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Brassaï. L’occhio di Parigi

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Teatro

Corre sui social, la fame di fame

Andato in scena al Teatro Remondini il nuovo lavoro firmato da Emanuele Aldrovandi, nel secondo appuntamento della stagione bassanese

Pubblicato il 14-01-2025
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Brassaï. L’occhio di Parigi

Il secondo appuntamento della rassegna teatrale bassanese, realizzata in collaborazione al circuito Arteven, lunedì 13 gennaio ha portato al Remondini lo spettacolo "Come diventare ricchi e famosi da un momento all’altro", pièce prodotta dall’Associazione Teatrale Autori Vivi, Teatro Stabile di Torino–Teatro Nazionale, Emilia Romagna Teatro ERT/Teatro Nazionale.

Testo e regia di Emanuele Aldrovandi, lo spettacolo ha portato in scena il tema della fame di fame che prende a volte i genitori, soprattutto quelle mamme che proiettano la loro esistenza dal confezionamento opacizzato sulla vita delle figlie, donne desiderose da una parte di offrire “qualcosa di meglio” e dall’altra di vivere per appalto una vita più bella, una vita da star.

Giusto Cucchiarini tra i protagonisti dello spettacolo (foto Luca Del Pia)

La madre in questione si chiama Marta (Serena De Siena), una bionda spumeggiante, gesticolante e comica alla Katia Follesa; sua figlia Emma, una seienne, non si vedrà mai. La narrazione è a cura del compagno di lei, l’apicoltore Ferdi, interpretato indovinata la giusta misura da Giusto Cucchiarini. Altri due personaggi sono un’attrice di punta, Chiara Velati (nei suoi panni un’elegante e dorata Silvia Valsesia) e Carlo, il surreale cognato di Marta (Tomas Leardini).
Un ronzio da alveare ha preceduto l’ingresso dei personaggi sul palco, allestito a cura di Francesco Fassone con enormi pannelli da arnia, fitti di cellette esagonali e tinti di giallo.
Si scoprirà che Emma è una piccola pittrice creduta dalla mamma geniale. Ma a cotanto genio per ottenere il pubblico riconoscimento serve una spinta “social”, e Marta prova a circuire la showgirl di successo, a cui chiederà una spintarella di quelle 3.0 sfruttando l’amicizia tra le figlie, che frequentano la stessa scuola. Anche Chiara ha dunque una bambina, cieca, di nome Blu.
Segue un invito a pranzo, dove il piano è quello di presentare i lavori talentuosi di Emma all’influencer che pare avere la bacchetta magica del potere mediatico, senza che appaia troppo alla luce del sole la richiesta di “sponsorizzazione”.
Difficile tenere viva la conversazione tra le due donne, che hanno poco in comune in realtà a parte due figlie coetanee, e accanto introdurre il tema dell’attività pittorica della piccola, che nel frattempo ha imbrattato tutte le sue “tele” di giallo. Ne nascerà una discussione sull’arte contemporanea e la sua necessità di trovare una narrazione condotta soprattutto da Carlo, il cognato, uomo bizzarro e sopra le righe frequentatore abituale di Chess.org.
Spostamenti di pannelli-arnia e scale nere incorniciano una serie di scene con equivoci divertenti, a corredo battute comiche che precedono il venire a galla della verità, dell’espediente utilizzato da Marta per promuovere la figlia e le sue tele. Imprevedibilmente, viene annunciato, le opere gialle diventeranno davvero “d’oro”: mamma e figlia si arricchiranno e partiranno al volo in tourneé. Le vendite schizzano alle stelle e arriva all’istante, questa fame. Tutti ballano per festeggiare, in biancheria, illuminati da flash da red carpet, poi la danza rallenta, le figure si “statuizzano”. Ferdi, rompendo la quarta parete, anticiperà che l’epilogo non è un happy and, e una voce di bimba ricreata dall’Intelligenza Artificiale annuncerà che il sogno è virato in incubo, per Emma.

In luce nella drammaturgia i meccanismi del potere declinato ai nostri anni, al tempo dei social, un nastro trasportatore che procede per balzi verso cieli vertiginosi e fatui e verso un consenso legato a meccanismi folli, il tutto contrapposto al lavorio lento, naturale, di uomini-api, della loro attività a ritmo umano che va in fretta scomparendo. “La bravura non c’entra niente”, viene ripetuto più volte.
Accanto, una riflessione sull’arte contemporanea e le sue peculiarità.
Suggestiva, l’entrata in scena nel finale di una testa di cavallo, a rappresentare i nostri dei di culto e la mossa vincente sulla scacchiera; altrettanto la trovata dell’innalzamento di un pannello giallo che illuminato diventa d’oro, evocante in chiusura lo spegnersi dei riflettori, del sole.
L’allestimento surreale ha giovato alla messa in scena, forse in qualche momento la sovrapposizione dell’assetto onirico e l’andare dei fatti narrato, che contiene un’alta cifra di quotidianità, se non di banalità, non è risultato a pieno armonioso, ma la rappresentazione delle nostre derive viaggianti da tempo ormai su binari incontrollabili si è ben delineata e l’assunto “è l’arte che crea la vita” è risultato ben in affaccio.
Applausi, dal pubblico del Remondini.

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