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Laura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it
Modalità lettura 3 - n.21
La recensione del romanzo di Serena Bortone, presentato a Resistere 2024. A margine, l'intervista all'autrice
Pubblicato il 30-06-2024
Visto 3.938 volte
L’ultimo numero in questa stagione 2023/24 della nostra rubrica dedicata alla lettura, che riprenderà a settembre, è dedicato a un libro presentato a Resistere.
Protagonista dell’incontro inaugurale della rassegna offerta alla città dalla Libreria Palazzo Roberti, la giornalista, conduttrice e autrice televisiva Serena Bortone, intervistata da Silvia Nucini, ha presentato il suo primo romanzo, che porta il titolo: A te vicino così dolce (Rizzoli Editore 2024, pagine 304, euro 18,50).
A questo link, la nostra presentazione dell’incontro: shorturl.at/mqBkX.
Serena Bortone al Castello degli Ezzelini
Nel libro, Bortone attraversa diversi temi: c’è quello dell’adolescenza, collegato alle dinamiche spesso disturbanti della crescita, un periodo in cui si vive tutto ampliato, anche i dettagli quotidiani più insignificanti, e ore e giorni conoscono l’intensità degli innamorati; c’è il tema dell’amicizia tra persone giovani, che ha un portato molto diverso rispetto alle relazioni nate in età adulta; ci sono gli anni 80, con la loro musica, i loro personaggi, gli oggetti-simbolo che forse non proprio “Saranno famosi”, ma di sicuro sono rimasti ben impressi nella memoria di chi ha vissuto da ragazzo quel decennio o giù di lì; c’è poi tra le pagine, certo non a lato, il tema della transessualità, posto accanto a quello dell’autolesionismo. Questi ultimi, con le loro problematiche, sono raccontati con accortezza e insieme con semplicità dall’autrice, che ha voluto rendere omaggio nel suo racconto fluente, generoso, a una persona realmente conosciuta che le ha vissute sulla propria pelle.
Serena e Vittoria, Vittoria e Paolo, Serena e Paolo: ruotano intorno a questi tre ragazzi le vicende narrate in una sorta di diario commentato che fa rivivere un passato recente, riportato alla luce da ricordi rimasti sempre vividi e accesi, ma che nel contempo intende anche puntare i riflettori su tematiche d’attualità imprescindibili, data l’aria che tira non proprio inneggiante a ideali di “giusta società”, come ha affermato dal palco anche l’autrice.
Una danza sfrenata tra i ruoli di vittime e carnefici, quella che “si balla da soli” in gioventù, al centro un corpo che tante volte pur se bellissimo non piace e intorno atmosfere da favola, non prive quindi di una certa spietatezza, che invitano alla scoperta e alla fuga.
Della scoperta fa parte anche la consapevolezza che le differenze “di classe” incidono sulla realtà (Serena scopre che i ragazzi della Roma “bene” vivono solo in apparenza la stessa quotidianità dei ragazzi di periferia); tra le fughe per finta che concedevano con un filo di vigliaccheria i genitori — lontano dagli occhi… — i giovani sperimentavano con un’ignoranza invidiabile, genuina, le strade del sesso e i territori da trasgressione più o meno sconfinati che li incuriosivano — negli anni 80 quelli erano, poco filtrati da schermi e per nulla instagrammabili (fortunosamente e fortunatamente).
L’incontro con Paolo, che fu Paola, parla di amicizia e di tradimento, “di quanto siamo disposti a farci ingannare dall’amore”, recita la quarta di copertina. Il titolo stesso, preso da un verso di Saffo, è una risposta.
Serena Bortone ha citato tra gli altri Bret Easton Ellis, Truman Capote e Simone de Beauvoir nel corso della presentazione, riferimenti importanti non solo per la scrittura ma per la maestria con cui hanno trattato tra gli altri il tema del disagio esistenziale nei loro libri. Fanno la loro comparsa nel romanzo in molte occasioni passi che fanno riferimento alla psicologia e alla psicoanalisi, visti come ripari che affiancano per anni, interlocutori dialoganti. Accoglienza e accettazione non sono sempre riferibili all’altro, come sembrerebbe dire il linguaggio comune, sempre più monco e stereotipato, prima di essere attribuibili altrove devono obbligatoriamente essere riferibili a sé.
Serena, la dedica stessa dell’autrice oggi cinquantenne, indirizzata alla madre, recita nel finale “… e quella che sono, finalmente, comincia a piacermi abbastanza”.
La nostra breve intervista:
“Tutti salvi per amore” sicuramente no, nel suo romanzo. L’amore a volte non basta, o a volte è causa di tanto dolore.
Bisogna capire cosa si intende per salvezza. Io credo che la vita stessa sia la nostra salvezza: la capacità di andare avanti, di essere se stessi, di perdonarsi e perdonare, di essere consapevoli che anche il dolore fa parte della vita e ci rende le persone che siamo. Se si parte da questo, l’amore non è mai invano.
Ci sono tanti temi nel libro riguardanti le dinamiche della crescita e le problematiche connesse a un’immagine di sé non prestante, ma ci sono anche tanti cenni a contesti economici e sociali diversi.
Ho voluto raccontare la stagione dell’adolescenza in un ambiente borghese e classista, che rendeva, negli anni 80, ancora più complesso il delicato passaggio all’età adulta. È una stagione che rappresenta un incanto perduto: siamo stati qualcosa che non saremo mai più, e anche se ci consolidiamo e siamo poi più forti e felici, quell’incanto non torna e merita di essere raccontato.
Il protagonista vero del romanzo è Paolo. Siamo nell’ambito di un romanzo, ma la storia che mette in luce ha molti risvolti di attualità, in un momento storico in cui certe tematiche sono travisate e strumentalizzate.
Amore, sessualità, identità di genere sono argomenti, o meglio è la vita delle persone, oggetto di grande dibattito ancora oggi. Vedere come venivano affrontate 40 anni fa ci può far valutare meglio i passi avanti compiuti, e gli errori che non dovremmo più rifare.
Nel capitolo che porta il titolo “Mind the Gap” si parla di paura del vuoto (riguardo alla memoria in particolare) e di un amore particolare per le fotografie che raccontano delle storie: il romanzo rappresenta per lei una sorta di autoscatto?
Gran parte delle insicurezze e introspezioni spesso cervellotiche della Serena del romanzo appartengono alla Serena adolescente. La scrittura è sempre terapeutica: lo è stata per me, lo è per il lettore che in alcuni brani si riconosce. Una specie di autocoscienza collettiva che mi sta restituendo grandi soddisfazioni: per me la cosa più importante della vita è cercare di essere utili agli altri. Spero che A te vicino così dolce lo sia sempre di più per i lettori.
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