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Se durante la serata di Sabato allo Shindy ci si fermava un attimo, e si ragionava su quanto stesse accadendo, c'era da non crederci: uno dei locali più trendy del circondario popolato da una folla gremita (proveniente un po' da tutta la regione) per un concerto di noise e rock sperimentale. Ecco servito chi dice che a Bassano non c'é niente di interessante da fare.
La serata, attesissima da molti amanti della musica indipendente italiana, si apre circa a mezzanotte con un'esibizione allucinata e allucinante di Stefano Sguario, portavoce del rumore bassanese attraverso le sue macchine e il suo corpo: il pubblico si è dimostrato incuriosito e affascinato dall'attitudine punk che Stefano ha dimostrato nei confronti della sua ben nutrita oggettistica. Magnetico: non poteva esserci migliore warm-up per l'esibizione degli ZU.
Nel giro di pochi minuti, i tre musicisti romani non hanno deluso le attese, gonfiando di decibel la sala concerti dello Shindy. La gente ha risposto con calore e anche con qualche timido tentativo di movimento. Luca Mai (polmone infaticabile al sax baritono), Massimo Pupillo (mano violenta e precisa sul basso) e Jacopo Battaglia (batterista di grandissimo impatto tecnico e scenico) hanno dimostrato di saper aggredire il palco con un interplay notevole, frutto di anni di esperienza e concerti in giro per il mondo. Sono forse uno dei pochi casi – soprattutto per l'orecchio italiano, abituato al versatile musicista in grado di spaziare da un genere all'altro – in cui un'elevata tecnica è accompagnata da un approccio allo strumento sanguigno e a senso unico: cambi di tempo perfetti, strutture ritmiche dispari, riff di basso impossibili, frasi di sax complesse e ossessive, ... tutto suonato con una passione dannatamente rock che ha incantato le persone presenti.

Un momento del concerto di Sabato.
Il gruppo ha presentato buona parte di “Carboniferous”, l'ultimo album, che conferma i tratti distintivi della musica degli ZU, dimostrando però una maturità compositiva e produttiva se possibile maggiore. Il concerto si apre con “Chtonian”, pezzo che conferma l'opinione della critica secondo cui, quello che nei primi dischi a tratti sembrava una sorta di jazz-core, assume ora le caratteristiche più ruvide di un math-rock davvero “carbonifero”, dai suoni più ruvidi e immediati. Nel live, questa leggera virata di stile viene comunque sfumata dai volumi costantemente a palla e dalle distorsioni spinte al limite. Il suono magmatico viene esaltato, verso la fine dell'esibizione, dall'energia quasi danzereccia di “Ostia”, che riesce persino a smuovere i presenti. Tra un pezzo e l'altro, Luca, Massimo e Jacopo hanno concesso pochissime parole, interagendo soltanto in un paio di occasioni con il pubblico e mantenendo, per quasi tutta l'ora e mezza scarsa del concerto, tre facce incattivite e concentratissime.
L'impressione generale è che il gruppo, per palati raffinatissimi su disco, acquisti su live una forza e un'immediatezza inaspettate, frutto certamente di un mix terrificante di ragione e follia, di intellettualismo e furia selvaggia. Una live-band impressionante che, per una sera, ha fatto di Bassano la capitale della musica sperimentale italiana.
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