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Alessandro TichAlessandro Tich
Direttore Responsabile
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Politica

Se il MoVimento comincia a perdere le stelle

Voto amministrativo. Da Roma a Vicenza, da Treviso a Marostica: ovunque il M5S è stato punito dall'elettorato. Alcune considerazioni sul perché la novità politica più dirompente degli ultimi anni cominci a fare flop

Pubblicato il 28-05-2013
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Il Movimento 5 Stelle - anzi, MoVimento, con la “V” maiuscola - col risultato delle elezioni di ieri ha imparato una cosa: l'elettorato italiano è una brutta bestia. Pronto a seguire in massa il leader carismatico di turno, per poi voltargli le spalle di punto in bianco al primo sentore di puzza di bruciato. E' vero: il voto amministrativo, mirato alla persona e al programma dei candidati sindaci, risponde a logiche totalmente diverse rispetto al voto politico. Quando si tratta di eleggere il primo cittadino e i rappresentanti in consiglio comunale, la scelta è molto meno “ideologica” e molto più improntata al confronto sui problemi del territorio locale.
Ma è pur vero che la grande ondata innovatrice uscita dalle urne delle elezioni politiche di febbraio, espressione di una generale voglia di cambiamento a tutti i livelli del potere rappresentativo, si è arenata al primo serio banco di prova successivo, e a soli tre mesi di distanza.
Il bilancio del voto comunale, per il MoVimento di Grillo, è fallimentare: nelle principali città il M5S è rimasto escluso da tutti i ballottaggi.

A Roma - dove i grillini, alle politiche di febbraio, avevano conquistato un poderoso 27% - non ha superato il 12,40%. A Imperia, dal 33,7% di tre mesi fa, il MoVimento è crollato all'8,6%. Neanche il Sud ha fatto sconti: nel Comune di Barletta, la montagna di consensi alle politiche (28,6%) ha partorito ora un misero topolino del 6,2%.
Non fa eccezione il Veneto, dove la débâcle a 5 Stelle presenta risultati non meno eclatanti. A Vicenza - dove il sindaco uscente Variati è stato nuovamente incoronato, e al primo turno - la candidata grillina Liliana Zaltron ha rimediato un consenso limitato al 6,4%: un esito sconfortante, se rapportato al 22,5% ottenuto a febbraio dal M5S nel capoluogo berico. E Treviso? Nella città dove lo sceriffo Gentilini ha scoperto di non essere più onnipotente, subendo l'onta di dover andare al ballottaggio - e con partenza ad handicap - col candidato del centrosinistra Giovanni Manildo che ha preso più voti di lui, il Movimento 5 Stelle risulta di fatto “non pervenuto”. E' appena del 6,89%, infatti, il risultato ottenuto dal candidato sindaco cinquestellato Alessandro Gnocchi. E pensare che nel capoluogo della Marca il M5S partiva dal tesoretto del 23,4% ottenuto alle elezioni politiche.
Se poi passiamo dalle nostre parti, il risultato non cambia: emblematico il caso di Marostica, dove il MoVimento - che candidava a sindaco Gedorem Andreatta - si è fermato al palo del 16%, all'ultimo posto fra le tre liste concorrenti. Solo tre mesi fa, nella città degli Scacchi, 5 Stelle aveva fatto scacco matto con il 26,95% dei consensi alla Camera e il 24, 79% al Senato.
Il tempo dirà se si tratta solo di un momento di stanca dell'elettorato grillino o se si tratta invece, molto più drasticamente, di qualcosa di più serio. Ma un elemento di riflessione sembra inequivocabile: quando non è direttamente supportato dalla presenza e dal carisma del Grande Capo, soprattutto nelle realtà comunali più piccole, il MoVimento rischia di diventare un movimento qualsiasi.
Non sempre la discesa in campo di Beppe Grillo ha trasformato il M5S in una Invencible Armada. L'anno scorso, per la campagna elettorale delle amministrative a Rosà, l'ex comico tenne un memorabile comizio; ma alla fine l'elettorato rosatese premiò il candidato sindaco della Lega. Ma quella fu l'eccezione che confermò la regola: con lo Tsunami Tour in giro per le piazze di tutta Italia, Grillo ha rivoltato il Paese come un calzino e i risultati, alle elezioni per il nuovo parlamento, si sono visti.
Ora però sta accadendo una sorta di corto circuito. C'è qualcosa, nel comportamento dei rappresentanti eletti del MoVimento, rinchiusi da febbraio in una indefinita torre d'avorio, che comincia a stancare. Un atteggiamento di inerzia, di attendismo e di supponenza oltranzista che fa a pugni con la rabbia popolare che ha portato all'exploit dell'M5S nei palazzi del potere di Roma.
E anche la crociata anti-sistema di Grillo - se non affiancata dalla capacità del MoVimento di sporcarsi le mani, uscendo dal ruolo esclusivo ed elitario di “controllore” del sistema stesso - rischia a lungo andare di stufare il popolo.
Perché l'elettore italiano è fatto così: o gli fai vedere subito che oltre alla protesta sei anche disposto a metterti in gioco e a proporre qualcosa di utile, a prezzo anche di intese e di accordi con le altre forze politiche, oppure alla prima occasione ti fa marameo. Cosa che, con il voto del 26 e 27 maggio, è puntualmente accaduta.
Ulteriormente motivata, a livello locale, dalle prime “fratture” e divisioni interne al MoVimento stesso. Che a Rossano Veneto, con la nascita di due liste uguali e contrapposte del M5S, hanno portato all'esclusione dei 5 Stelle medesimi dalla competizione elettorale. E che a Bassano del Grappa, a solo un anno dalle elezioni amministrative, vedono attivi due gruppi locali alternativi, di cui il secondo è l'“evoluzione” del primo.
Ed è così che la novità politica più dirompente, innovativa e interessante degli ultimi anni, se non trova il modo di correggere la rotta, rischia di implodere su se stessa. La base grillina, ovviamente, ne è ampiamente cosciente e sul blog di Beppe Grillo sta infuocando, tra militanti e simpatizzanti, un accesissimo dibattito interno.
Ne parla anche la gente qui da noi, facendo emergere un sentiment che chi fa il mio mestiere - basato soprattutto sull'“ascolto” della piazza - deve essere in grado di captare e di capire. E il consiglio, non richiesto, che un “odiato” giornalista può dare al MoVimento 5 Stelle è quello di fare attenzione a non tirare troppo la corda. Perché in Italia, prima o poi, chi di vaffa ferisce, di vaffa perisce.

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