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Il lavoro che cambia, seconda parte. Intervista a Marina Salamon (Alchimia Spa)

Pubblicato il 06-06-2022
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(continua…) Il lavoro sta cambiando. Nell’offerta, da parte delle aziende che sempre più spesso non trovano quello che cercano.
E soprattutto dal lato della domanda. Ed è proprio questo il lato che presenta maggiori evoluzioni, giovanili, di genere, di aspirazioni, di voglia di nuove regole. Anche nelle fabbriche e negli uffici vicentini e veneti. Salari e stipendi in alcuni comparti troppo bassi, giovani che vogliono e (solo) in alcuni possono permettersi un rapporto diverso con i datori di lavoro, aziende che rimodulano l’organizzazione e i tempi del fare impresa per essere più attrattive. Siamo partiti dal “cartellino free” della Velvet di Castelfranco e finiremo questa mini rassegna con i dati locali dei Neet (i giovani che non studiano né lavorano).
Nel mezzo sentiamo Marina Salamon, imprenditrice con una lunga e poliedrica attività professionale alle spalle, oggi a capo della holding Alchimia Spa (abbigliamento, comunicazione, immobiliare e finanza).

Marina Salamon


Sappiamo cosa vogliono le imprese dai giovani, ma cosa vogliono i giovani dal lavoro?
«Quelli più in gamba prima di tutto possono guardarsi intorno e scegliere. E fanno bene aggiungo io. Guardano alla Lombardia, all’Emilia Romagna e all’estero ovviamente. Vogliono prospettive di crescita e hanno spesso paura delle piccole aziende a conduzione familiare, dove non ci sono possibilità di carriera. Sognano aziende strutturate e grandi, con prospettive di guadagni in crescita. Vogliono garanzie sulla formazione, magari attraverso percorsi di apprendimento continui».

Di chi stiamo parlando?
«Di tutti, ma se lo possono permettere quelli che hanno percorsi di studio in materie scientifiche, tecniche, digitali, nella consulenza, nella finanza».

Risulta anche a lei che i giovani veneti cominciano a preferire l’Emilia Romagna?
«Voglio capire meglio queste statistiche che stanno uscendo. Io vedo un flusso in uscita sempre più forte verso Germania, Gran Bretagna, Svizzera e Stati Uniti. L’Emilia Romagna ha un sistema industriale con aziende mediamente più grandi delle nostre che possono risultare più attraenti proprio sulla scorta di quello che abbiamo detto. Se vuoi lavorare nella meccanica di precisione di livello mondiale immagino che un posto nella Motor Valley sia molto ambito. Se sogni il marketing e i nuovi media devi andare a Milano».

Parliamo di stipendi: troppo bassi per “tenere” i migliori?
«Sono d’accordo, però è un discorso a più facce. Un giovane qui in Veneto può trovare una formazione universitaria di alto livello spendendo poco meno di 2 mila euro all’anno di tasse, all’estero sono cifre impensabili. Al sistema Paese quello stesso studente probabilmente costa 20 mila all’anno. E’ sempre lo stesso sistema Paese che ti paga 1.500 euro al mese di stipendio, quando le imprese ne spendono 3.000. Un sistema che vede sempre meno giovani lavorare».

Il Veneto come si attrezzerà per diventare più attraente oltre che ricco?
«Il tema è la struttura del nostro capitalismo. Le piccole, o piccolissime aziende, nella stragrande maggioranza dei casi non possono permettersi profili super specializzati. Ad eccezione delle realtà che lavorano in nicchie di mercato floridissime. Io stessa 40 anni fa in azienda facevo mille ruoli perché non potevo permettermi di assumere. Per questo ci sono giovani che partono e non tornano».

Gli industriali di nuova generazione sono molto attenti alla questione demografica.
«Il tempo della nostalgia arriva ben dopo i 35 anni, verso i 40 e oltre. I nostri giovani si chiedono: ma davvero non posso fare il mio lavoro in Italia e magari farci crescere i figli?».

Troppi Neet: perchè?
«Non do la colpa ai giovani. E’ una situazione conseguente alle scelte in tema di orientamento scolastico. Chi non ha alle spalle una famiglia in grado di dare buoni consigli rischia di rimanere spiazzato. Perdiamo migliaia di professionalità perché nessuno ha spiegato per bene le scelte da fare dopo la terza media».

Come sarà il lavoro tra 10 anni?
«A Milano in molti settori è già rodato il 3+2, tre giorni in ufficio, 2 a casa in smart. In Veneto, per la struttura della nostra economia, magari sarà un 4+1, ma il destino è segnato».

Più flessibile?
«Stipendi, benefit, flessibilità e clima aziendale. Su questi temi si farà concorrenza lato offerta. I ragazzi sanno leggere i bilanci: le Ferrari fuori dal capannone e gli stipendi bassi non vanno più d’accordo. Così come un clima aziendale pessimo e la scarsa predisposizione alla flessibilità non trattengono i più bravi. Ci sono siti dove sono le aziende ad essere giudicate dai lavoratori, una specie di Tripadvisor del mercato del lavoro. Ripeto: questo vale per quei ragazzi e ragazze che possono scegliere».

La flessibilità riuscirà a mantenere le donne sul lavoro senza penalizzarle?
«La flessibilità serve per rendere il lavoro a misura di famiglia, di donna ma anche di uomo. Sempre più uomini vogliono occuparsi della famiglia. Io guardo con molto sospetto alle aziende conservatrici. Gli imprenditori dovranno rendere le loro aziende sempre più attraenti non perché sono buoni ma semplicemente per tenersi i più bravi».

Quindi è fiduciosa per il futuro economico del Veneto?
«I veneti sono forse i più grandi lavoratori al mondo. Hanno bisogno però di essere “contaminati” per continuare a essere i più bravi in quello che fanno. Anzi abbiamo bisogno, perché lo dico anche a me stessa».
(to be continued…).

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