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Brassaï. L’occhio di Parigi

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Interviste

Un giorno storico, per gli Estra

Sabato 19 ottobre, Uglydogs porterà al Teatro Montegrappa di Rosà la band in concerto. La nostra intervista a Giulio Casale

Pubblicato il 15-10-2024
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Brassaï. L’occhio di Parigi

Come avevamo annunciato in un numero speciale di Modalità lettura dedicato al loro nuovo disco lo scorso giugno (al link shorturl.at/t8eWS), gli Estra sono tornati a calcare i palchi in tour e sabato prossimo, 19 ottobre, grazie all’associazione di promozione sociale Uglydogs, saranno al Teatro Montegrappa di Rosà per un concerto speciale, una versione de gli anni venti che hanno definito “semi-elettrica”. Un evento, perché qui legittimamente si può dire.
L’album è stato registrato in studio con la collaborazione di Giovanni Ferrario e Marco Olivotto ed è stato finanziato grazie a un crowdfunding con esiti sorprendentemente positivi acceso sulla piattaforma Produzioni Dal Basso. I biglietti per il concerto, che avrà inizio alle ore 21.30, sono in vendita sul circuito Dice. L’ingresso è riservato ai soci Uglydogs Aps in possesso della tessera (info@uglydogs.it).
Parliamo dell’idea di un concerto così appositamente concepito e del disco con Giulio “Estremo” Casale, che sarà impegnato con Abe Salvadori, Eddy Bassan e Nicola Ghedin a far apprezzare a pieno contenuto e sonorità di questa nuova opera (tra le altre cose vincitrice della prestigiosa Targa MEI – Premio Italiano Musica Indipendente nella categoria “Miglior Artista Indipendente dell'Anno”, riconoscimento ritirato lo scorso 5 ottobre a Faenza). Il disco ha segnato ufficialmente il ritorno della band sulla scena del panorama musicale italiano due decenni dopo l’ultima prova realizzata in studio.

Gli Estra a Faenza, alla premiazione (fonte FB)


“Non un unplugged in stile MTV”, sperando che i più giovani sappiano a cosa ci riferiamo, ma “una visione obliqua su un repertorio che si presta a molteplici letture”, scrivono nel loro sito gli Uglydogs: puoi anticiparcene qualcuna? (il tu perché la nostra prima intervista risale al 2010 n.d.r.)
Diciamo che trovandoci ad esibirci in un teatro non avremo la necessità di spingere al massimo i nostri suoni. Ma saremo sempre noi. Forse emergeranno di più alcuni dettagli di arrangiamento, oltre che la parte letteraria. La fruizione da parte del pubblico, seduto in poltrona, è ovviamente molto diversa da quella che si può avere in un rock club. Ma niente di così snaturante, in fondo.

Nella nostra rubrica avevamo intrapreso un viaggio tra le canzoni de gli anni venti sottolineando una sorta di urgenza, di grido, che saliva dalle parole e dalla musica: l’attualità che chiama è all’origine di questo lavoro e di questo ritorno?
Certamente. Non saremmo mai tornati con un album intero se non avessimo sentito questa urgenza di fronte a un clima sociale e culturale sempre più allarmante. Ci sono dei momenti storici che impongono presenza, impegno, impongono perfino di schierarsi, con tutta la difficoltà del caso. Ma far strame della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, e governare diversi Paesi europei a partire da ciò, beh, per noi è semplicemente inaccettabile. La nostra musica sa e può raccontare, e anche denunciare tutto questo, a quanto pare.

Rubando in parte il titolo a una delle vostre canzoni, che ne è stato degli umani in questo secolo, dagli anni Venti con la maiuscola e tanto nero a questi anni venti con la minuscola e altrettanto neri?
Quella è la domanda centrale. Che ne è più degli umani? Se l'umanità sembrava ormai pronta, e sembrava coincidere con un progressivo libertarismo, onnicomprensivo, accogliente, tollerante, attento a povertà e diseguaglianze. Quando è caduto il Muro noi avevamo circa 18 anni, e poi? Qualcuno spiegherebbe perché siamo tornati indietro, al peggio del Novecento iniziale? Pare impossibile ritrovarsi oggi circondati da guerre, nazionalismi, odii etnici, religiosi, sdoganando nel contempo di nuovo razzismi vari e supremazie assurde. Le rabbie personali individuali tra l'altro raccontano di una violenza sempre sul punto di esplodere. È lì che si muore, perché muore il concetto stesso di umanità. Del resto, se dell'uomo resta ormai più solo L'Ego, non è di un'umanità compiuta che si può parlare, anzi.

A contraltare (e a mio parere), due delle immagini più commoventi che escono dai testi, ciascuna a modo suo, sono quella che parla di un “tempo santo dell’ingenuità” e poi la “vignetta” dell’esplosione di una bulimica Signora Jones dipendente dalle benzodiazepine. Qualcuno a cui dedicare monumenti, un tempo santo ci sarà, dopo il 2026?
Ma sì, senz'altro, perché poi nel disco a ben vedere ci sono anche delle aperture, dei rilanci più o meno utopici, comunque ideali. La Signora Jones apre e chiude il percorso, e la lunga notte nera che stiamo vivendo non è detto che rimanga l'unico scenario possibile. E pure quando tutto va a rotoli nulla ci impedisce di continuare a costruirli, i nostri monumenti immaginari, anche senza il minimo tornaconto. Dire “nel 2026” è darsi ancora una chance, un altro po' di tempo, pur nella coscienza dell'inferno, e non è mica poco.

Ci sono due preziosi “camei” all’interno del panorama dell’album: traduzione della necessità di una coralità, la partecipazione attiva di Marco Paolini e Pierpaolo Capovilla?
Sì, è così. È bello e necessario non essere e non sentirsi mai del tutto soli. Fossero rimasti anche solo due fratelli vivi nel mondo, tu chiamali, vai a trovarli, vai ad abbracciarli. Tra l'altro siamo tutti Nordest Cowboys, in questo caso, e tutti impegnati a dare voce a una visione delle cose (non solo del Nordest) non allineata, e attenta alla complessità, lontani dagli slogan e dalla brutalità dilagante. Ci si affratella volentieri, le (poche) volte in cui si può.

La musica nel disco è molto bella, molto vostra, per niente in secondo piano anche a fronte di testi importanti. Sempre una cifra distintiva e caratterizzante per gli Estra, assieme alla tua voce. Il tempo che passa, che strana cosa.
Sì, anche a noi fa un certo effetto. Se pensi che le prime vere nostre canzoni risalgono al 1991. L'uomo coi Tagli è del '93. Ciò che ci lega è una chimica molto forte, nonostante sia capitato anche di non frequentarci per anni. Non avremo mai fatto il verso a noi stessi e mai avremo inciso lo "stesso disco", eppure in tanto sperimentarci restiamo anche riconoscibili, ed è quello che accade a una vera band, di là del tempo, e anche di là dell'età di ciascuno.

Che tipo di pubblico avete trovato/ritrovato nei nuovi concerti? I giovani ci sono?
Quello dei giovani sarebbe un vero lungo argomento, e non a caso il disco si apre col ritratto una diciottenne di oggi (Fluida Lol) comunque al momento ritroviamo più che altro chi è cresciuto con noi, inevitabile. E non son mica pochi. Poi vedremo: Bologna, Firenze, Torino, Milano… forse le grandi piazze ci regaleranno qualche sorpresa, chissà.

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