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I prezzi delle materie prime negli ultimi mesi si sono quantomeno stabilizzati, ma gli effetti degli aumenti forsennati del 2022 fanno ancora sentire i loro effetti, in prima battuta sui numeri dell’inflazione.
A partire dagli energetici, con gas e petrolio in testa, tutti i beni primari per la produzione industriale hanno toccato picchi incredibili. In alcuni momenti, oltre al problema dei prezzi, la scarsità e l’impossibilità di rifornimenti in tempi ragionevoli hanno stressato ulteriormente alcune filiere industriali, basti pensare a quello che è successo nelle produzioni che utilizzano i microchip.
Le imprese manifatturiere nel post-pandemia hanno (ri)scoperto dunque un nuovo punto di fragilità.

Maurizio Mazziero (Mazziero Research), uno dei principali esperti italiani di commodities
Di fatto, i venti di venti guerra hanno riportato gli scarponi della politica negli affari del commercio internazionale, facendo toccare con mano e portafogli quanto le materie prime siano asset ipersensibili alla geopolitica.
Maurizio Mazziero, fondatore della società di consulenza Mazziero Research, è uno dei principali esperti italiani di commodities.
Ha appena dato alle stampe l’edizione aggiornata di “Investire in materie prime” (Hoepli), una piccola miniera di informazioni sui mercati delle materie prime “tradizionali” e di quelle di “ultima generazione”.
Dottor Mazziero, quali sono le dinamiche più aggiornate che riguardano le principali materie prime?
«I tre filoni principali riguardano energia, metalli e commodities agricole. Per l’energia, distinguerei tra quello succede nel mondo del gas e in quello del petrolio. Le pressioni sul gas sono ormai sopite, sono ottimista sui prezzi anche per il secondo semestre 2023. Mancherà sempre la fornitura russa, ma gli stoccaggi sono elevati, non era mai successo di finire l’inverno con una soglia di riserve oltre il 65%. Sui rigassificatori stiamo procedendo bene, a parte il problema di Piombino. Gli arrivi dall’Algeria e dall’Azerbaijan, via Puglia, ci danno per il momento una relativa sicurezza. In Veneto avete anche importanti player regionali, penso ad Ascopiave».
E per il petrolio? Il suo prezzo è una variabile in grado di premere ancora sull’inflazione e quindi sulle tasche di tutti.
«Nonostante la riduzione della produzione dell’Opec ancora non si vede una pressione rialzista. Il WTI adesso è a circa 70 dollari al barile. Molto dipenderà dall’entità della ripresa cinese e dell’Asia in generale. Nel secondo semestre prevedo prezzi comunque in rialzo, ma non arriveremo a 100 dollari al barile, più probabile una forchetta tra gli 80 e i 90 dollari. Interessante è l’effetto calmieramento causato dal petrolio russo».
In che senso?
«Il petrolio russo costa 30 dollari in meno al barile rispetto al Brent. A questi prezzi, i sauditi per i loro consumi interni preferiscono comprare dai russi e rivendere il loro petrolio all’estero».
Quali sono i trend che incideranno sui prezzi delle materie prime collegate all’industria?
«Si registra una certa calma sui prezzi delle commodities, pesano molto le paure di una possibile recessione in arrivo dagli USA. Consiglio di dare sempre un occhio al prezzo del rame, il metallo rosso è la vera cartina di tornasole per capire cosa sta succedendo. È il metallo trasversalmente utilizzato nella grande manifattura, dagli impianti elettrici fino ai motori e all’edilizia. Gli americani lo chiamano “Doctor Copper”, perché è in grado di anticipare le fasi di crescita economica. Oggi la quotazione del rame segna “tempo incerto”. A livello internazionale, si osserva con attenzione il prezzo del nichel per il mondo dell’acciaio. Si guarda molto anche all’alluminio, anche se per quest’ultimo servono ulteriori analisi legate al costo dell’energia per produrlo».
Il rischio di inattesi nuovi prezzi esorbitanti o di interruzioni delle forniture cambieranno qualcosa nell’organizzazione delle imprese manifatturiere italiane?
«Questo punto è fondamentale. Parliamo del Nordest: un tessuto industriale incredibile che ha centinaia di multinazionali in miniatura che competono su tutti i mercati. Quello che è successo deve però far cambiare rotta alle imprese, anche per quelle più piccole. L’”intelligence” che serve per pianificare gli approvvigionamenti non potrà più essere lasciata in balia degli eventi».
Cosa suggerisce?
«Rispetto alle altre economie avanzate su questo aspetto l’Italia è molto indietro. Le aziende devono strutturarsi per monitorare la dinamica della domanda e dell’offerta delle materie prime basilari. I rischi possono arrivare, infatti, non solo dai rialzi ma anche dagli eccessivi ribassi. Dal punto di vista finanziario, serve diffondere nelle imprese la conoscenza degli strumenti di hedging (copertura) che sono da lungo tempo disponibili per coprirsi dai rischi di ogni genere. Oggi lo si fa quasi solo sul rischio cambio, invece abbiamo visto che le materie prime sono ancora più importanti. In giro per il mondo ci sono aziende meno brillanti, anche meno strutturate delle nostre, che da anni, per fare solo un esempio, operano con i futures per proteggere il proprio business aziendale».
Gli shock dei mesi scorsi sono una buona lezione per il futuro?
«Dipende dall’atteggiamento, se si pensa di dare la colpa solo alla speculazione non si coglie il problema. Gli agricoltori in Puglia si stanno lamentando in questi giorni per il prezzo del grano duro, incolpano appunto la speculazione. In realtà, il Canada ha semplicemente prodotto più grano duro rispetto alla precedente stagione molto negativa per i raccolti».
Il “modello lean” – semplificando al massimo: poche scorte, magazzini sempre compressi - è ancora valido in questo scenario?
«Il “modello lean o Toyota” ha dimostrato molti limiti, sicuramente le riserve strategiche di materiali sono indispensabili. Ma guarderei di più all’aspetto di sicurezza delle forniture: bisogna ampliare al massimo il numero di fornitori, guardare molto alla geografia e non rifornirsi unicamente in un’unica area del mondo. Ormai la geopolitica comanda su tutte le logiche commerciali. Negli ultimi 30 anni abbiamo creduto che la globalizzazione e il libero commercio avrebbero guidato il governo del mondo, ci siamo sbagliati».
Qualche consiglio pratico per le imprese che devono riorganizzare la propria politica di rifornimenti.
«Guardiamo alla Cina: se nell’orizzonte dei prossimi 2-3 anni dovesse davvero concretizzarsi l’invasione di Taiwan, possiamo pensare di farci trovare impreparati così come è successo con la guerra tra Russia e Ucraina? La Cina non è la Russia, se si bloccano o si complicano i rapporti politici con l’Occidente si innescano problemi giganteschi per le imprese, per tutte le catene del valore. Cosa succederebbe alle forniture di beni e materiali, o direttamente all’operatività delle nostre aziende che operano in Cina?».
Quindi come bisogna “mettere” la geopolitica nell’agenda delle imprese del Nordest?
«Non significa certamente riportare a casa tutte le produzioni che sono all’estero, ma bisogna conoscere perfettamente il catalogo aggiornato dei rischi dell’area geografica dove si fa impresa. Sta trovando fortuna il concetto di “friendshoring”: si va a produrre in quei Paesi che, per una condivisione di valori o di legami politici, garantiscono la sicurezza industriale delle nostre aziende. Il Nordest è molto esposto in Asia per esempio, ma anche nell’Est Europa o in Turchia. Produrre in Polonia non è la stessa cosa di avere gli stabilimenti in Ungheria… Le imprese devono dotarsi di un cruscotto dei rischi, sia per le materie prime sia per la parte geopolitica».
Settore delle costruzioni: dopato da bonus che hanno contribuito a far schizzare tutti i prezzi. Le prospettive per i materiali collegati all’edilizia?
«I bonus ci sono costati parecchio ma almeno hanno risvegliato un settore dormiente. Le pressioni rialziste sui materiali da costruzioni dovrebbero rimanere, ci sono ancora molti cantieri aperti e poi c’è la messa a terra del PNRR. Nello specifico, guarderei con attenzione al prezzo dell’acciaio, anche qui con la lente della geopolitica. Bisogna dirlo un po’ sottovoce, ma gli stoccaggi militari in giro per il mondo si stanno consumando a ritmi molto veloci e bisognerà rimpiazzarli. La NATO, inoltre, imporrà che tutti i Paesi membri spendano come stabilito il 2% del Pil per le spese militari. È abbastanza evidente dunque che l’industria bellica influenzerà i prezzi di acciaio, nichel, ferro e di tanti altri materiali. Per non parlare dei semiconduttori…».
Bisognerà aggiornare il catalogo dei metalli preziosi.
«Del rame abbiamo detto, vedo in grande ascesa anche l’argento, trascinato dall’automotive. Le auto di oggi sono computer su quattro ruote. L’argento è il materiale con le migliori caratteristiche fisiche per una lunga serie di produzioni. Oggi lo si compra a prezzi ancora relativamente bassi. Ci sarà una grande stagione anche per il platino, spinto dall’automotive e non solo».
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