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La clinica del cane Palla sul grande schermo
Laura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it
A tu per tu con Luca Di Fulvio e Serafino Murri
Ci piaceva di più “Diamond Dogs”
Pubblicato il 20-06-2009
Visto 4.056 volte
Luca Di Fulvio
Hai detto questa sera che l’immagine che hai dello scrittore forse somiglia a quella di una nonna che narra le storie davanti al focolare, cosa pensi dei teorici della scrittura “creativa”?
Luca Di Fulvio Serafino Murri e Tobia Fiorese
Lo scrittore deve riuscire a generare l’incanto, quello stato di beatitudine che coglie i bambini quando la storia si fa avvincente, quando il racconto “funziona”. C’è senza dubbio una dote, un talento che porta alla buona scrittura. I corsi servono, forniscono tecniche, strumenti, ma non bastano: insegnano a fare le suole, a disegnare la tomaia, non a camminare. Chi scrive bene non deve inorgoglirsi ma apprezzare il dono che ha ricevuto e coltivarlo.
Ci si ritrova o ci si riconosce nella narrativa di genere?
Ci si sta comodi, perché è una gabbia che contiene e che quindi in un certo qual modo rassicura e protegge.
Perché si dice che il racconto non basta? Per il lettore è sempre d’obbligo aprire cancelli, porte e finestre e far entrare tutto un romanzo?
In Italia non c’è una tradizione che valorizza il racconto, l’editoria stessa non promuove nè facilita la crescita di una cultura del racconto. In altri Paesi è invece una forma letteraria molto apprezzata. Nel nostro orto italiano manca una verdura preziosa, un radicchio colorato e saporito.
Sei stato autore di testi teatrali di successo, ma hai affermato che vuoi chiudere con il teatro
E’ una chiusura momentanea, forse legata ad eventi, ad incontri non felici. Ma continuo ad amare il teatro e a trovarlo una forma espressiva ed artistica completa, estremamente affascinante, che mi emoziona.
Un sogno ed un incubo di un autore “noir”
Un sogno è un racconto d’amore, un incanto che vivo da 23 anni e che metto al primo posto nella mia hit parade personale rinnovata di recente. Un incubo, e non vado molto lontano, è la paura della perdita dell’amore. Eros e Thanatos, la passione e il timore di perdere ciò che ami, sono queste le forze che muovono ogni cosa.
Spesso si scrive qualcosa per dire dell’altro, ai personaggi si fanno indossare delle maschere, un po’ come sul palcoscenico, c’è sempre almeno una doppia lettura nelle cose che raccontiamo, la verità è altrove?
La verità assoluta non esiste, il racconto dei fatti è il proprio racconto. Nella Cabala ci sono 72 Angeli, si dice che ognuno di noi abbia il suo Angelo guida, ma la ricchezza della molteplicità è il vero tesoro. La comprensione del tutto è appannaggio solo dei Santi.
Hai un rapporto stretto con il cinema che ti cerca, con l’immagine, hai l’impressione che nei tuoi lavori il suono delle parole possa non bastare?
Le parole possono bastare, ma se qualcuno riesce a sentire echi diversi e vuole rappresentare le mie storie attraverso le immagini o un gesto teatrale lo considero un omaggio, un arricchimento. Spesso non c’è la pretesa di una fedeltà al testo, ai miei pensieri, e questo mi va bene, vuol dire che le parole generano un nuovo atto creativo.
Serafino Murri
Sei il regista di un episodio di Feisbum, un film uscito a maggio che parla del fenomeno di Facebook, Feisbum racconta... l’incomunicabilità?
Facebook è un social network che testimonia il desiderio di comunicare, di uscire dal guscio e cercare contatti, amicizie, incontri. Ho moltissimi amici su Facebook. Il successo di queste nuove forme di “aggregazione” forse sì, rappresenta il desiderio forte e manifesto di combattere l’incomunicabilità.
Durante la presentazione si è parlato di Angeli Neri, di figure spietate come il protagonista in negativo di “La Gang dei Sogni”. Recentemente Giulio Casale ha pubblicato un libro dedicato ai testi di Jeff Buckley, un altro tipo di dark angel, tu hai progettato “I nuovi Angeli-Amore tossico 25 anni dopo” una riedizione del film di Caligari. Appare forte l’esigenza di raccontare anime buie: è per fare luce?
Il buio è una parte di noi, negarlo porta a risultati sterili, all’implosione. Riconoscere gli aspetti complessi ed oscuri della propria personalità è il primo passo per l’accettazione di noi stessi e degli altri. In “I nuovi Angeli” ho voluto raccontare storie che si perpetuano nel tempo senza riscatto, interpretate da personaggi veri, reali. Una linea discendente tra padre e figlio che inquieta perché l’indagarla conduce a testimoniare l’identità. Anche nel libro di Luca i rapporti tra padri e figli sono complessi, profondi, e spesso spietati.
L’importanza dei dialoghi, l’attenzione alle parole: hai lavorato molto curando questo aspetto nei testi, nella cinematografia. Che valore ha oggi la parola? Nell’era della comunicazione si è affievolita la “consapevolezza”?
Sì, viviamo un’epoca in cui è paradossale l’eccesso di parole che dilaga, parole spesso vane, svuotate da un significato ultimo. La parola detta o scritta ha un valore assoluto che andrebbe sempre riconosciuto, non interpretato. D’altro canto uno sguardo, un gesto sono più forti, non tradiscono, rivelano e comunicano senza bisogno di parole che potrebbero non rispecchiare. Il buon cinema cerca di far propri entrambi i linguaggi e li restituisce il più possibile puri.
Hai parlato prima della scrittura di Di Fulvio come di uno stile libero da intellettualismi: lo consideri un valore aggiunto?
Sì, la tendenza a schierarsi dietro paraventi culturali non libera le storie, eccede nell’autocompiacimento. Di Fulvio è un narratore che mette in scena i suoi personaggi nudi, uomini e donne allo specchio che raccontano bugie, ma che riflettono schegge di vita.
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