. Il Veneto come una regione dinamica, operosa ma ahimè conservatrice, piena di individualismo e di parrocchie, incapace di fare rete e promuoversi adeguatamente. Bassano come una graziosa cittadina di provincia che vorrebbe essere ciò che non è, vittima di troppe tribù e gruppuscoli miopi ed egoisti, incapace di visione, chiusa nel proprio orgoglio di un passato che non è più. Un po', mi si passi il paragone, come una bella donna di età avanzata appassita, sfiorita.”

Con l'Italia il suo è un arrivederci oppure un addio definitivo?
“Mai dire mai. La vita è strana e viviamo un'epoca di grandi cambiamenti.
Ho fatto una scelta precisa che mi aveva già portato anni fa, per motivazioni diverse, lontano. Ero tornato davvero con la speranza di poter contribuire a cambiare il mio Paese.
Sono deluso perché vedo invece un’Italia peggiore, da tutti i punti di vista, rispetto al 2010. Un Paese senza prospettive, chiuso a riccio, con una società civile povera di progetti, vittima di una lobby di mediocri il cui unico interesse è mantenere tutto come sta. Credevo che ce la potevamo fare, ricordo ancora i tanti progetti di quegli anni cui partecipai con grande entusiasmo. Oggi vedo solo un cumulo di macerie e una totale povertà di idee e di valori. Un vero peccato perché l’Italia avrebbe, volendolo, davvero tutte le potenzialità per risorgere. Ma fino a quando il merito e la competenza non torneranno ad essere davvero un criterio di selezione credo che non tornerò.
Purtroppo il problema dell’Italia sono gli italiani...”

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