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Consigli per l'occupazione

I timori per una nuova ondata di disoccupazione e l’idea di un tavolo di regia bassanese per gestire la ripartenza economica. Intervista a tutto campo al segretario provinciale della Cisl Raffaele Consiglio.

Pubblicato il 06-03-2021
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Raffaele Consiglio è un sindacalista “eretico” perché parla sempre di sviluppo e competitività, temi che normalmente dovrebbero stare dall’altra parte della barricata. Ma appunto come dice il segretario provinciale della Cisl, prima friulano e poi veneto d’adozione, non servono più le barricate di un tempo se vogliamo tenere i nostri i distretti industriali in grado di produrre prosperità e lavoro. In questa intervista, a tutto tondo su lavoro e occupazione nel bassanese in tempo di Covid, lancia un’idea di una “super lobby” bassanese tra imprese, politica, istituzioni e mondo del lavoro per portare soldi e risorse ai piedi del Grappa. E soprattutto una occupazione per i più giovani.

Segretario, partiamo da quello che interessa di più ai bassanesi: il lavoro, prima o dopo arriverà lo sblocco dei licenziamenti. Il “tappo” che è stato messo per evitare traumi durante la pandemia è solo una misura transitoria. Che stime avete per il vicentino nei prossimi mesi?

Il segretario provinciale della Cisl Raffaele Consiglio

Per ora è impossibile avere stime numeriche precise. Il nostro ufficio studi ci conferma che la grande industria sta tenendo, anzi la manifattura inserita nelle grandi linee di produzione internazionale è comunque in crescita.

E nei distretti del bassanese?
Nel bassanese ci sono una miriade di aziende importanti. Il caso critico più eclatante è quello dell’Abb di Marostica, ma si tratta di una scelta deprecabile di una multinazionale straniera di abbandonare la produzione in Italia. Non abbiamo timori in generale per l’occupazione nel settore manifatturiero-industriale. Ci preoccupano invece le tante piccole crisi nel commercio, nel turismo, nel terziario e in alcuni segmenti dei servizi. A Bassano il turismo rappresenta una fetta determinante dell’economia locale, molto di più che nel resto del vicentino. Ci sono poi settori, come quelli legati allo spettacolo e all’intrattenimento, che sono in ginocchio.

Nel vostro confronto con le imprese e le associazioni di categoria che clima respirate? Alcuni sostengono che gli imprenditori non vedono l’ora di poter togliere zavorra dalle imprese per aggrappare la ripartenza. Ma è davvero così?
Bisogna a tutti i costi prorogare il blocco dei licenziamenti fino alla fine dell’emergenza Covid. Noi come Cisl crediamo in un rimbalzo fortissimo per molti settori non appena sarà finita la pandemia. Per il commercio, il turismo e per tutti i comparti collegati: la crisi c’è perché c’è il Covid. Più in generale, guardando a tutto il mondo economico vicentino: lottiamo per evitare le tensioni sociali che potrebbero scaturire da qualche migliaio di lavoratori lasciati a casa. La disoccupazione costa comunque per la Naspi, così come costano gli ammortizzatori sociali. Ripeto ci sarà un rimbalzo, che senso avrebbe “spegnere” tante realtà determinanti per il tessuto sociale bassanese? Per questo bisogna dare maggiore supporto finanziario alle imprese ed anche alle piccolissime realtà, non da ultime per le partita iva.

Nel territorio abbiamo come emblematico il caso della Abb di Marostica. Quante “Abb” ci sono nel bassanese?
Ci preoccupano moltissimo i tanti piccoli artigiani, con pochi dipendenti nella maggior parte dei casi, che lavorano per esempio nel comparto legno. Molti lavoratori sono in “sospensione” dal lavoro addirittura dal marzo 2020. Un anno che non lavorano, o lavorano a singhiozzo. Qui però il problema non è il Covid, è proprio il lavoro che manca o che verrà a mancare.

Ci spieghi.
Si tratta di realtà artigianali che faticano a mantenersi sul mercato. Il problema sarà come ricollocare i lavoratori. Per converso mancano tante competenze e profili di cui le aziende hanno estremo bisogno. La tecnologia si mescola alla sociologia: faccio un esempio, il cinquantenne che non sa, o non vuole, usare il touch screen e vuole continuare ad usare solo il tornio è destinato a restare a margini, o a non trovare più lavoro. Per questo le aziende devono essere parte attiva nel nuovo processo di ri-formazione dei dipendenti. Questa è l’industria 4.0, non è la macchina che fa tutto da sola, è l’uomo che deve rapportarsi alla macchina in modo diverso.

Rimaniamo sull’esempio Abb: viene descritta come un’azienda che negli anni non ha saputo o voluto riconvertire la propria produzione e ora deve licenziare i dipendenti.
Nei distretti del bassanese ci sono altri comparti che creano poco valore nella produzione. Chi non genera valore ha smesso di fare impresa, perché ha smesso di investire. Ma rimanendo sul settore legno: difficile competere nel mondo con la sedia che tutti sono in grado di fare, magari ad un costo minore. Emblematico anche il settore della ceramica: la ceramica d’arte quanti posti di lavoro potrà dare nei prossimi anni? Le aziende della ceramica che oggi fanno design di qualità per l’arredo bagno o le cucine sono vive e vegete. Se la Baxi 10 anni fa non avesse investito sulle tecnologie della caldaie a condensazione oggi cosa farebbe?

C’è poi il grande tema dei giovani, la pandemia ha colpito forse loro dei più vecchi. Prima del Covid i giovani bassanesi senza lavoro almeno potevano andare in giro per il mondo a cercare fortuna. La pandemia ha congelato anche questo.
Tra 15 giorni uscirà una nostra ricerca sul lavoro giovanile. Il Covid ha prodotto numeri da massacro sociale per i nostri ragazzi. Nel vicentino, ripeto vicentino, c’è un 20% di Neet (ndr. Not in Education, Employment or Training) che non lavora e non ha un progetto di formazione in corso. Se poi ci aggiungiamo il problema enorme del mismatch delle competenze, il quadro è allarmante. Per questo torno al tema centrale: la formazione. Penso agli ITS, gli istituti che formano i tecnici dopo la scuola superiore, sono troppo pochi in provincia. C’è un divario enorme tra quello che chiedono le aziende e le competenze a disposizione nel mercato del lavoro, anche a Bassano. Se ci aggiungiamo il calo demografico, le aziende non solo non troveranno più tecnici ma tra qualche anno nemmeno più i lavoratori necessari. La Germania ha ovviato a questo con politiche di occupazione “mirate”: ha fatto venire da fuori la quota di lavoratori che serviva all’economia nazionale. Un altro dato che ci preoccupa riguarda l’occupazione femminile.

In che contesto?
Nei nostri territori, che sono comunque un avamposto della grande industria europea, siamo agli ultimi posti nel Continente per l’occupazione femminile. E in base a tutti gli studi più recenti dove c’è bassa occupazione femminile gli indici di crescita soffrono. Qui ci ricolleghiamo alla demografia, alle politiche della famiglia, alla conciliazione vita-lavoro.

Pensa che le misure di innovazione, di transizione verso l’economia green e ecosostenibile, che dovrebbero essere una parte rilevante del Recovery plan possano trovare qui, nei nostri distretti della meccanica, del mobile, della concia, un ambiente di sviluppo anche per gli aspetti occupazionali?
Certo e lancio una sfida agli amministratori e alle classi dirigenti del bassanese. Ci saranno 200 miliardi di euro da spendere nei territori nei prossimi anni, non possiamo perdere questo treno. I bandi nazionali ed europei devono essere dirottati anche da noi per far ripartire la crescita. Dobbiamo rigenerare le peculiarità competitive nei nostri distretti, ma ci vuole un patto. Perché a Bassano non si può “istituzionalizzare” un tavolo permanente di regia su formazione, servizi innovativi a supporto dei distretti dell’artigianato e industria, rilancio del turismo, proprio in vista delle risorse in arrivo?

Chi dovrebbe partecipare a questo tavolo?
Comuni, la politica locale, le imprese con le relative categorie e i sindacati. Ci vuole coesione sociale per dare forza economica ad un territorio. Lancio un appello ai bassanesi: nessuno conta più niente da solo. E il Covid ci dà l’opportunità di cambiare qualcosa.

E’ sicuro che ci sia la volontà di mettere queste diverse forze attorno ad un tavolo?
La grande crescita di Bassano nei primi del Novecento è arrivata con le Smalterie. Nel secondo Dopoguerra il piano Marshall ha portato altre grandi industrie manifatturiere, penso alla Siltal. Poi è arrivato lo sviluppo diffuso dei capannoni negli anni Settanta, grazie ai lavoratori che si mettevano in proprio. La grande crescita è stata garantita di fatto dalle imprese. Attenzione però: la crescita del futuro si aggancerà solo con la capacità delle istituzioni, dei corpi intermedi e di chi fa impresa di rigenerare globalmente un territorio competitivo per attirare investimenti. Non ci sarà più solo l’impresa. Per questo serve una super lobby, nel senso positivo del termine, per portare risorse e nuovo sviluppo in questo territorio. Se non lo facciamo noi, chi altro potrebbe farlo?

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