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Brassaï. L’occhio di Parigi

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Cinema

Modalità lettura 4 - n. 4

Un numero dedicato al cinema, con la nostra recensione del film The Substance, di Coralie Fargeat

Pubblicato il 17-11-2024
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Brassaï. L’occhio di Parigi

Modalità lettura, lasciati sul comodino i libri, su invito in questo numero va al cinema, e nel vasto panorama del multisala Metropolis sceglie non a caso The Substance, il film di cui tanto si parla e si scrive uscito in Italia a ottobre firmato da Coralie Fargeat, autrice di sceneggiatura e regia. Leggiamo anche il bugiardino annesso: il pezzo contiene degli spoiler.

Secondo lungometraggio della regista e sceneggiatrice francese, che ha esordito con Revenge nel 2017, il film mette in scena la storia solo in parte assurda e horrorifica, con l’acca, di Elisabeth Sparkle (non di Demi Moore, la sua bravissima interprete, anche se i paralleli sono collocati bene in vista a tutto vantaggio del prodotto cinematografico).

Demi Moore, protagonista del film The Substance

Nell'inizio viene inquadrata una stella collocata sulla Walk of Fame, si assiste all’alba della sua nascita sull’asfalto, tra gli applausi, e subito dopo si seguono i passi del tempo che avviano al tramonto la parabola di un’attrice di successo.
Si ritrova Elisabeth all’età di cinquant’anni, sempre bellissima e statuaria ma tesa, come in allarme, sul volto un sorriso tirato, inquadrata in pieno movimento mentre conduce un programma televisivo di aerobica. Con le candeline del genetliaco, la donna trova il regalo di un licenziamento accompagnato da bei sorrisi e sottotitoli di parole brutali. Sono pronunciate in gran parte dal dirigente della rete tv Harvey (Dennis Quaid), una sorta di pappone con corte annessa che si nutre di indici d’ascolto — e del tintinnare di denari che ne consegue — determinato a collocare in pensionamento chi ha fatto la sua fortuna e a mettere carne fresca in vetrina, la filosofia dell’usa e getta alla guida.
Parole (e gesti) hanno in realtà una doppia paternità: sono “detti” prima di tutto dagli sguardi dell’audience, da chi fuori inquadratura ha iniziato a boicottare l’appuntamento televisivo con Elisabeth. Un crash totale per la donna, abituata a vedersi ritratta in panni succinti su mega cartelloni in tutta la città, esposta all’adorazione.
La caduta senza paracadute di una dea e un rovinoso crash vero a un incrocio, apparentemente senza gravi conseguenze grazie allo scoppio degli air bag. Ne avrà, invece, e molto gravi, perché all’ospedale avverrà l’incontro con un bellissimo infermiere-angelo nero spacciatore che farà conoscere alla donna ferita una misteriosa “Sostanza”.
Introdurre nel gioco a questo punto il binomio “apparenza e sostanza” sarebbe fuori tempo e stonato: è già chiaro che sarà il tema di superficie del messaggio morale, la messa in guardia sottesa, ma sono altri i piani di lettura molto più interessanti che scorrono nel film.
Solo in accenno, perché l’affondo sarebbe complesso: messo in rovesciamento, qui la sostanza non è traducibile con l’essere di per sé (sostanza=valore) ma è introdotta come un elemento neutro, senza connotazione identitaria e portatrice di molte incognite affascinanti riguardo ai suoi natali misteriosi (distese di ghiaccio o campi elisi?); l’apparenza sembra invece regnare incontrastata e asfaltare ogni cosa senza possibilità di replica — bella la bellezza e brutto invecchiare, l’invecchiamento inteso come decadenza (un’ovvietà); per una donna poi, soprattutto per una donna che è stata bella o desiderata, che è lo stesso, si entra nel regno dell’impossibile.

Tornando alla trama, in estrema sintesi: la Sostanza è un misterioso siero di ringiovanimento capace di generare una versione migliore — più giovane, più bella, più perfetta — di sé. Elisabeth fa una breve resistenza ma poi si tufferà senza rete, nulla da perdere intorno, e sprofonderà fino all’autodistruzione totale nella dipendenza. Non a caso, i colori del raffinato nido e del packaging della Sostanza, gli stessi dell’abbigliamento preferito di Elisabeth, sono il giallo e il nero, colori aposematici che evocano animali velenosi.
Farmaco e veleno, la Sostanza è accompagnata da avvertenze precise sul suo utilizzo. I fondamentali: bisogna mantenere l’equilibrio e You. Are. One. (tu sei una). L’iniezione del siero provoca in lei non un ringiovanimento, ma qualcosa di mostruosamente inatteso: nel dolore, dalla schiena di Elisabeth emerge per partenogenesi una ragazza bellissima che si auto battezzerà Sue (è interpretata da Margaret Qualley). In effetti è la versione più giovane, più bella, più perfetta della "madre” che l’ha partorita, un doppio che è un po’ il ritratto dietro alla tenda di Wilde di cui Elisabeth si innamora. Sono due versioni della stessa persona chiamate a condividere una vita sola, costrette però ad alternarsi: mentre una è viva e al mondo per sette giorni, l'altra rimane come morta, attaccata a nutrimenti indispensabili, fabbricatrice a sua volta dal midollo di un distillato stabilizzatore.

In questo tran tran di buchi in vena e altrove circola il sogno della felicità, andando oltre dell’immortalità, poiché magicamente avviene che le cellule si rigenerino autonomamente. Le “due” non sono madre e figlia, la natura della creazione ha più a che fare con gli alieni e di sicuro con Alien (anche con le creature di Cronenberg), ma nel corso del film i richiami al rapporto matrigna o strega/Cenerentola sono molti, perché se l’equilibrio anche per corpi così speciali è difficile da mantenere, “tu sei una” si rivelerà la parte impossibile da ricordare, per la nostra attrice.
La dipendenza muterà forma a un certo punto, e farà la sua comparsa in abbinata anche l’abbruttimento generato dall’eccesso di cibo-spazzatura. L’evoluzione della trama ha i connotati dell’horror (body horror, o anche beauty horror, le definizioni più attribuite) e una realizzazione magnifica, tra il grottesco e il Grand Guignol, si sarebbe detto in altre epoche a teatro.
Rigorosamente da vedere al cinema, con le sue numerose citazioni d’autore e con un crescendo che arriva a frantumare ogni sfera di cristallo, detto in linguaggio quasi musicale. La colonna sonora, che ha un ruolo importante, porta la firma del compositore e produttore inglese Raffertie.

Magistrali le scene finali: protagoniste una ghiandola mammaria e un volto di Medusa che va a morire su un stella che ben conosciamo. Orrido e bellezza: per l’orrido si ringraziano gli effetti speciali creati da Pierre-Olivier Persin; per la bellezza, un incanto le sequenze con protagonisti corpi femminili perfetti scrutati a frammenti, nessun defrag, dove emerge con forza una granitica certezza, ovvero che l'immagine di sé che le donne restituiscono al mondo è perennemente messa sotto lenti di ingrandimento per metà carezzevoli per metà spietate.
Viene da chiedersi se sia uno sguardo diverso, quello con cui spettatori e spettatrici percepiscano i lievi accenni al futuro crollo del corpo di Demi Moore messi in risalto in certe inquadrature, e quale sia dei due l’occhio più impietoso. Forse non è tanto il loro quanto il suo, e questo è il problema vero: il “cattivo” è lo sguardo della donna bellissima vestita in rosso che si prepara a uscire dopo tanti anni con un per sempre innamorato ex compagno di scuola, e che guardando le sue immagini riflesse nelle gigantografie e nello specchio capisce — per sempre — che non si piace più. Elisabeth si fa convinta che non si piacerà e non piacerà mai più, e si scarabocchia con rabbia il viso con il trucco, si ferisce di rosso. Scena di un realismo memorabile.
Grandi temi, che il film affronta con un taglio di genere, in molti sensi, e risolve con un sommovimento estremo, intrigante nei suoi eccessi e istigante belle riflessioni.

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