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Te lo do io il Palladio

Ponte degli Alpini. La replica dell’arch. Pino Massarotto alle dichiarazioni del vicesindaco Campagnolo. “Sembra poco verosimile che il nostro assessore non abbia ancora compreso quale sia il nocciolo della questione”

Pubblicato il 14-12-2015
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La storia infinita. In risposta al nostro articolo “Mastro Roberto”, con le dichiarazioni del vicesindaco di Bassano del Grappa Roberto Campagnolo sull’intervento di ripristino e consolidamento statico del Ponte degli Alpini, riceviamo e pubblichiamo integralmente il seguente lungo e articolato comunicato di replica dell’arch. Pino Massarotto, uno dei firmatari della lettera al sindaco Poletto nella quale il Gruppo di Riferimento degli Architetti e Ingegneri di Bassano contesta il metodo dell’intervento di restauro concepito - per gli aspetti strutturali - dal prof. Claudio Modena:

COMUNICATO


Sembra poco verosimile che il nostro Assessore, dopo tante polemiche, non abbia ancora compreso quale sia il nocciolo della questione. Probabilmente deve continuare a sostenere le tesi del Prof. Modena funzionali ad avallare i suoi exploit strutturali.

Veniamo dunque al punto, e scusate se mi ripeto.

Andrea Palladio, come è noto, non ha ideato ex novo il ponte di Bassano, ma, obbligato dal Consiglio Civico di Bassano a rifare il ponte “nel modo e forma che era il precedente”, ha disegnato il nuovo ponte dandogli una sistemazione formale secondo i propri canoni classici e ridefinendo per ogni sua parte le funzioni strutturali: i rostri a monte dovevano tagliare la corrente, resistere agli urti della grande quantità di corpi galleggianti che arrivavano a grande velocità con le piene e proteggere le colonne portanti delle stilate, i rostri a valle dovevano collaborare a contrastare la spinta con i loro puntoni, il grande peso sull’impalcato (circa metà del peso insistente sulle colonne), costituito da sabbia, ghiaia e pavimento certamente in acciottolato, aveva il compito di stabilizzare il ponte, le filagne e le controventature fasciando la struttura avevano il compito di legare il tutto e mantenere diritte le colonne contrastando i momenti che si formavano all’appoggio.
Bartolomeo Ferracina (1751) e Angelo Casarotti (1820) hanno ricostruito il ponte introducendo alcune modifiche formali, ma sostanzialmente mantenendo lo schema strutturale del Palladio. In particolare Angelo Casarotti, allungando i rostri e modificando la fondazione, ha realizzato la versione tecnicamente migliore nella sua lunga storia perché ha resistito, pur con gravi danneggiamenti, alle due piene più devastanti degli ultimi 500 anni: quella del 1882 e quella del 1966 ed è giunto, pur con numerosi interventi restaurativi e sostitutivi, fino ai giorni nostri ed è a questo che dobbiamo rifarci nell’affrontare l’attuale restauro.
Il ponte ha quindi una immagine, un modello strutturale e il materiale con cui è costruito: l’immagine e il modello strutturale sono i veri valori da rispettare e salvaguardare, il legno con cui è costruito no!
L’approccio al restauro di Carbonara è condivisibile se riferito a un monumento storico ad un edificio antico “statico” dove si deve conservare il più possibile anche per aver memoria dell’evoluzione nel tempo e dei vari interventi…ma non ad una struttura che “lavora” sottoposta a grandi forze dinamiche e quindi a grande usura e che ha subito nel tempo innumerevoli restauri e sostituzioni. Le sue parti quando per l’età o per altri fattori non assolvono più ai loro compiti “lavorativi” devono essere sostituite: la sostituzione di parti ammalorate o marcite è semplice manutenzione! ( v. Laner).

Il progetto, introducendo la trave reticolare, rende l’impalcato il principale elemento resistente del ponte, lasciando alle stilate una funzione solamente portante, quasi estetica e capovolge lo schema strutturale del ponte stravolgendo la concezione originale Palladiana. Ecco il motivo per cui siamo profondamente contrari a questo intervento: la questione non è se usare o meno l’acciaio e il calcestruzzo…è accettabile l’uso dei materiali moderni se permettono una maggior durata e sicurezza delle fondazioni. Utilizzare pali in cemento armato e acciaio al posto dei pali lignei infissi nella ghiaia, fare le travi di fondazione in acciaio inox sono operazioni ammesse perché non modificano l’immagine e sono coerenti con il modello strutturale originale.
Francamente non mi sembra un concetto così difficile da capire…se si vuol capire!

Il Prof. Modena, quando è stato contestato nell’incontro con gli esperti del 17 novembre, ha sostenuto, leggermente infastidito, che la trave reticolare sull’impalcato non serve fino a che i rostri restano integri e comincia a “lavorare” quando i rostri non assolvono più alla loro funzione, ma nel contempo tuttavia nel progetto non risulta una particolare attenzione all’irrobustimento degli stessi che non sono nemmeno considerati nella sue verifiche statiche del Ponte (vedi relazione tecnica strutturale).
Nella nostra lettera al Sindaco abbiamo suggerito, quindi, di rinforzare i rostri aumentando le sezioni e aiutandoli anche con l’uso di materiali moderni, rendendo superflua la presenza della reticolare sull’impalcato, la cui eliminazione farebbe risparmiare tempo e denaro e faciliterebbe le future opere di manutenzione.

E per finire, ritorno all’argomento preferito del nostro Assessore: la massicciata. Egli non perde occasione di divulgare la sua verità che fa facilmente breccia nell’opinione pubblica, ma è smentita dai documenti, dai fatti e dalla logica.

Per quanto riguarda i documenti:

Vedi Tommaso Temanza, Vita del Palladio :…”ma siccome il principale artifizio dell’intessuto di quest’opera consisteva nel caricarla in modo che il gravissimo peso stringendo i cavalletti e premendo sulle pile la rendesse ferma e immobile, così volle il Palladio farvi sopra una loggia coperta di 25 intercolunni con i suoi architravi su cadauno dei lati. Caricò anche il solaio, o vogliam dire la via del ponte, di grossissimo strato di ghiaia onde rassicurare maggiormente l’opera stessa. Di fatto non c’è cosa più atta del peso a rendere ferma ed immobile una mole, massime se resister deve al corso e all’urto continuo”….
Si ritiene quindi che il Temanza, pur essendo vissuto duecento anni dopo il Palladio, abbia avuto fonti certe per queste affermazioni. D’altra parte la logica stessa ci dice che il ponte non poteva che essere pavimentato in ciottoli, essendo l’unica via di passaggio dei carri trainati da animali. Certo e storicamente provato è che sia il ponte di Ferracina che quello di Casarotti avevano una robusta massicciata ed erano pavimentati in ciottoli.

Vedi: Francesco Memmo – Vita e macchine di Bartolomeo Ferracina pag 206/207:….e allora si pensò di ricoprirne il piano con la terra…il Ferracino però, siccome in tutte le altre operazioni, così anche in quella studiando al risparmio, s’immaginò di volersi valere della stessa sabbia del fiume, giacchè ne giaceva raccolto un grande ammassamento ai piedi del ponte… ideò quindi, servendosi della sua macchina, un sistema per sollevare la sabbia sopra il piano del ponte….in ventiquattro ore precise di lavoro si compiè interamente: e sì lo trasportaro di cotesto terreno non si calcola meno di mille carri per la quantità, e di un milione di libbre per il peso…(che, fatti i debiti calcoli, significa uno spessore di circa 50 cm. di sabbia)…Sopra di questo poi si condussero sessanta carri circa di calcinaccio
( questo per compattare la sabbia e poter posare la pavimentazione).

Per quanto riguarda i fatti più recenti non so se i progettisti si siano resi conto dei numerosi cunei apparsi, dopo la rimozione della massicciata, sotto alla trave che regge la balaustra….Questi cunei, di spessore variabile, il più alto misura circa 20 cm, sono stati messi presumibilmente nel ’48 dai nostri Alpini (e riposti in opera nel restauro del 1967) che, dovendo ricostruire completamente la copertura, e non avendo la possibilità di ricostruire anche le due stilate lato Bassano, hanno dovuto allungare alcuni pilastri della copertura e “spessorare” per mettere in piano la balaustra, la copertura e il piano di passaggio. Questo fatto, quindi, testimonia che una parte del cedimento attuale è anteriore al 1948 e spiega come lo spessore della massicciata nel settore est del ponte arrivi anche a oltre 60 cm.. L’ing. Bonato, direttore dei lavori e il geom. Pilati, assistente al cantiere, nei lavori del 1990 non hanno e, non avrebbero neanche evidentemente potuto aggiungere nulla allo spessore della massicciata, dato il livello fisso della trave parasassi e della
balaustra, se non una “monta” verso l’asse del ponte per permettere lo scolo dell’acqua valutabile in circa 8 cm. (2%).
Il maggior e più veloce cedimento della seconda stilata nell’ultimo anno è dovuto, come mostrato dalle foto subacquee, allo schianto della trave di soglia addirittura perforata dai moncherini delle colonne, e non serviva una perizia per dimostrarlo, bastava guardare.
Il maggior peso aggiunto nel ’48 può aver invece influito nell’incurvamento delle travi del solaio, che, tolto il peso hanno avuto, per la resilienza, un “ritorno” di alcuni millimetri.

L’Assessore, però, non perde l’occasione anche nell’ultima intervista di ritirare fuori la sua “bufala” sulla massicciata arrivando a sostenere, a dimostrazione, che il cedimento si è fermato perché è stato tolto il peso, tacendo però sul fatto che sotto la soglia di fondazione sono stati messi due martinetti idraulici che la sostengono….
Sarebbe ora che l’Assessore Campagnolo la smettesse di prendere in giro i cittadini con queste sparate da “mercante in fiera”.

14/12/2015

Pino Massarotto

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