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Brassaï. L’occhio di Parigi

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it

Attualità

La piccola Babele

Case della Danza, tema senza frontiere: relatori e spettatori da tutta Europa al seminario “Building a Dancehouse”, promosso dal CSC - Centro per la Scena Contemporanea e dalla rete europea EDN al Museo Civico di Bassano

Pubblicato il 21-08-2015
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Brassaï. L’occhio di Parigi

Ti accorgi quanto è bello il nostro Paese quando lo guardi con gli occhi degli altri. Piacevolmente immersi e attivamente rilassati, durante una pausa dei lavori, in quella sorprendente oasi nel pieno centro storico di Bassano che risponde al nome di Chiostro del Museo Civico - già Chiostro dell'ex convento di San Francesco -, depositario di antiche pietre e di architetture in grado di fornire quelle suggestioni visive ma anche spirituali che gli ospiti stranieri di una certa cultura, in Italia, sanno cogliere e apprezzare.
Gli altri, nella fattispecie, sono i partecipanti all'atelier-seminario “Building a Dancehouse” (“Costruire una Casa della Danza”) organizzato tra ieri e oggi dal CSC (Centro per la Scena Contemporanea) di Bassano del Grappa e dall'EDN - European Dancehouse Network nella Sala Chilesotti del Museo.
I partecipanti all'evento, relatori compresi, provengono infatti da tutti gli angoli di Europa: artisti, coreografi, architetti, studiosi e soprattutto responsabili dei vari centri di promozione della danza contemporanea aderenti alle rete EDN.

I lavori dell'atelier internazionale in Sala Chilesotti al Museo Civico

La lingua veicolare dell'incontro è stata - ovviamente - l'inglese, con tanto di traduzione simultanea nel corso dei lavori. Ma se il pubblico e i relatori si mettessero a parlare ciascuno nella propria madrelingua, spunterebbe una piccola Babele: francese, tedesco, spagnolo, catalano, olandese, portoghese, polacco, finlandese. Anche i moderatori della due-giorni bassanese sono cosmopoliti: la freelance reporter Dany Mitzman, giornalista britannica trapiantata a Bologna, e l'olandese Gabriel Smeets, attuale direttore del Cullberg Ballet di Stoccolma.
Una piccola comunità internazionale che è confluita a Bassano. Cosa che del resto è normale, trattandosi di un appuntamento incluso nell'attività di Operaestate Festival, incessante volano di progettazioni europee, e inserito nel programma della prima settimana - dedicata alla danza - di B.Motion: la rassegna del Festival sui “nuovi linguaggi” delle arti performative contemporanee che tradizionalmente porta un pezzetto di mondo in riva al Brenta. E che ai fatti del mondo è inevitabilmente legata: nella prima giornata di ieri è stata infatti ricordata la drammatica morte di Khaled Asaad, l'archeologo siriano di 82 anni, per 50 anni responsabile del sito archeologico di Palmira, barbaramente ucciso per mano dell'Isis dopo essere stato picchiato e torturato. Prima di ogni spettacolo è stato osservato un minuto di silenzio, in sua memoria e in segno di protesta per le distruzioni del patrimonio culturale che si stanno compiendo in Medio Oriente.
E un altro patrimonio culturale, ma questa volta del Terzo Millennio, è stato al centro del seminario al Museo Civico.
Si tratta appunto delle “Case della Danza”: centri di sviluppo di progetti artistici, di formazione di artisti e di coinvolgimento culturale del territorio che stanno sempre più prendendo piede nei contesti urbani del vecchio continente.
Sono soprattutto collocate nelle grandi città, e per la maggior parte in vecchi edifici ristrutturati e riconvertiti allo loro nuova destinazione d'uso: ex siti industriali, ex conventi, ex distillerie, ex mercati coperti, ex fabbriche di birra solo per fare qualche esempio.
Ma le “Dancehouse”, positivo esempio di riciclo di architetture altrimenti in disuso, sono presenti e attive anche in cittadine più piccole: come appunto la nostra Bassano, dove il Centro per la Scena Contemporanea, diretto per i progetti di danza da Roberto Casarotto, ha fissato il suo quartier generale nel vecchio capannone del Garage Nardini in via Torino, a ridosso del Generale Giardino. Ma ci sono anche dei casi, come ad esempio a Helsinki o a Londra, in cui le Case della Danza sono state costruite ex novo.
L'atelier al Museo ha dato quindi l'occasione per un confronto diretto e aggiornato tra gli addetti ai lavori sulla “filosofia” dei nuovi centri per la danza, sui criteri per la loro realizzazione e sulla loro collaborazione presente e futura.
Già: perché la cooperazione - ferma restando l'identità e l'autonomia artistica di ciascun centro - è l'elemento alla base della rete EDN, che rappresenta per sua stessa definizione “un network di fiducia e collaborazione tra le Case della danza europee che condividono una comune visione riguardante lo sviluppo dell'arte della danza attraverso i confini.”
“Fiducia e collaborazione”: due parole che al giorno d'oggi, nel vocabolario della vecchia Europa, sono rare da trovare e soprattutto da mettere in pratica.
Ma l'EDN mira ancora più in alto: “Tutti i membri - sottolinea il testo di presentazione dell'European Dancehouse Network - collaborano nel promuovere l'idea di un'Europa diversa.”
Vaglielo a dire a Tsipras e soprattutto alla Merkel.

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