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Laura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it
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A tu per tu con Simone Sarasso
Incontro di apertura del Piccolo Festival: un aperitivo in musica con i The Forensik e poi l’appuntamento con l’autore novarese primo ospite di Palomar
Pubblicato il 25-06-2011
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Simone Sarasso ha presentato ieri sera nell’incontro di apertura del Piccolo Festival della Letteratura i suoi due libri Confine di Stato e Settanta. Al centro dei discorsi dello scrittore novarese, intervistato a Palazzo Bonaguro da Dario Lunardon di Palomar, i misteri italiani.
Qui al Piccolo Festival si parla spesso di letture legate in qualche modo all’attualità, ma che con le riflessioni che propongono tracciano un ponte ideale tra passato e futuro, e ci stanno nel mezzo. In quale direzione ti piacerebbe che il tuo libro facesse muovere i passi del lettore?
a destra nella foto Simone Sarasso
Naturalmente mi piace l’idea che i miei libri incitino a una sorta di curiosità e di desiderio di approfondimento delle storie che narrano, non si tratta di saggi, in loro c’è la necessariamente la fiction ma ci sono anche vicende importanti che sono legate all’attualità o a un passato recente, i cosiddetti “misteri italiani”. Spesso le istituzioni preposte, anche la scuola, si sottraggono al loro compito far ricordare, di far capire e di trasmettere la memoria quando si tratta di fatti recenti e così ravvicinati e complessi, e poi c’è anche chi di proposito intorbida le acque. Mi piace la prospettiva di fare parlare di fatti che ci riguardano così da vicino per farli conoscere anche a chi allora non c’era, e che vive direttamente questo buco nel tempo. Il ponte attraversa il passato per tendere al futuro.
Il rapporto tra la narrazione delle storie e la storiografia è sempre interessante da indagare, lo scavo storiografico stimola l’immaginazione, la fantasia. Parlare degli anni ’70 con una narrazione di sponda, senza indugio nell’elenco dei fatti e dando voce a diverse ottiche può servire a dare un quadro più completo di quegli anni?
Il lavoro della documentazione e della ricerca è indubbiamente la parte più interessante, e a questo proposito devo molto agli insegnamenti di Carlo Lucarelli.
Parlare poi da narratori di scoperte e verità che trattano fatti così gravi come quelli avvenuti negli “anni di piombo”, o anche il semplice ricordare che nel ’53 c’è stato un omicidio Montesi, scrivere, necessariamente, in forma romanzata di vicende cupe, piene di verità nascoste, è un po’ il tentativo di rispondere al bisogno urlato di averne una giusta memoria, anche perché è noto che a distanza di tanti anni non c’è ancora chiarezza sulla verità su quei fatti, tantomeno la sicurezza che i colpevoli stiano scontando la giusta pena.
Un difetto nella visuale di noi italiani, è talvolta una sorta di presbiopia retrospettiva, si vedono nitide le vicende del passato e più sfocati i fatti che riguardano la storia recente: quanta importanza ha il ruolo degli autori, della narrazione nel ridefinire i contorni?
Gli scrittori hanno un ruolo nel contribuire a ricomporre i puzzle, con il loro raccontare le storie alla fine narrano la Storia. In Settanta incrocio quattro punti di vista, quelli di un esecutore materiale delle stragi, di un giovane avvocato del sud, di un attore che diventa una star del poliziesco all’italiana e di un grande bandito milanese, colori diversi presenti sulla tavolozza che però insieme riescono a dipingere un intero paesaggio. Nessuna pretesa enciclopedica di costruire il romanzo-mondo, l’intenzione è quella di mettere a diposizione più tessere, di creare una narrazione a più mani.
Anni neri, gli anni ’70 raccontati da qui, gli spari che zittiscono la colonna sonora di Un angelo blu e della Canzone del sole, può servire a chiarirne il buio la lingua che usi tu, multiforme, artefatta, un utilizzo dei codici presi a nolo da più arti, e da altri?
Il fatto è che c’era anche questo, la musica ad esempio, e che musica in quegli anni! C’erano questi ragazzi terribili, disposti anche ad uccidere per la politica, e accanto c’era tutto il resto, la musica, la moda, l’energia del rinnovamento. Ho scelto di parlarne usando una contaminazione di linguaggi, privilegiando ad esempio quello del cinema, ellroyano, in Confine di Stato e poi quello del realismo alla De Cataldo in Settanta perché l’ho trovato utile per riproporre le tante voci, la stereofonia della complessità che attraversava quei tempi.
Confine è un libro sulla strategia della tensione, è sempre più interessante parlare dei cattivi che dei buoni?
E’ sempre più interessante parlare dei cattivi, l’ho sempre pensato anche se adesso sto un po’ cambiando idea. Per spiegarlo prendo sempre come esempio i grandi personaggi neri di Guerre Stellari. Lucas ci ha fato tre film, una trilogia mitica, il buono della situazione non può reggere il passo con fascinazione di questi personaggi. E poi resta il fatto che la narrazione italiana degli ultimi decenni l’hanno fatta soprattutto i cattivi, e che tante storie sono state scritte nelle stanze buie del potere.
Che cosa c’è secondo te attualmente oltre la siepe, oltre il confine di Stato?
Mi chiedi del futuribile? Beh, io in realtà un’anticipazione l’ho già fatta, la mia immaginazione al lavoro qualche idea ce l’ha: in United we stand (la prima graphic-net-novel italian scritta da Sarasso e illustrata da Daniele Rudoni) ho scritto che nel 2013 in Italia verrà eletta al potere un donna, di Sinistra, e che il giorno dopo il suo insediamento ci sarà un golpe, uno vero, non come quello approssimato negli anni ’70. Naturalmente mi auguro che la mia fantasia non si avveri, non del tutto.
Il Piccolo Festival ha proposto quest’anno un esercizio di memoria storica letteraria, e invitato i lettori a racchiudere in un elenco i libri che ci hanno resi più italiani. Qualche titolo che aiuti a suddividere in capitoli il 150°, un contributo per il 15x10?
La mia lista è questa, nella scelta non sono riuscito a fare a meno di pensare ai miei Maestri: in ordine sparso ci metto Almost Blue, di Carlo Lucarelli; Il pendolo di Foucault di Umberto Eco, c’è chi lo odia e chi lo ama questo testo, io ci ho scritto la tesi di laurea e sono dichiaratamente tra questi ultimi; Q del collettivo Wu Ming, che allora si chiamava Luther Blissett; Nel nome di Ishmael di Giuseppe Genna; anche per motivi anagrafici e affettivi non posso non meterci Jack Frusciante è uscito dal gruppo, di Enrico Brizzi; Romanzo criminale di Giancarlo De Cataldo; Piazza Fontana di Giorgio Boatti; Strage di Loriano Macchiavelli, che parla di un’altra tragedia italiana, quella di Bologna del 2 agosto 1980; Il tempo infranto di Patrick Fogli e infine il romanzo di un altro collettivo, La strategia dell’ariete scritto da Kay Zen. Sono libri che riguardano la mia formazione, ma che in fondo parlano tutti anche dell’essere italiani.
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