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Brassaï. L’occhio di Parigi

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Primo piano

Interviste

Luce e LUMI nella fotografia di Cesare Gerolimetto

Un a tu per tu con il fotografo bassanese presente alla 54^ Biennale d’Arte di Venezia. Le sue foto sono in esposizione al Padiglione Veneto di Piazzola sul Brenta

Pubblicato il 06-08-2011
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Brassaï. L’occhio di Parigi

Quattro scatti di Cesare Gerolimetto sono in esposizione fino a novembre al Padiglione Veneto della 54^ Biennale d’Arte di Venezia, un riconoscimento prestigioso per il noto fotografo bassanese, la sua una professionalità con un valore aggiunto perché scoperta “da grande”, l’ILLUMInazione (è il titolo della Biennale) una passione dalla luce particolare, intensa e ardente di quelle che danno solo i falò non primaverili. La mostra è ospitata a Villa Contarini a Piazzola sul Brenta, una sede che oltre a donare uno splendido aspetto regale all’esposizione è anche uno straordinario luogo teatrale che ben si presta a fare da scenario all’arte e agli artisti della nostra regione. Selezionato dal curatore del Padiglione Italia Vittorio Sgarbi, Gerolimetto www.cesaregerolimetto.com a Piazzola è in compagnia di altri artisti bassanesi tra i quali Federico Bonaldi e Renato Meneghetti presenti con le loro opere anche a Venezia.

Quale strada ILLUMInata l’ha portata fino alla Biennale?

foto di Cesare Gerolimetto esposta al Padiglione Veneto di Piazzola sul Brenta


La Biennale di quest’anno ha seguito un progetto particolare. Vittorio Sgarbi come personaggio si può anche amare o odiare, ma la sua genialità e la sua competenza sono indiscutibili. Come curatore del Padiglione Italia in questa edizione ha scelto e fatto indicare gli oltre 200 artisti in esposizione da intellettuali, persone di cultura volutamente non critici d’arte. Uscendo dai circuiti dei soliti noti e allargando il collegio a tanti uomini di pensiero il curatore ha inteso promuovere la visibilità del talento italiano e ha portato in Biennale artisti anche poco conosciuti, ma in grado di arricchire con le loro opere il linguaggio parlato dall’arte contemporanea. Per quanto mi riguarda credo che la mia segnalazione sia arrivata da parte di Italo Zannier, uno storico della fotografia che ho conosciuto e che si è interessato ai miei lavori. Mi ha molto colpito il discorso inaugurale di Sgarbi, l’esordio a una platea internazionale è stato questo: “Chi di voi conosce Federico Bonaldi? Pochi? Ecco appunto, ebbene è il più grande ceramista italiano vivente”. Il suo omaggio a Federico, che è un mio amico, mi ha commosso, Sgarbi lo ha voluto a Venezia anche a Palazzo Grimani e poi a Spoleto, e al di là di questo la provocazione la dice lunga sull’odore di chiuso e di mercato che sta da sempre intorno all’arte, anche la fotografia sta raggiungendo vertici impensabili fino a qualche tempo fa, un autoscatto di Cindy Sherman è stato quotato recentemente 4 milioni di dollari.

Come sono state scelte le sue fotografie che sono in mostra a Piazzola?

La richiesta era quella di inviare scatti relativamente recenti, le opere da selezionare dovevano essere state prodotte negli ultimi dieci anni, io ho inviato una ventina di fotografie a tema vario, foto di viaggio, paesaggi astratti, una decina di immagini del monte Grappa, e proprio quattro di questi scatti sono stati scelti per l’esposizione. Ne sono orgoglioso perché è il paesaggio di casa, non si porta dietro la magia del luogo famoso o l’immagine del globetrotter, e il nostro monte sacro reso quasi astratto diventa leggibile come montagna di tutti. Cerco di fotografarlo in ogni occasione il Grappa, le levatacce alla ricerca dei nostri paesaggi veneti non si contano, sono sempre in giro ma non mi stanca, l’importante è andare sempre alla ricerca della luce giusta.

Qual è la prerogativa della fotografia, cosa è in grado di dire di diverso rispetto agli altri linguaggi dell’arte contemporanea?

La fotografia per me è strettamente legata alla geografia, io nasco come fotografo di viaggio. La sua enorme potenzialità comunicativa è data dalla facilità di duplicazione, e quindi di divulgazione, la fotografia non è destinata alle gallerie, ma casomai ai libri, alle riviste, deve circolare, si differenzia dalle altre arti figurative per la sua facilità di circolazione, di accessibilità e per la sua comprensione immediata, alla portata di tutti, senza bisogno di tanti filtri, comunica ciò che è e ne apprezzo la libertà. A proposito di comunicazione con l’Associazione Oncologica San Bassiano abbiamo progettato di organizzare un’esposizione di mie fotografie, la mostra sarà ambientata in ospedale e l’abbiamo intitolata “Veneto un paesaggio da salvare”, si potrà vedere da metà settembre. Le foto scelte, allestite in stampe molto grandi, rappresentano il nostro territorio e il suo paesaggio naturale forse più qui che altrove martoriato dalla presenza umana, è un territorio testimonianza della mancanza molto italiana di progettualità, basta salire a Tortima per rendersene conto, come racconto in un mio scatto. Ho sempre fiducia nella valenza educativa delle immagini, e ho speranza che la loro forza nel rappresentare la realtà qui e ora servano a rendersi conto, a vedere davvero cosa c’è intorno, e forse anche a far riflettere su cosa c’era e cosa ci potrebbe essere di migliore.

Sono tanti i cambiamenti “visivi” che interessano Bassano di questi tempi, da dietro l’obbiettivo come li vede?

Pensare sempre che prima era meglio è anacronistico, il progresso va avanti, la comunità cresce e ciò porta a cambiamenti inevitabili. Si vorrebbe però sentire che dietro a queste modifiche del paesaggio c’è sempre un’ottica di pianificazione, di progettazione e di rispetto, invece molto spesso si vedono attorno gli effetti di un accomodamento del territorio che procede per urgenza, sotto la spinta di necessità contingenti, e nessun luogo ne guadagna in bellezza, e spesso neanche in vivibilità. A Bassano penso alla rotonda in realizzazione nella terrazza che guarda la Valbrenta e all’impatto visivo di una rotonda posta a pochi passi dalle mura storiche della città, e non oso immaginare cosa ne direbbe Cesco Baseggio; a Marostica penso alle abitazioni fitte costruite fin sotto la cinta del Castello, e poi penso a quanto ormai sia diventato difficile trovare un paesaggio “al naturale” in Veneto. I cambiamenti “visivi” sono molti e avvengono in fretta, tanto che quasi non li vediamo.

Dopo “Rosà da scoprire” (l’ultima pubblicazione fotografica di Gerolimetto), a cosa ha dedicato il suo sguardo?

A Venezia e al suo verde, si tratta di un libro che raccoglie le immagini dei giardini segreti di Venezia, delle oasi bellissime e nascoste, isole verdi che il turista non immagina esistano celate tra calli e campielli, o addirittura dietro piazza San Marco, e che danno un tocco di verde inedito alla città.

Da settembre a Bassano prende il via “Bassano fotografia 11”, una kermesse che farà a lungo del territorio una città delle immagini. Un bell’omaggio al mondo della fotografia

Sì, penso che l’idea sia nata come prosecuzione del “Progetto Fotografia” organizzato due anni fa ed è senz’altro una bella iniziativa, porterà anche grandi nomi in città, è un occasione di crescita culturale per tutti. Mi piace la circostanza che anche la mia mostra organizzata al San Bassiano prenda il via nello stesso periodo – in realtà era già stata progettata da tempo – quasi in una convergenza di idee e di intenti, una bella "istantanea".







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