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Luigi Marcadella
Giornalista
Bassanonet.it
Imprese alla prova della digitalizzazione
«Per far ripartire il ciclo degli investimenti è necessario aggiornare al più presto gli incentivi di Industria 4.0». Intervista a Mirko Bragagnolo, vicepresidente nazionale Piccola Industria di Confindustria
Pubblicato il 07-06-2023
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I numeri dell’economia italiana sono più positivi del previsto. Il Pil dovrebbe attestarsi al +1,2% per l’anno in corso e l’inflazione è data in calo in area 5,7%.
Bisogna fermarsi però a considerazioni solo di moderatissimo ottimismo perché ci sono comunque parecchie nubi all’orizzonte, la più vicina delle quali staziona sopra la Germania, entrata nei giorni scorsi ufficialmente in recessione tecnica.
L’ultima analisi congiunturale di Confindustria Vicenza, relativa al primo trimestre, fotografa una situazione provinciale stabile, con un lieve incremento della produzione industriale, pari al +0,5% rispetto al primo trimestre 2022.
Mirko Bragagnolo, Vice Presidente nazionale della Piccola Industria presso Confindustria
Gli industriali vicentini si dicono più preoccupati in vista dell’andamento definitivo del secondo trimestre, che potrebbe caratterizzarsi già con segnali di rallentamento economico (“o si trova una strada per crescere o si rischia di imboccare la via della recessione”, scrivono dal quartier generale di Vicenza).
Tiene invece l’export: +2,37% per i mercati dell’Unione Europea e +7,04% per quelli extra Unione.
«Vedremo nei prossimi mesi cosa succederà ai consumi e agli investimenti delle imprese», spiega Mirko Bragagnolo, imprenditore bassanese a capo della Mach-Trade Srl, vice presidente nazionale della Piccola Industria presso Confindustria con delega proprio alle filiere produttive.
Ci avviciniamo al giro di boa di metà anno. Per l’industria vicentina, nonostante l’incertezza del quadro economico, c’è ottimismo per chiudere comunque un anno ancora in positivo?
«Lo scenario economico è in continua evoluzione, ci sono tante questioni che complicano le previsioni. In primis i tassi di interesse e il rientro dell’inflazione, poi la tenuta del prezzo del gas e la partita del PNRR.
I numeri del Pil italiano sono migliori di quelli dei nostri principali partner europei, in generale il sistema industriale ha resistito bene anche allo shock dei prezzi energetici. Nel 2022 i consumi hanno retto, ma gli effetti dell’inflazione e dell’aumento dei tassi sono in genere a scoppio ritardato. Inoltre nei prossimi mesi non avremo più gli effetti delle agevolazioni sull’edilizia».
In generale l’industria italiana sta spingendo di più rispetto alle altre grandi economie europee.
«Il successo di molti comparti dell’economia italiana è dato da più fattori, uno dei più importanti è sicuramente la presenza delle nostre aziende nelle principali filiere globali del valore. Anche quelle più piccole hanno avuto notevoli spazi di crescita commerciale e, non da ultimo, la possibilità di partecipare ai processi d’innovazione all’interno delle rispettive filiere».
Anche Industria 4.0 ha contribuito a dare una piccola scossa alla competitività delle imprese italiane.
«Adesso siamo ad un punto di svolta fondamentale: Confindustria sta lavorando ad una proposta per aggiornare e soprattutto attualizzare gli incentivi di Industria 4.0. Si tratta di una misura assolutamente prioritaria per far ripartire il ciclo degli investimenti, destinando una quota delle risorse disponibili anche alla dimensione della sostenibilità dei processi industriali».
Possiamo dire che l’”effetto Russia”, o meglio l’effetto guerra, è stato limitato per le nostre imprese?
«La Russia ha una incidenza limitata rispetto ad altre variabili del commercio internazionale. In ogni caso, abbiamo assistito ad un ulteriore incremento della capacità di adattamento delle nostre imprese su logistica, produzione, resilienza alle interruzioni degli approvvigionamenti. Allo stesso tempo, cominciano a diffondersi i casi di imprese che pensano di riorganizzare la propria organizzazione in un’ottica di “reshoring” o comunque di una re-verticalizzazione delle filiere. Le cito un paio di dati: un terzo delle imprese manifatturiere ha cambiato almeno un fornitore strategico, quasi il 60% cerca fornitori più vicini, in molti casi anche direttamente in Italia».
Regionalizzazione, friendshoring, tanti modi per dire che il commercio internazionale si sta riposizionando. Le imprese vicentine sono sempre a caccia di nuovi mercati o stanno consolidando le vecchie reti di export, in Europa e nei mercati più maturi?
«Difficile dirlo, Confindustria ha aperto un ufficio a Singapore per i mercati asiatici, uno in Ucraina, prossimamente sarà operativa una sede a Washington. È in atto sicuramente una ridefinizione della geografia produttiva in molte delle principali filiere. Per farsi trovare pronte le nostre aziende stanno aumentando ancora di più la flessibilità produttiva e la capacità di personalizzazione dei prodotti. Ma per fare questo servono anche investimenti importanti nella digitalizzazione».
Digitalizzazione: è questa la prima delle sfide per l’export italiano?
«Le filiere globali evolvono in tempi rapidi, rapidissimi. Confindustria ha attivato i Digital Innovation Hub, una sorta di “antenne” tecnologiche sul territorio che servono a diffondere le conoscenze soprattutto in ambito digitale».
Dove sta cambiando la mappa dei rischi per gli imprenditori?
«Sta diventando determinante il sistema degli approvvigionamenti, lo abbiamo visto con le materie prime, i semiconduttori e i microchip. Ma vale anche per le macchine utensili: se nel recente passato gli ordinativi arrivavano in tre mesi, ora ne servono nove o anche di più».
Vede un rischio recessione a livello globale?
«La Germania è in recessione tecnica, questa è sicuramente la prima preoccupazione. Arrivano segnali contrastanti dall’Asia e la guerra continua a soffiare sul fuoco dell’incertezza. Gli stessi Stati Uniti stanno prendendo tempo sulle scelte di politica monetaria. Sull’economia mondiale regna assoluta l’incertezza».
Pur con tutte le difficoltà strutturali del nostro Paese, almeno in questa fase l’economia italiana non è il punto debole dell’eurozona.
«Se devo guardare al futuro con l’occhio delle aziende vicentine sono ancora ottimista. In questi ultimi tre anni hanno fatto progressi notevoli: sono più patrimonializzate, più competitive, più tecnologiche. Anche quelle più piccole si sono ritagliate spazi vitali nelle filiere internazionali, diventandone in molti casi anelli essenziali. E addirittura sono sempre più frequenti i casi di aziende operanti con successo in più filiere contemporaneamente».
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