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Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
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Stilate e stilettate

Polemico documento del Comitato Amici del Ponte Vecchio di Bassano sul progetto di restauro Carbonara-Modena. “Voler conservare una trave marcia e schiantata sotto il livello dell’acqua costituisce un gesto feticistico”

Pubblicato il 26-07-2017
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Che non abbiano gelosie, presunte pretese o inappagate mire professionali in merito al restauro del Ponte di Bassano lo fanno capire a chiare lettere, visto che - come sottolineano loro stessi - sono “tutti ritirati o pensionati”.
Ma di esperienza nel settore ne hanno da vendere e hanno ben pensato di ritornare ancora una volta, come già fatto in passato, a contestare alcuni aspetti fondamentali del progetto di ripristino e consolidamento statico del manufatto impropriamente detto “palladiano” (visto che la struttura del Ponte, così come la vediamo oggi, è in sostanza quella ereditata dalla ricostruzione del 1821 di Angelo Casarotti).
Si tratta di sei “addetti ai lavori”, tra professionisti e docenti universitari, appartenenti al Comitato Amici del Ponte Vecchio di Bassano, coordinati dall'arch. Pino Massarotto e tra i quali figura anche il geom. Fabio Pilati, responsabile del cantiere del restauro del Ponte nel 1990. Sono gli irriducibili, lo zoccolo duro dell'ambiente di quegli ingegneri e architetti bassanesi e non solo che a più riprese hanno già espresso il loro dissenso a riguardo del sistema pensato per rimettere in piedi il monumento simbolo della nostra città.

Foto Alessandro Tich

I “sei” del Comitato sono nuovamente usciti allo scoperto in occasione del sopralluogo dell'altro ieri al cantiere del Ponte - di cui in un nostro precedente articolo - compiuto dai membri del direttivo dell'Ordine provinciale degli Architetti con i professori Giovanni Carbonara (consulente storico del progetto) e Claudio Modena (progettista strutturale del restauro) e col soprintendente Fabrizio Magani. Facendo distribuire all'ingresso del cantiere, all'arrivo dei partecipanti alla “visita conoscitiva”, un polemico documento già inviato al presidente della Regione e al MiBACT e indirizzato al sindaco Riccardo Poletto e per conoscenza ai professori Giovanni Carbonara e Claudio Modena, al soprintendente dott. Fabrizio Magani, al dirigente dell'Ufficio Tecnico ing. Walter Stocco, al direttore dei lavori arch. Viviana Bonato e al RUP (Responsabile Unico del Procedimento) dott. Diego Pozza.
Lo riportiamo integralmente di seguito:

CONSIDERAZIONI SUL PROGETTO DI RESTAURO DEL PONTE VECCHIO DI BASSANO DEI PROF. GIOVANNI CARBONARA E CLAUDIO MODENA

LA STORIA


Andrea Palladio, come è noto, non ha ideato ex novo il ponte di Bassano, ma, obbligato dal Consiglio Civico di Bassano a rifare il ponte “nel modo e forma che era il precedente”, ha disegnato il nuovo ponte dandogli una sistemazione formale secondo i propri canoni classici e ridefinendo per ogni sua parte le funzioni strutturali: i rostri a monte dovevano tagliare la corrente, resistere agli urti della grande quantità di corpi galleggianti che arrivavano a grande velocità con le piene e proteggere le colonne portanti delle stilate, i rostri a valle dovevano collaborare a contrastare la spinta, il grande peso sull’impalcato (circa metà del peso insistente sulle colonne), costituito da sabbia, ghiaia e pavimento, certamente in acciottolato, aveva il compito di stabilizzare il ponte. Le filagne e le controventature fasciando la struttura avevano il compito di legare il tutto e mantenere diritte le colonne contrastando i momenti che si formavano all’appoggio. Dissertare oggi, e qui citiamo Lionello Puppi, del Ponte di Bassano come del Ponte di Palladio suona profondamente scorretto per un duplice ordine di motivi non trascurabili: perché attribuisce ad Andrea ciò che non gli appartiene, e perché sottrae a Bassano la costruzione paziente, nel tempo, della propria memoria in un segno.
Bartolomeo Ferracina (1751) e Angelo Casarotti (1820) hanno ricostruito il ponte introducendo alcune modifiche formali e strutturali, migliorando le fondazioni, ma sostanzialmente mantenendo lo schema del Palladio. In particolare Angelo Casarotti, allungando i rostri e modificando radicalmente la fondazione, ha realizzato il ponte che ha resistito maggiormente e che è giunto, pur con numerosi interventi restaurativi e sostitutivi (in particolare quelli del 1883 – 1948 – 1966 – 1992), fino ai giorni nostri ed è a questo che dobbiamo rifarci nell’affrontare l’attuale restauro.

IL PROGETTO

Trave di fondazione


Di fronte a questo progetto di restauro così ampio e costoso che tante critiche e perplessità ha suscitato nel mondo accademico, negli addetti ai lavori e anche nelle persone di buon senso, abbiamo cercato di individuare l’origine di certe scelte progettuali, in particolare della complessa, costosa e invadente trave reticolare spaziale di fondazione in tubi di acciaio inox progettata per incorporare la vecchia trave di soglia deteriorata, di impatto doppio sulla corrente rispetto alla situazione attuale, e purtroppo ben visibile dai poggioli del Ponte.
La risposta, pur immaginandola, l’abbiamo avuta dall’ufficio di progettazione locale e dallo stesso Prof. Modena: l’approccio al restauro è stato suggerito dal Prof. Carbonara ed è stato quello classico, descritto molto ampiamente nei suoi numerosi testi sul restauro, adottato quando si opera su monumenti antichi, dove si cerca di conservare il più possibile le testimonianze originali, anche sostenendo con strutture estranee le parti più significative del monumento.
Ma nel nostro caso non si sarebbe dovuto procedere per schemi, anche se consolidati, qui l’approccio sarebbe dovuto essere differente perché non siamo in presenza di un monumento statico, immobile, sottoposto soltanto alla legge di gravità, qui siamo di fronte ad una struttura lignea, quasi una macchina che lavora, che deve sostenere durante le piene grandi sollecitazioni e impatti a grande velocità di grossi tronchi che ne mettono a dura prova le fondazioni, le stilate e i nodi. Ogni parte di questa struttura ha una propria funzione ed ogni elemento, collaborando con tutti gli altri, deve essere integro per poter resistere, e, quando, per l’età o altri fattori, non assolve più al suo compito deve essere sostituito: la sostituzione di parti ammalorate o marcite è semplice manutenzione (cit. Laner) e questa è sempre stata la storia del Ponte.
Della costruzione originale di Casarotti del 1821, non restano che tre travi di fondazione (soglie), alcuni pali di fondazione e 15 colonne delle prime due stilate: voler conservare una trave marcia e schiantata sotto il livello dell’acqua costituisce un gesto feticistico che non punta alla conservazione delle intenzioni del progettista, ma al materiale che le hanno sostanziate: l’atto mentale viene messo in subordine alla materia. (cit. Laner).
I veri valori da salvaguardare di questo Ponte sono l’immagine e la concezione strutturale, non il legname con cui è costruito!

Trave reticolare d’impalcato

Altro elemento molto critico di questo progetto è la trave reticolare sull’impalcato che introduce un nuovo modello strutturale non più coincidente con il modello architettonico, con la conseguenza di creare una profonda cesura tra la sostanza e l’apparenza, tra la struttura e l’architettura. La trave reticolare sopra l’impalcato, costruzione complessa in legno lamellare, piastre e tiranti in acciaio inox e ancoraggi molto invasivi nelle antiche pareti di testa mediante tiranti precompressi che si spingono fino a 22 metri sotto il livello delle ghiaie, vuole contrastare gli effetti della spinta del fiume in piena, dando per scontata, come affermato dal progettista e come risulta dalla mancanza nel progetto di qualsiasi accorgimento per irrobustirli, la distruzione dei rostri sotto la forza della corrente e i colpi dei tronchi trasportati dal fiume. Questa impostazione rovescia la concezione strutturale originaria agendo sugli effetti e non sulle cause, affidando all’impalcato una funzione che non ha mai avuto. Questo approccio dimostra la non comprensione o la voluta sottovalutazione delle funzioni strutturali dei rostri e non tiene conto che, una volta distrutti i rostri, la violenza del fiume si abbatterebbe sulle colonne indifese provocando rotture e grandi tensioni sugli appoggi. Se poi le colonne di una stilata venissero scalzate, la funzione della reticolare d’impalcato sarebbe quella di far andar via tutto intero il ponte invece di una sola parte!

Pavimentazione

La scelta di sostituire l’attuale pavimentazione in pietra e ciottoli da un lato viene definita come un ritorno a presunte soluzioni originarie palladiane…(il ponte non è mai stato, e non poteva esserlo, pavimentato in legno), dall’altro viene motivata in particolare dalla necessità di ventilazione della struttura lignea sottostante. Le fonti antiche testimoniano chiaramente la costante presenza – nella storia del ponte - di una massicciata di notevole spessore sovrapposta all’impalcato ligneo, e di conseguenza di una pavimentazione del tutto simile a quelle stradali praticate nella nostra area fino all’inizio del secolo scorso.(riconoscibile anche in incisioni settecentesche e in immagini fotografiche del novecento).
La silografia dei Quattro Libri palladiani, per quanto compendiaria, mostra senz’ombra di dubbio una massicciata con spioventi laterali soprastante l’impalcato ligneo; ne parlano più tardi estesamente sia Tommaso Temanza (1752, che ne rileva in particolare l’importante ruolo statico, attribuendone l’intuizione addirittura a Palladio) sia Francesco Memmo (1754, che ne illustra il ripristino nella ricostruzione Ferraciniana). La scelta dell’attuale progetto è, al contrario, obbligata dalla sovrapposizione al solaio ligneo della nuova trave reticolare, che lascia alla soprastante pavimentazione solo esigui margini dimensionali. I problemi che si presenteranno (al di là della mistificazione storica) saranno: gravi difficoltà di manutenzione e di stabilità dimensionale e di forma per il materiale ligneo costantemente esposto alle intemperie (soprattutto sul lato nord), pericolosità per i pedoni, rumorosità e grandi costi sia di esecuzione (circa 1000€ /mq.) che di conservazione.
Grande è, inoltre, la nostra perplessità nei riguardi di questa Soprintendenza e della palese contraddizione fra l’imporre la conservazione di parti subacquee inservibili e il nulla obbiettare, nelle varie lettere di approvazione, circa i pesanti interventi sulla fondazione e sull’impalcato irrispettosi della struttura e della storia del ponte e sull’anti storica pavimentazione in legno,… preoccupandosi soltanto degli impianti, della attestazione SOA del personale che opererà sul legno, dei coppi da usare… senza considerare che questo patrimonio dell’umanità intera avrebbe dovuto essere salvaguardato non solo nella sua forma esteriore, nella sua apparenza, ma anche e soprattutto nella sua originalità strutturale, nella sostanza appunto.

CONCLUSIONI

Il restauro della struttura del nostro ponte dovrebbe consistere nella sostituzione delle parti deteriorate, nel rispetto dei materiali, delle forme e delle funzioni originarie, come è sempre avvenuto nel corso dei secoli, introducendo eventualmente anche elementi di rinforzo in acciaio, ma sempre rispettosi della storia e coerenti con la concezione strutturale.
Se, invece, si vuol accettare la scelta progettuale di adottare l’acciaio inox nelle parti immerse per una migliore durabilità e per una ipotetica futura più agevole manutenzione senza dover mettere in asciutto l’alveo, questo si sarebbe potuto ottenere, rispettando lo schema strutturale attuale, con una trave più semplice, più economica, meno impattante con la corrente e non visibile.

Comitato Amici del Ponte Vecchio di Bassano

Alessandro Guarnieri
, ingegnere strutturista ed ex titolare d’impresa.
Franco Laner, professore ordinario di tecnologia dell'architettura presso IUAV.
Pino Massarotto, architetto, fondatore e coordinatore del gruppo.
Fabio Pilati, geometra, responsabile del cantiere nel restauro del Ponte nel 1990.
Fabio Sbordone, architetto, storico del ponte, ex funzionario dell’ufficio tecnico di Bassano.
Enzo Siviero, professore ordinario di tecnica delle costruzioni presso IUAV.
Tutti ritirati o pensionati.
Il comitato si è costituito nell’estate 2015 con lo scopo di difendere il Ponte Vecchio o degli Alpini da questo progetto che ne snatura l’essenza e stravolge la concezione strutturale originale.
A questo comitato hanno dato il loro appoggio e solidarietà gli ingegneri e architetti di Bassano che hanno avuto l’opportunità di esaminare il progetto.

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