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Leggenda metropolitana narra che non ci sia dimora dell’upper class moscovita che non abbia al suo interno un prodotto del comparto casa-arredo fatto in Italia. Supposizione supportabile dal valore medio annuo dell’export italiano negli ultimi 30 anni in Russia. Scenari di guerra a parte, il distretto del mobile bassanese, stando agli ultimi report disponibili, arriva da una stagione più che positiva grazie alla spinta del mercato interno (leggasi indotto dei vari bonus casa) e alla tenuta dell’export. L’ultimo trimestre del 2021 ha segnato un ottimo +32,5%, con dati incoraggianti derivanti dalle esportazioni in Germania, Polonia e Stati Uniti.
Ma quanto vale economicamente la Russia e la corona dei Paesi ex sovietici per il nostro sistema del legno arredo?
Tanto, un tempo addirittura tantissimo. L’export in Russia ha contribuito in parte anche alla fortuna del nostro distretto del mobile, ma la situazione è molto cambiata negli ultimi anni, sicuramente un primo spartiacque si è concretizzato dal 2014 in poi, a partire dalle sanzioni a seguito della guerra in Crimea. In generale, l’export italiano verso la Russia pesa per l’1,5% del totale nazionale, meno di 8 miliardi di euro all’anno, focalizzato nei comparti macchinari e abbigliamento. Le sanzioni, la svalutazione del rublo e la guerra causeranno sicuramente un congelamento dei rapporti commerciali per molti mesi, forse per anni.

Paola Zanotto (Confartigianato) e Christian Frighetto (Frighetto Mobili)
Tuttavia, come ci confermano gli imprenditori che lavorano da anni con i mercati dell’Est Europa, l’arredamento non è più un settore “russocentrico”, perché nel tempo è stata pianificata una strategica diversificazione geografica del portafoglio clienti.
«Attualmente abbiamo importanti commesse in Germania, Svizzera e Romania. Non lavoriamo direttamente con la Russia. In Veneto e nel vicentino ci sono però decine di ditte che lavorano direttamente con la Russia e molte altre che sono terziste di realtà più grandi. Per loro si apre davvero un futuro complicato. Noi artigiani dobbiamo essere fiduciosi, soprattutto nella diplomazia. Nessuno nel mondo vuole che si arrivi ad un punto di rottura definitiva. Negli ultimi dieci anni, soprattutto dopo le sanzioni collegate alla guerra di Crimea i mercati commerciali sono stati ampiamente diversificati verso Asia, Nordamerica e Medioriente. È stata sicuramente una mossa lungimirante», spiega Paola Zanotto, presidente della categoria Arredo di Confartigianato Imprese Vicenza e titolare della Zanotto Elia Arredamenti di Rosà. Inoltre al distretto del mobile ha giovato molto l’indotto prodotto dal pacchetto dei bonus legati alle ristrutturazioni edilizie che, pur tra mille criticità, ha avuto almeno il pregio di ridare consistenza al portafoglio clienti domestico.
«Il 2020-2021 è stato un biennio largamente positivo anche grazie agli ordini italiani. Il ritorno del rapporto commerciale anche con i Paesi europei, come Francia e Germania, ci ha permesso di non rimanere appesi a singole aree del mondo. I momenti di incertezza come questo però ci costringono a diventare ancora più previdenti. Per esempio, bisogna rivedere tutta la filiera di approvvigionamento del legno e dei semilavorati. O lo facciamo adesso o non lo facciamo più».
Chi invece ha attualmente ancora il 30% del proprio fatturato incardinato in Russia e nei paesi dell’area ex sovietica, come l’Ucraina e l’Azerbaijan, è la Frighetto Mobili, storica azienda bassanese nata nel lontano 1970. Specializzata in arredo interno di alta gamma, genera un fatturato export-dipendente addirittura del 99%.
«Abbiamo un unico cliente in Italia», spiega Christian Frighetto, 48 anni, a capo di un gioiello del made in Italy che nel 2021 con 35 dipendenti ha registrato un fatturato vicino ai 4,2 milioni di euro.
«In questi giorni il clima è ovviamente di grande instabilità. Ho appena ricevuto due email da parte di clienti russi: mi chiedono se dopo il conflitto torneremo a lavorare assieme».
I russi lo chiedono perché alcuni loro partner commerciali, inglesi per essere precisi, gli hanno contattati per avvisarli che anche dopo la guerra in Ucraina non avranno più intenzione di lavorare con loro.
«Le aziende del distretto del mobile più strutturate, sopravvissute alle varie crisi, per fortuna hanno davvero diversificato il parco clienti. Attualmente noi lavoriamo in Cina, Stati Uniti e Medioriente: stanno crescendo molto i paesi Arabi, soprattutto il Qatar, sia per i flussi che arrivano dall’alto costo del petrolio ma anche per l’indotto dei Mondiali di calcio».
Diversificazioni a parte, negli ultimi 30 anni il made in Italy di lusso ha rappresentato uno status symbol delle fasce di ricchissimi che hanno fatto fortuna dopo l’apertura della Russia al sistema di mercato globalizzato. Il mobile italiano, prodotto lungo la direttrice Bassano-Cittadella-Verona, è stata la primissima scelta per l’arredamento delle dacie degli oligarchi e dei milionari russi.
«Noi lavoriamo prevalentemente con designer russi, facciamo arredo su misura. I nostri clienti sono ricchi, ricchissimi, ovviamente non possiamo fare nomi. In Russia vogliono mantenere le relazioni e riprendere a fare business nel prossimo futuro».
Appurato che gli inglesi dicono di non voler fare più business con i russi, cosa dobbiamo ipotizzare noi italiani per il futuro dei rapporti commerciali con la Russia e le aree ex sovietiche? Atteso che nei secoli abbiamo imparato che non dobbiamo fidarci delle promesse indubitabili (De Andrè diceva che non bisogna credere nemmeno al dio degli inglesi…), tutti sperano che non si arrivi a scenari apocalittici e a punti di non ritorno, in primo luogo politici.
«In Russia sono disposti ad aspettare i nostri prodotti anche per molti mesi. Bisognerà capire fino a dove i due fronti contrapposti si spingeranno con la guerra. Mi auguro che nessuno giochi a buttare benzina sul fuoco. Prima di tutto per la guerra in sé e poi perché tra energia, embarghi e sanzioni, l’economia italiana rischierà contraccolpi pesanti».
Un’altra paura dei distretti industriali che lavorano con la Russia è quella di vedersi sostituiti da altri competitori, allo stesso modo di come noi europei di fatto tenteremo di fare nel settore dell’approvvigionamento energetico.
«Nell’alta gamma dell’arredamento, del mobile e delle cucine non vedo al momento chi potrebbe sostituire i prodotti italiani. Una Bentley o una Rolls Royce non puoi sostituirla, al massimo puoi comprarti un altro tipo di auto. Ma prima o dopo chi vuole quelle marche ritorna a comprarle, è già successo nel 2014 nonostante sanzioni e dazi. I prezzi aumenteranno molto, ma non finirà la voglia del made in Italy di chi possiede ville da 3.000 mq. Succede così anche in America, dalla Florida alla California: la richiesta numero uno che parte dai designer per le case di lusso arriva al mercato italiano».
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