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Brassaï. L’occhio di Parigi

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Libri

Modalità lettura 3 - n.2

Una recensione del primo libro fresco di stampa del bassanese Mauro Spigarolo

Pubblicato il 17-12-2023
Visto 5.946 volte

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Modalità lettura, la rubrica di Bassanonet dedicata a libri e a autori, si occupa in questa occasione di una produzione locale, ma non per motivi di attenzione dovuta al territorio, piuttosto perché già dalle premesse l’oggetto si presentava interessante e di respiro ampio, di quelli che piace che finiscano in circolazione.

Presentato all’interno del ciclo di appuntamenti AperiLibro, rassegna culturale della Libreria La Bassanese, dodici anni è l’esordio sul palcoscenico della scrittura pubblica del bassanese Mauro Spigarolo, persona nota e impegnata su vari fronti nel panorama artistico e culturale cittadino.

da sx, Michele Meneghetti, Mauro Spigarolo e Marco Bernardi

Il titolo in copertina non è scritto ma trasfigurato in dodici trattini neri che potrebbero rappresentare tacche, feritoie, fori mimati — l’illustrazione è stata realizzata da Francesca De Marchi Olivieri — a testimoniare già dalla facciata che l’arte, con le sue varie declinazioni, è il centro di interesse praticato ed eletto a passione personale dall’autore. Stampato in 200 copie numerate (“e non ce ne saranno altre”, ha affermato Spigarolo) da attiliofraccaroeditore, il libro rappresenta il primo tassello di un’ideale trilogia la cui fucina è già da tempo operativa e sta avviandosi verso la seconda tappa in progettazione.
All’interno della conversazione tenuta lo scorso 6 dicembre in libreria con Michele Meneghetti e Marco Bernardi, in occasione della prima presentazione del libro ancora fresco di stampa, Spigarolo ha spiegato alcuni aspetti formali e non che caratterizzano l’opera, che innanzitutto ha definito “libra”, nelle varie accezioni del termine: dodici anni ha avuto un anno di gestazione a cui è seguito un periodo caldo dedicato a potature e volontarie omissioni; non ha una struttura definita — ha un andamento fluido, acquoso; accoglie con una pagina nera, perché c’è una cifra di oscurità nei contenuti che ospita; non ha numeri di pagina ma i numeri, soprattutto il tre (nel suo essere 2+1, ha precisato l’autore) ricorrono e affermano la loro rilevanza vitale.
Pagine bianche intervallano gli scritti, a dichiarare spazi dedicati al silenzio, “doverosi silenzi, in un’epoca contraddistinta da una sovrabbondanza di parole spesso vuote, dalla pretesa di potere dire tutto”. Spigarolo non vuole essere definito “poeta”, lo dichiara a voce e fra le righe anche nel libro, ma è innegabile che gran parte degli scritti per i quali ha confezionato il debutto in società abbiano un andamento versificato, una forte musicalità, tracce diffuse di sinestesie, una certa teatralità.
A brani lunghi e ricchi, quasi in prosa, si alternano frasi lapidarie, fotogrammi espressi con poche parole. In una foto vera compare una piccolina che trascina al guinzaglio il suo giocattolo, in piazza davanti alla Chiesa di San Francesco. Più avanti, nella zona del trittico, appare una figura di donna nuda, piena di grazia e delizia, che arriva dal Quattrocento, un particolare del capolavoro-racconto di Bosch citato. La quota amoroso-erotica è presente in diversi scritti, marina.
È dedicata “a un certo padre”, questa libra, un padre raccontato con la madre con amore e poesia anche in Novecento mare, lui uomo che studia le mappe per portare d’estate la famiglia in vacanza su una berlina blu che sa della Torpedo profumata di gioventù di Gaber.
Il gioco pregno di rimandi a canzoni, opere d’arte, brani d’autore a cui invita il libro è sottile, forse necessario, comunque divertito. A seguirlo ci si ritrova presto proiettati altrove, ognuno dove vuole, alla Pollicino, seguite traiettorie tracciate o lasciate solo intravvedere. Nel corso della presentazione, accanto a citazioni che dichiarano l’amore dell’autore per la lettura, le opere di grandi scrittori, di artisti celebri (in mezz’ora ha nominato tra gli altri il trittico di Bosch, il monologo di Molly Bloom, i cani di Buñuel, il concetto di tempo di Beckett, tra le pagine fa la sua comparsa Dante…) tutto a dire un sentito omaggio ai padri che uno si sceglie, si è infilata con gusto anche la ricetta armena di una marmellata di rose: l’andamento del libro procede un po’ con questo passo.
Il grado di ricercatezza nella scrittura è alto, tante parole e neologismi creano delle pietre di inciampo che obbligano a sostare, a scendere in profondità. Se da un lato questa scelta a proposito del linguaggio rima con una temporalità negata, spesso retroflessa, e interrompe il flusso della narrazione frammentandolo in dettagli, in particolari aggettivati in maniera lenticolare, dall’altro è dichiarativa di per sé, superflua l’ammissione dell’artefice, di un amore incantato per le parole. Il contemporaneo emerge comunque, in particolare dove l’attenzione è rivolta a oggetti della contemporaneità e in “canzoni” dove ci si balocca con la musica (con gli Afterhours, gli Estra…).
Ultima nota per il locale: fanno capolino ambientazioni-luoghi amici, come la zona di San Giorgio, l’Eremo di San Bovo, ricordi di scuola, ma invero leggendo si va molto altrove e il tasso di riconoscimento di persone, posti e legami di vario tipo con Bassano non è certo la molla adatta per la lettura del libro, che richiede impegno e attenzione. “Non per vanità, non per virtù”, scrive Spigarolo nelle prime pagine, si potrebbe interpretare come una sorta di manifesto delle intenzioni dell’autore, poi l’opera, si sa, si incammina da sola, e va oltre.

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