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Alessandro Tich
Direttore Responsabile
Bassanonet.it
“Perché l'autostrada Valsugana non si farà mai”
L'ardita tesi del vicesindaco di Pove Paolo Gobbato: il progetto della Nuova Valsugana, “non finanziariamente sostenibile, monco e fallimentare”, serve solo a far pressione su Trento per il completamento della Valdastico Nord
Pubblicato il 19-01-2012
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Il vicesindaco leghista di Pove del Grappa Paolo Gobbato sostiene un'interessante e ardita tesi: il progetto della Nuova Valsugana non sarebbe altro che “fumo negli occhi” per fare pressione sulla Provincia autonoma di Trento affinché conceda il suo benestare al proseguimento dell'autostrada Valdastico a nord.
Non si spiegherebbe altrimenti, secondo Gobbato, l'interesse a investire su “un progetto che, secondo l'ultima presentazione, non è finanziariamente sostenibile” e che porterebbe alla realizzazione di “un'opera monca e fallimentare”.
L'amministratore povese espone le sue argomentazioni in un comunicato - intitolato “Perché l'autostrada Valsugana non si farà mai” - che ha trasmesso l'altroieri ai giornali e soltanto ieri, quando il suo intervento era già stato pubblicato sul “Gazzettino”, alla nostra redazione.
Il vicesindaco di Pove del Grappa Paolo Gobbato
Tant'é: visto il ritardo della comunicazione nei nostri confronti, non essendo noi propensi a riportare contenuti già pubblicati altrove, in linea di principio la avremmo cestinata.
Ma poiché Gobbato esprime delle considerazioni utili al dibattito sulla Valsugana, che trova su questo portale uno spazio privilegiato di informazione e di confronto, facciamo uno strappo alla regola. Qui sotto, pertanto, riportiamo integralmente l'intervento del vicesindaco di Pove.
COMUNICATO: “PERCHE' L'AUTOSTRADA VALSUGANA NON SI FARA' MAI”
Se è vero che il diavolo si nasconde nei dettagli, un paio di anni fa ne aveva seminato diversi tanto da farmi ipotizzare un progetto occulto, conosciuto a pochi, di finanza di progetto per un’autostrada a pagamento da Padova a Trento via Castelfranco. Quando sono uscito sui giornali, a fine estate 2010, sono stato coperto dagli insulti di molti gregari ma dopo alcuni mesi il progetto è uscito ufficialmente e padrini e protettori si sono dileguati.
Altri dettagli stanno emergendo adesso - tra scarabocchi mostrati a qualche sindaco su carta di formaggio, modificati a seconda dell’umore di questo o quel sindaco, procedure irrituali, scorciatoie, poca trasparenza, approvazioni fuori sacco, forzature più o meno evidenti, piani industriali inesistenti, tracciati ridotti - ma non bastano a sostenere un progetto oramai ridotto ad un programma economicamente fallimentare.
Mi sono domandato perché una società debba investire in un progetto che, secondo l’ultima presentazione, non è finanziariamente sostenibile (11-12 km di gallerie su 18 km totali). Senza contare che le prescrizioni per le gallerie dopo l’incidente del Monte Bianco su tratti così lunghi fanno lievitare i costi e obbligano ad opere complementari che sul progetto non si vendono.
Il pedaggio dell’arteria dall’allacciamento della futura autostrada Pedemontana dallo svincolo di Cave fino a Pian dei Zocchi o Cismon, con l’esenzione (forse) dal pagamento di una importante fetta di residenti, ed in mancanza di un’adeguata continuità verso Trento, dovrebbe essere così elevato da scoraggiare chiunque a percorrerla. Tantomeno di investirci capitali per la sua realizzazione.
Delle due l’una: o questo non è il tracciato definitivo (e non intendo piccole modifiche) e quindi l’autostrada parte da Padova ed arriva effettivamente a Trento senza soluzione di continuità, cosa difficile se non impossibile da realizzare, o la verità va ricercata da altre parti.
Cosa spinge una importante società di costruzioni ad investire in un costoso e fallimentare progetto e contemporaneamente rastrellare azioni della società Brescia Padova (quote ex provincia di Padova), pagandole oltretutto generosamente?
La Società Autostrada Brescia Padova Spa (BS-PD) ha in scadenza la concessione nel 2013. Il delicato rinnovo della concessione (evitando il rischio di un’infrazione perché la Commissione Europea potrebbe ritenere che la rideterminazione della durata della concessione apra la strada all’elusione del principio di competizione per il mercato a cui sono vincolate dalla normativa europea le concessioni autostradali) dipende dal completamento della Valdastico Sud e soprattutto dalla Valdastico Nord, dove per il momento, vige il veto della Provincia Autonoma di Trento. In realtà solo quello del presidente Dellai, in rappresentanza di una parte della città di Trento che teme l’attraversamento della città.
Per ottenere la proroga della concessione in deroga alla procedura comunitaria, la BS-PD è costretta a completare la Val-Nord per due principali motivi, il primo per il rinnovo dei fidi bancari necessari al proseguimento ed al completamento della Val-Sud, il secondo per non dover restituire il sovrapprezzo dei pedaggi richiesti al CIPE per il completamento della Val-Nord (recupero delle tariffe eventualmente riscosse e non utilizzate per la realizzazione della Val-Nord (cfr. 133° seduta 8° commissione permanente LLPP, relatore Viceministro Capodicasa, 5 dicembre 2007).
Un’autostrada in Valsugana sarebbe la fine di ogni speranza di attuazione della Val-Nord e quindi decreterebbe la morte dell’attuale assetto della BS-PD, o meglio si aprirebbe il bando per la gara europea.
Si parla di centinaia di milioni di euro, sia l’investimento sulla BS-PD sia sul progetto Valsugana. Il cerchio non si chiude.
La finanza di progetto su opere e servizi in monopolio, arterie stradali e assi ferroviari, ospedali, case di cura e ospizi, scuole, e altro, forti di concessioni ultraventennali stanno soppiantando la grande speculazione edilizia sulle aree industriali e commerciali. Una nuova corsa all’oro.
Le grandi società di investimento immobiliare e infrastrutturale non sono filantropiche. Come si fa a investire centinaia di milioni di euro in un’autostrada con un incognita come la scadenza del 2013 e contemporaneamente investire in un’opera monca e fallimentare come la Valsugana che, oltretutto, se realizzata, sottrarrebbe flusso veicolare alla Val-Nord perché in diretta competizione?
Piergiorno Baita, patron della Mantovani, si spinge oltre. Offre ai Trentini una soluzione per la Val-Nord, che dovrebbe uscire a Besenello e proseguire verso Trento con un bypass in galleria che “salti” la città (Giornale di Vicenza 16 dicembre 2011).
Tutto questo potrebbe avere solo un senso.
La realtà potrebbe celarsi nella guerra in atto per il controllo della Serenissima, l’autostrada più trafficata d’Italia e dell’intero comparto trasporto del Nord Est. L’obiettivo principale di uno dei nomi ricorrenti nei grandi progetti infrastrutturali (CIS, InfraCIS) è “diventare primario interlocutore privato di società di gestione autostradale” (cfr. brochure CIS 2011). Soci pubblici e privati con una serie di cessioni si contendono da tempo la supremazia e cercano l’appoggio delle grandi banche.
Quindi il progetto della Valsugana altro non sarebbe se non lo strumento di pressione sui trentini per convincerli a mollare sulla Val-Nord o, peggio, allungare il braccio di ferro (ricordiamo che la provincia va al voto quest’anno), far scadere la concessione e portarsi via la BS-PD per una pipa di tabacco.
Ottenuto questo, della Valsugana non si sentirà più parlare.
Con tanti saluti ai bassanesi ed ai valligiani che rimarrebbero con il cerino acceso e con i problemi viari irrisolti da decenni come la coda al semaforo di Carpanè.
Nota bene.
I nostri “autorevoli” politici, pur di farci digerire le strade (private) a pagamento, continuano col trito ritornello “non ci sono soldi” e quindi “ben vengano gli investimenti dei privati se possono sopperire” altrimenti le opere non si faranno mai.
Un falso problema. Queste società private finanziano i progetti con mutui bancari garantiti dalle concessioni e non ci mettono un euro. Per quale motivo gli enti pubblici non possono fare lo stesso? Le strade sarebbero sempre a pagamento ma almeno produrrebbero utili per la collettività. Utili che servirebbero, ad esempio, per opere complementari e ammodernamenti infrastrutturali.
Paolo Gobbato
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