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Brassaï. L’occhio di Parigi

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Scrittori

Modalità lettura 3 - n.14

Nella fucina di parole di Chandra Livia Candiani, con Alessandra Caron

Pubblicato il 21-04-2024
Visto 4.965 volte

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Modalità lettura questa domenica parla di poesia: ascolta e indaga la voce di Chandra Livia Candiani attraverso le parole di Alessandra Caron, che ringraziamo.

Individuare un video su YouTube, percepirne sonorità e dettagli ancor prima di approfondire il contenuto: una voce narrante rivoluzionaria nella pacatezza e nei silenzi, sguardi e sorrisi rivolti a sé e agli altri, una melodia di sottofondo in armonia con immagini rilassate e rilassanti. Il video s’intitola “La precisione della poesia”. La poetessa è Chandra Livia Candiani.

Chandra Livia Candiani

Nel 2015, a San Vito di Cadore (Belluno), le è stato chiesto di raccontare alcune parole legate alle sue poesie. Ne è nato un vocabolario di emozioni e concetti, diventato poi occasione per un’attività didattica con studenti adulti di italiano come lingua seconda, che si sono occupati della stesura dei sottotitoli sia in italiano sia in inglese. Parole che non pretendono di convincere, di esprimere una verità assoluta – è manifesto l’atteggiamento di onestà intellettuale della poetessa – bensì un pensiero personale e una soggettiva sensibilità. In parte, per chi ascolta, è la volontà di mettere in pratica il consiglio di un suo verso poetico contenuto nella raccolta “Pane del bosco 2020-2023” (2023, Giulio Einaudi editore, 140 pagine, 12,50 euro): e poi lancia – lanciale lontano le belle parole. Dove per bellezza si può di certo intendere la possibilità della poesia di creare comunicazioni, connessioni, visto che in un’altra intervista della poetessa viene evidenziato che poesia deriva dal greco poiesis, cioè fare, costruire.
La prima parola è morte. Livia Candiani ne dà una sua interpretazione spirituale, insieme al valore aggiunto della vecchiaia dove c’è più attenzione per il percorso piuttosto che per il risultato, con una lentezza che fa ammirare gli innumerevoli microcosmi circostanti.
Le radici di questa poetessa sono russe e italiane e – usando una sua ammissione – “stanno nella follia e stanno nella poesia”. Ne è convinta, le sue radici stanno nelle parole, in particolare quelle che sanno raggiungere l’altro, creare ponti tra io e tu, da qui la riflessione di quanto sia necessario averne cura, accorgendoci che purtroppo nel nostro pianeta sono in via di estinzione.
Commovente è la lettura di alcune poesie create dai bambini nei suoi laboratori di scrittura nelle scuole, bambini spesso migranti; invisibili a cui lei dà voce. Tra tutte: “Sassi, fanno troppo rumore e puoi lanciarli, però puoi fare male e devi stare attento quando li tiri. Come sassi sono le parole”. Testi geniali, come lo sanno essere i pensieri liberi da sovrastrutture, riuniti nel libro “Ma dove sono le parole?” (2015, Effigie editore, 194 pagine, 12 euro). Prosegue con una sua poesia “Io è tanti” – donata con la fermezza docile e gli occhi attenti di chi conosce bene quanto sta affermando e con un affetto pari a quello riservato alle persone care – fino a concludere: io è un abbraccio. La poesia si trova nel libro “La bambina pugile ovvero la precisione dell’amore” (2014, Giulio Einaudi editore, 158 pagine, 13 euro).
D’obbligo è la definizione di poesia verso cui Livia Candiani esprime una religiosa gratitudine, perché la lega alla vita, umilmente affermando che “è una non-specialità, non sapere niente di speciale, non sapere granché, è un immergersi nel non lo so”.
Non poteva mancare il socratico so di non sapere in una scrittrice che ha chiamato un suo testo “Questo immenso non sapere” con sottotitolo “Conversazioni con alberi, animali e il cuore umano” (2021, Giulio Einaudi editore, 159 pagine, 12 euro) dove svela al lettore che esercitare la meraviglia cura il cuore malato che ha potuto esercitare solo la paura. Un libro che, prendendo in prestito l’aggettivo usato dalla poetessa nell’introduzione, è disordinato. Poi, leggendolo si scopre che disordine non significa confusione, bensì libertà e generosità di intuizioni, forse utili anche ad altre vite, al loro parziale riordino interiore.
Quando arriva il momento della parola casa, la definizione è schietta: “tana”, poi aggiunge che “è un posto dove le persone hanno fatto una scelta di non violenza… È dove ci sono persone che sanno comunicare… Dove c’è la possibilità di dormire senza essere troppo in pericolo”, sostenendo che a molti bambini è negato il diritto al sonno perché vivono in climi di violenza.
All’infanzia si riferisce anche quando parla della notte, del modo in cui la percepiscono i bambini rom da lei incontrati nei seminari di scrittura nelle scuole: per loro, come per lei, la notte è “una presenza, non assenza di luce”.
E nella notte c’è la luna, che in India si chiama Chandra. Lei la paragona a “un filo di luce per contemplare meglio e riflettere sul buio profondo che c’è dentro di noi”. Ma, ci tiene a precisare, la luce può essere di vari tipi, è ciò che dà una direzione nello smarrimento: una parola o un viso o un’emozione. Tutto ambisce alla connessione e lei l’ha cercata attraverso la meditazione silenziosa, imparando ad ascoltare, anche con l’aiuto di maestri. Costoro, ammette, vanno accolti nei loro umani limiti di sapere e, con un percorso impegnativo, si può arrivare a essere maestri di noi stessi ammettendo tutte le nostre caratteristiche, anche quelle più scomode.
A seguire – in una geografia di sentimenti – la parola mappa e qui gli occhi di Livia Candiani per un attimo volgono al cielo: “io sono cresciuta senza mappe perché vengo da una famiglia di pazzi, in senso proprio letterale, clinico: la mia mamma era malata di mente e quindi non mi ha dato mappe”.
Questo e altri riferimenti biografici sono stati condivisi con il pubblico in varie interviste presenti su YouTube, con una modalità comunicativa che è sempre ricerca di significati nelle storie, non mera elencazione di cronache.
Infine, una parola che è anche una preziosità, un effetto della narrazione di Livia Candiani: fermarsi. Fermarsi è un’arte umile, una grande arte, lei non ha dubbi, “è intuire quando abbiamo bisogno di camminare verso noi stessi” … Sì, verrebbe da dire, nel momento in cui si ascolta questo video ci si ferma (shorturl.at/fxDQV), è un’occasione per interrogarsi su quanto le esistenze, le storie individuali entrino nelle poesie, anche quando i versi liberi sono inafferrabili con la logica e sembrano distanti dalla concretezza della realtà quotidiana.

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