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Brassaï. L’occhio di Parigi

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it

Attualità

La fine e la rinascita

“In Memoriam - After the End - Rizoma”: 100 danzatrici e 300 coristi nel grande evento di Operaestate Festival a Bassano, Cima Grappa e Asiago. Incontro col coreografo israeliano Sharon Fridman e col drammaturgo spagnolo Antonio Ramírez

Pubblicato il 21-07-2015
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Brassaï. L’occhio di Parigi

Un centinaio di danzatrici non professioniste e 300 coristi - tutti uomini - dei cori alpini e cori popolari del territorio e del resto del Veneto.
E' il grandioso apparato di “In Memoriam - After the End - Rizoma”, lo spettacolo-evento prodotto da Operaestate Festival che prenderà vita per tre sere consecutive in tre diversi e simbolici luoghi del comprensorio: giovedì 23 luglio (ore 20) in piazza Libertà a Bassano del Grappa; venerdì 24 luglio (ore 19) nel Sacrario di Cima Grappa, messo eccezionalmente a disposizione dal ministero della Difesa e sabato 25 luglio (ore 19) in piazzale degli Eroi ad Asiago.
Si tratta di “un inno alla vita, oltre alla guerra” creato per il Centenario della Grande Guerra - uno dei filoni principali del cartellone 2015 di Operaestate - che tuttavia prende spunto da quel tragico contesto storico per lanciare un messaggio di attualità di valore universale.

Da sinistra: il drammaturgo spagnolo Antonio Ramírez e il coreografo israeliano Sharon Fridman (foto Alessandro Tich)

“In Memoriam - After the End - Rizoma” è il frutto della collaborazione artistica tra il coreografo israeliano Sharon Fridman e il drammaturgo spagnolo Antonio Ramírez.
La creazione è nata come sviluppo della performance “Rizoma” della Compañia di Sharon Fridman: coreografo - la cui attività è di base in Spagna - già in questi mesi impegnato a Bassano del Grappa a seguire le classi settimanali di danza contemporanea, aperte ai non professionisti della danza, del Progetto Parkinson al Museo Civico.
Un primo assaggio della performance, con 17 danzatrici dai 7 ai 14 anni, è stato rappresentato il 26 giugno scorso all'Arsenale di Venezia nell'ambito del progetto “Biennale College”. Ora si passa - nelle tre serate di Bassano, Cima Grappa ed Asiago - alla rappresentazione totale.
Incontro Sharon Fridman e Antonio Ramírez in una breve pausa di una giornata, per loro, molto intensa. Dopo un autentico tour de force di prove dello spettacolo al Csc Garage Nardini e in altri luoghi della città, oggi si tiene infatti la prova generale della suggestiva rappresentazione.
Che vedrà appunto per protagoniste un centinaio di donne di tutte le età, a cui si affiancheranno alcuni danzatori della compagnia del coreografo di origine israeliana, che saranno accompagnate da circa 300 coristi, chiamati ad uscire dai classici schemi delle rassegne corali alpine per essere compartecipi di un progetto artistico fortemente innovativo.
La linea guida è dunque quella dell'integrazione tra i due linguaggi del canto e della danza contemporanea per ricreare un grande affresco la cui scenografia sia quella naturale delle architetture silenziose che sono state testimoni degli eventi bellici. Con un esplicito richiamo alle leggi della natura quali chiave di lettura per una continua rinascita dell'umanità dopo la fine, qualunque essa sia, conflitti tra popoli e venti di guerra compresi.
“La parola “rizoma” - mi spiega Ramírez - deriva dalla botanica. Il rizoma è il fusto delle piante, separato dalle radici. Se viene tagliato, quindi, ricresce. Noi vogliamo tradurre questa idea in un paesaggio umano.”
“Il progetto - specifica Fridman - vuole correlare la natura agli esseri umani ed esprimere il bisogno di riconnettere gli aspetti che troviamo nella natura, da cui la vita urbana oggi è totalmente dissociata. Dobbiamo piantare dei rizomi nelle città per creare nuove relazioni. Io credo assolutamente che le soluzioni sono nella natura, che è un processo caotico che trova però sempre il modo di rinascere. Mi chiedo quindi perché l'umanità, al momento del conflitto, non trovi ispirazione dalla natura.”
“Io penso che la guerra sia un aspetto umano - aggiunge il coreografo, in merito al filo conduttore dello spettacolo -. E' l'assurdo legalizzato dell'umanità. Partiamo dal principio che i popoli che entrano in guerra, sia ieri come oggi, sono l'opposto del rizoma, che può essere invece una soluzione a una situazione di disagio e di contrasto sociale. Questo accade quando una società vuole rinascere ed esistere in una nuova forma. Le persone stesse cambiano quando vengono coinvolte nella performance. Ho visto dei coristi, che sono tutti dei pezzi d'uomini, commuoversi davanti alle movenze delle danzatrici.”
“Al centro dello spettacolo - spiegano ancora i miei due interlocutori - ci sono tutti performer non professionisti. E' anche uno studio su come molte persone - dalla bambina piccola alla donna anziana, dalla persona allegra a quella con un carattere chiuso - si trovano a comunicare e a convivere provando per 15 giorni in spazi molto stretti, con l'obiettivo di dover trovare un'armonia. E' la stessa dinamica alla base dei conflitti, quando l'armonia non viene raggiunta. E' un cambio di paradigma.”
“E' la prima volta - sottolinea Ramírez - che presentiamo uno spettacolo di sole donne nel corpo di danza. Molte di loro sono di Bassano, le altre arrivano da altri luoghi e anche dall'estero. E' una sottolineatura del fondamentale ruolo avuto dalla donna durante la guerra. Le donne sono state le eroine contro il nonsenso, continuando la vita sociale nei loro paesi e facendo crescere i figli, pur nella sofferenza di un marito partito per il fronte che forse non rivedranno mai più.”
“Le donne - prosegue il drammaturgo madrileno - hanno saputo gestire la sofferenza, assumendosi nuove responsabilità, diventando una presenza positiva in tempi di violenza e dolore e costruendo una nuova situazione sociale. Proprio a causa della guerra, le donne hanno cominciato a emanciparsi. Sono loro al centro dello spettacolo. Gli uomini danno le loro voci, ma non sono parte del rizoma.”
“La rappresentazione propone una connessione tra il movimento e l'umanità - rimarca il coreografo israeliano -. Laddove viene rappresentato, si crea un comunità di persone che aprono la mente su una nuova voglia di rinascita. Il mio sogno è quello di continuare a portarlo in giro per il mondo e presentarlo a chiunque. Non è solo un progetto, ma anche un luogo fisico in cui le persone continuino a sviluppare sé stesse.”
E a una mia domanda su Israele - il suo Paese d'origine, in perenne situazione di allerta e di conflitto potenziale per la situazione in Medio Oriente - Sharon Fridman, serenamente, mi risponde: “Israele ha bisogno di un rizoma.”

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