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Luigi MarcadellaLuigi Marcadella
Giornalista
Bassanonet.it

Industria

Le mappe dei tesori

Le nuove frontiere della corsa alle materie prime strategiche. Intervista a Maurizio Mazziero

Pubblicato il 08-07-2024
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Le grandi potenze sono alla spasmodica ricerca di nuovi tesori. Al novero dei vecchi beni strategici come il petrolio, l’oro, il gas e le materie prime agricole, l’innovazione tecnologica e la transizione energetica hanno infatti aggiunto al catalogo generale altri “tesori” necessari per garantire il funzionamento delle città, dell’industria e dei servizi globali.

In un mondo dove i conflitti e i dazi si stanno – in parte - sostituendo allo sviluppo dei commerci e alla diramazione delle catene globali del valore, la caccia ai tesori della terra diventa sempre di più una complicata e pericolosa frontiera di sfida e competizione.

Immagine di repertorio (United States Geological Survey)


Di tutto questo si parla nel libro scritto a quattro mani da Maurizio Mazziero e Paolo Gila: “Le mappe del tesoro. Geopolitica delle materie prime: la vera sfida strategica del XXI secolo”, edito da Hoepli. Quali sono le materie prime davvero strategiche, dove sono fisicamente, per quanto saranno disponibili e a vantaggio di chi, sono alcune delle preziose informazioni messe in rassegna nel libro. L’economista Maurizio Mazziero, uno dei massimi esperti italiani di commodities, è stato già ospite di B. lo scorso anno in occasione dell’uscita dell’edizione aggiornata di “Investire in materie prime”.

Dottor Mazziero, qual è il ranking delle tre materie prime più importanti per l’economia mondiale?

«Direi ancora petrolio, gas e rame. Anche se è un po’ fuorviante restringere così tanto il campo. Viviamo in una civiltà avanzata che per progredire ha bisogno di energia e materiali per mantenere le proprie infrastrutture, ma non dovremmo dimenticare ad esempio l’importanza di grano, riso e mais. Per vivere c’è bisogno anche di alimenti in un pianeta che ha superato gli 8 miliardi di persone e che si avvia verso i 10 miliardi entro il 2050».

Allora partiamo da qui: le materie prime agricole, in un mondo che si allarga demograficamente, diventeranno oggetto di nuovi conflitti?

«L’importanza dei beni agricoli nello scacchiere geopolitico l’abbiamo vista molto nitidamente nel corso del conflitto russo-ucraino, quando immediatamente dopo l’invasione russa vi è stato un rialzo generalizzato dei prezzi, anche sulle piazze di oltreoceano. Successivamente le merci agricole sono state oggetto di un accordo tra Russia e Ucraina, patrocinato dalla Turchia e dall’ONU, per consentirne l’esportazione dal Mar Nero. Ma è soprattutto sulle dinamiche demografiche che si giocheranno gli equilibri futuri delle derrate alimentari, in un ambiente sfidante dal punto di vista climatico. Cina e India insieme raggiungono quasi 3 miliardi di abitanti e sono in grado di influenzare in modo pesante la domanda e di conseguenza i prezzi. Inoltre, nelle dinamiche dei prezzi non bisogna dimenticare l’alimentazione zootecnica e la Cina è senza dubbio un colosso in termini di capi allevati».

L’attuale riconfigurazione delle alleanze internazionali come si intreccia con l’estrazione e il commercio delle materie prime strategiche?

«Siamo di fronte ad un risiko delle influenze geostrategiche, con alleanze che si sviluppano a geometria variabile. Paesi che si contendono i confini, si trovano costretti, loro malgrado, a collaborare negli scambi commerciali. Si pensi a Cina e India, più nemici che amici, ma figure di spicco dell’alleanza BRICS. Su questi tavoli di partnership geopolitica si giocano anche le strategie per accaparrarsi le materie prime del futuro. Per contro l’Occidente sembra perdere gradualmente la propria influenza».

In quali aree principalmente?

«È emblematica la situazione in Africa, dove l’Occidente è visto ormai come una potenza ex-coloniale. I colpi di Stato in Mali e in Niger hanno estromesso la presenza francese, che ricavava da quei luoghi l’uranio necessario alle proprie centrali nucleari. Oggi in molti Stati africani è ben vista la collaborazione militare con la Russia, la costruzione di infrastrutture da parte della Cina e una presenza più discreta, ma non meno importante, della Turchia. Molto spesso, comunque, materiali e merci provenienti da Paesi sotto embargo giungono quasi in ogni angolo del mondo attraverso triangolazioni da parte di altri Stati».

Un esempio?

«Per citarne solo una, il petrolio russo viene acquistato e raffinato dall’India, un Paese amico dell’Occidente. Tutti sanno che i distillati di provenienza indiana giungono poi sulle piazze europee. È una prassi non isolata che riguarda molti Paesi e molte commodities».

Attraverso quali materie prime alcuni Stati saranno in grado di condizionare il futuro dei rapporti di forza globali?

«L’elenco è lungo. La Commissione Europea ha individuato 34 materie prime critiche che sono insufficienti alle necessità stimate nei prossimi anni. Per la maggior parte di queste il ruolo della Cina è predominante nella produzione e nella raffinazione. La politica delle sanzioni richiama altre sanzioni e in alcuni casi la risposta è una limitazione delle esportazioni, come già sta avvenendo per gallio e germanio, indispensabili per l’industria dei semiconduttori. Il recente “Decreto Urso” che punta alla creazione di un fondo sovrano per le materie prime e alla riapertura di miniere abbandonate nel nostro Paese va nella direzione di limitare la futura carenza di materie prime. Ma è una goccia nel mare, in termini di quantità saremo sempre più dipendenti da forniture che vengono dall’estero e molto spesso da zone emergenti che oggi chiamiamo Sud Globale».

Il petrolio è destinato ad essere ancora il baricentro di ogni ragionamento economico da parte delle grandi potenze?

«Per fare la transizione energetica occorre costruire impianti e infrastrutture, per poterlo fare e poter raggiungere gli obiettivi ambiziosi che ci siamo dati non basteranno le energie rinnovabili ma dovremo utilizzare gas e petrolio. L’attuale narrazione ha creato la suggestione che si possa fare a meno dei combustibili fossili: non è così. In tutto il percorso di transizione per arrivare ad avere un’impronta verde l’energia dovrà essere fornita da forme tradizionali. Porre obiettivi ambiziosi come lo stop alla vendita di veicoli a combustione interna dal 2035, può portare le industrie estrattive a limitare quegli investimenti che richiedono 10, 15 o 20 anni per giungere a break even».

Con quali conseguenze?

«A quel punto non è così surreale pensare che, proprio nel corso di avvicinamento ad un’energia più sostenibile, il petrolio possa aumentare di prezzo per un’offerta incapace di soddisfare la domanda. Non so ancora dire quando, ma in un certo momento del futuro, le potenze che avranno mantenuto un approccio più pragmatico sul tema dell’energia potrebbero assumere un potere predominante».

Le materie prime che servono per alimentare i processi di reazione nucleare dove sono e quali logiche seguiranno?

«Anche nella produzione di uranio e nel suo utilizzo troviamo la contrapposizione tra Oriente e Occidente: l’Alleanza Atlantica trova nell’Australia e nel Canada le principali fonti di approvvigionamento dell’uranio, con una buona presenza di riserve negli Stati Uniti. Più consistente è la disponibilità a Oriente: Kazakistan, Uzbekistan e Russia, senza trascurare le risorse dei Paesi africani, influenzati dalla presenza russa e cinese sul territorio. Tutto ciò impatta sulla fonte di alimentazione delle centrali nucleari di cui Stati Uniti, Francia e Cina sono i maggiori detentori. Al tempo stesso l’industria e i centri di ricerca sono impegnati nello studio di impianti a fusione di ridotte dimensioni e all’impiego di materiali alternativi come torio e plutonio. Chi arriverà prima ad un sistema energetico efficiente e di modesto impatto ambientale godrà sicuramente di un vantaggio competitivo».

L’acqua, vero e proprio oro blu in alcune aree del mondo per la sua scarsità, segue logiche ancora diverse.

«In un pianeta in cui il 71% della superficie è coperta da oceani è controintuitivo pensare a una carenza di acqua, eppure vi sono zone che sono estremamente carenti di acqua e anche il processo di deforestazione contribuisce ad un aumento della siccità, per incapacità di riuscire ad imbrigliare l’acqua e utilizzarla quando se ne ha bisogno. Un fattore che è scarsamente noto, ad esempio, è che il consumo diretto di acqua rappresenta solo il 3% del totale, il restante 97% è destinato all’industria e alla coltivazione agricola. A titolo d’esempio, per un chilo di patate sarebbero necessari 290 litri, per un chilo di pane 1.600 litri, per un chilo di carne suina 6.000 litri e per un chilo di carne bovina 15.415 litri. Sono numeri di cui non si ha una reale percezione».

La sua gestione e protezione diventerà motivo di conflitti al pari di ciò che avviene per le commodities?

«Si pensi alla costruzione della diga Grande Rinascimento Etiope sull’alto corso del Nilo Blu in Etiopia che ha suscitato preoccupazioni nei paesi a valle, Egitto e Sudan, fortemente dipendenti dalle acque del Nilo per le loro esigenze idriche e agricole».

La corsa allo spazio adesso vede anche la Cina in prima posizione. Che effetti avrà sul mercato delle materie prime?

«16mo Psyche è il nome di un asteroide posto tra Marte e Giove la cui superficie è ricca di ferro, nichel, cobalto, platino e oro. Il 13 ottobre dello scorso anno è partita una missione Nasa, che giungerà sul corpo celeste nel 2029 per esplorare la possibilità di sfruttare questi giacimenti. Sembra fantascienza, ma tanto sarà la fame di materie prime in futuro che non basterà sfruttare solo i fondali dei mari o i ghiacci artici. In tutto questo la Cina è in forte competizione con gli Stati Uniti, con la differenza che anche per costruire i razzi occorrono commodities come le terre rare e Pechino in questo ambito ha un predominio assoluto».

L’Europa ha scelto la via della transizione energetica, della conversione all'elettrico. Dal punto di vista della disponibilità di materie prime questa scelta rappresenta un'incognita al pari delle conseguenze industriali e occupazionali?

«Sì, la transizione energetica non è esente da criticità, sia per la disponibilità dei materiali essenziali, sia per l’impatto ambientale che la loro produzione o raffinazione implica. Al tempo stesso, anche il riciclo in cui l’Europa potrebbe avere un vantaggio competitivo potrà sollevare contrarietà ambientaliste nei luoghi di lavorazione. I cittadini europei, italiani in particolare, hanno sinora preferito delegare ad altri le produzioni e lavorazioni ad alto impatto ambientale. Necessariamente, in futuro, occorrerà essere più pragmatici, sostituendo al rifiuto “tout court” l’attenzione all’impiego delle tecnologie meno inquinanti e al ripristino dei luoghi una volta terminata l’estrazione. Lo sanno bene gli abitanti di Kiruna, una cittadina della Svezia al di sopra del circolo polare artico, che hanno di buon grado deciso di spostare le abitazioni di 23 mila abitanti per far posto all’estrazione del ricco giacimento di ferro».

Facciamo un gioco: le dico una nazione e lei dice ai lettori quale sarà la materia prima oggetto di maggior attenzione. Partiamo dagli USA.

«Mi chiede un esercizio difficile, tante sono le materie prime di attenzione, ma ci sto, accetto il gioco. Per gli Stati Uniti direi il petrolio, visto che oggi è il maggior produttore».

Cina?

«Terre rare».

Russia?

«Gas».

Europa?

«Grano».

India?

«Riso».

Africa?

«Uranio e cobalto».

Italia?

«Tutte».

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