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Brassaï. L’occhio di Parigi

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Stefania ZilioStefania Zilio
Giornalista
Bassanonet.it

Musica

La proposta indecente a De André. Intervista a Franz Di Cioccio della PFM

La PFM si fa messaggera della poesia di De André il 27 ottobre alle ore 21.00 alla CMP Arena di Bassano del Grappa

Pubblicato il 25-10-2023
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Brassaï. L’occhio di Parigi

Organizzato da DuePunti Eventi in collaborazione con la Città di Bassano la prog band più conosciuta al mondo si prenderà il palco del Palabassano2 venerdì 27 ottobre.
Il concerto “PFM canta De André - Anniversary” celebra il sodalizio con l’amato cantautore genovese a quarantacinque anni dal tour “Fabrizio De André e PFM in concerto”.
Sul palco con la Premiata Forneria Marconi ci saranno tre ospiti speciali: Flavio Premoli (fondatore PFM) con l’inconfondibile magia delle sue tastiere, Michele Ascolese, chitarrista storico di Faber e Luca Zabbini, leader dei Barock Project.

Franz Di Cioccio della PFM


«La nostra tournée è stata il primo esempio di collaborazione tra due modi completamente diversi di concepire e eseguire le canzoni disse Fabrizio De André in un’intervista e aggiunse - Un’esperienza irripetibile perché PFM non era un’accolita di ottimi musicisti riuniti per l’occasione, ma un gruppo con una storia importante, che ha modificato il corso della musica italiana. Ecco, un giorno hanno preso tutto questo e l’hanno messo al mio servizio…».
Curiosi di saperne di più abbiamo fatto una chiacchierata con Franz Di Cioccio, la rockstar italiana per scoprire di più sulla sua band e il tour.

Secondo lei perché la PFM è stata in assoluto il gruppo "Rock progressive" degli anni ‘70 che più è rimasto nella mente della gente e che più è riuscito a prolungare nel tempo il suo successo?
Credo che la risposta stia tutta nel fatto che siamo sempre stati un gruppo coeso. Tra noi non è mai mancato il dialogo, ci sfoghiamo e parliamo tanto. Poi per quanto riguarda la musica, una delle nostre caratteristiche è che non ci ripetiamo. Amiamo mettere il pubblico nella condizione di essere felice, di sentire qualcosa che non ha mai ascoltato prima. Si instaura così un feeling con chi ci viene a sentire ed è uno scambio di energie alla pari. Ci piacciono le cose fatte bene.

Infatti, il vostro pubblico è abituato all’improvvisazione. Entra nel flusso emotivo insieme a voi. Ognuno fa la sua parte e come per magia tutto si amalgama. Che nome gli diamo a questo: talento, esperienza, follia?
Un po’ tutto di questo. Quando raccontiamo una storia lo facciamo perché resti qualcosa dentro ognuno dei presenti.

Dal punto di vista professionale quanto ha arricchito la PFM e quanto hanno influito le esibizioni e le produzioni discografiche fatte in Inghilterra negli anni ‘70?
Il periodo trascorso in Inghilterra è stato grandioso. Volevamo che la nostra musica diventasse importante anche all’estero, non dimenticando però le nostre origini. Abbiamo sempre mantenuto la barra molto dritta e cantavamo in italiano. Il suono della nostra lingua è dolce, non è soggetto a doppi sensi, è fluido. Solo in un secondo momento abbiamo introdotto delle frasi in inglese e questa mescolanza ha suscitato una certa fascinazione.

Tratto dalla rivista Rolling Stone intervista di Fabio Zuffanti
«Stavamo facendo le prove alla Royal Albert Hall per il concerto serale, con i roadie che si lanciavano in gare di corsa e di rutti, quando inaspettatamente entra la Regina Madre. Cazzo, tutti impietriti. Era lì per l’inaugurazione di una scuola di ballo e passando aveva sentito il suono del Moog di Premoli. Affascinata aveva chiesto cosa stesse suonando. Flavio, con fare British, le aveva risposto “It’s Albinoni madame”, visto che in quel momento era alle prese col famoso Adagio».

Parliamo della collaborazione con Fabrizio De André. Vi siete adattati un po' alle esigenze e al carisma del cantautore genovese o siete riusciti a mantenere inalterata la vostra personalità, anche facendo da gruppo di accompagnamento?
Mi dispiace dirle che non ci siamo mai adattati a nessuno. Al tempo dell’incontro con Faber la PFM veniva da un’esperienza mondiale. Avevamo all’attivo tour in America, Giappone, Inghilterra e Spagna, avevamo suonato ovunque. In America era solito che un gruppo già noto e un cantante indipendente suonassero assieme. Per farle un esempio cito Jackson Browne con gli Eagles o Bob Dylan con i The Byrds. Ho pensato che la poesia di Faber potesse essere perfetta per noi. Lui raccontava delle storie nelle quali le persone si immedesimavano, si sentivano coinvolte. È così ho pensato che sarebbe stata perfetta una collaborazione. Sono andato da lui e gli ho fatto “la proposta indecente”. È venuto a vederci ed è rimasto folgorato. Molti gli dissero di lasciar perdere, una band come la nostra era troppo grintosa per lui. De André intuisce invece che il progetto sarebbe stata una bella sfida. Ricordo che Faber mi disse: “Belìn, mi dicono che è pericoloso e allora lo faccio!”. È si farà!”. La musica regala colori e immagini che riflettono ciò che ironicamente spesso il testo non riesce a conciliare. Alla fine, abbiamo dato esclusivamente un suono all'idea di Fabrizio facendo un grande servizio alla musica, mettendo insieme una band efficace e la sua capacità di andare oltre alla canzone normale, creando qualcosa ad hoc per una poesia di cui non si vedono pari.

Quando è passato da batterista puro a "front man" del gruppo, ha sofferto un po' la mancanza del ruolo di batterista e come hai vissuto la condivisione dello strumento con Walter Calloni?
Ho fatto una scelta, ma ho sempre cantato, fin dalla creazione del mio primo gruppo. All’estero non si fanno di questi problemi, i batteristi suonano e cantano. Se lo fanno loro perché non posso farlo io, pensai al tempo. Per rispondere riguardo Calloni le dico che quando abbiamo allargato la band volevamo più strumenti e per Walter forse sono stato come un fratello maggiore. Di sicuro mi sono sentito libero di raccontare storie cantando. I batteristi che hanno suonato con me sanno benissimo come sono fatto. Non ci si stanca mai, ma bisogna sempre essere sul pezzo, si dice così no?

Voci di corridoio dicono che Franz Di Cioccio abbia collaborato negli anni con le reti Mediaset in varie vesti. Ad esempio, pare che sia stata scritta da lei l'iconica sigla del TG5. Ce lo conferma?
È vero, confermo. L’ho vissuta con leggerezza quella esperienza, ci siamo divertiti. Io sono un abruzzese tenace che non si arrende difronte alle sfide. Questa è stata una di quelle piacevoli vinte.

Come ci si sente a essere considerato tra le 100 icone della musica che hanno cambiato il mondo? Cit. della rivista inglese “PROG UK”?
Mi ha fatto molto piacere, non accade molto spesso in Italia di avere questa onorificenza dalla stampa inglese. Ne sono onorato.

Se parlo di rock barocco, romantico, classico e ci metto il blues o l’heavy metal parlo di progressive music?
Progressive music per me significa guardare avanti, rispetto a quello che hai sempre guardato fino a ieri. Non ci sono dei nomi prefissi, la musica è bella perché devi scoprirla giorno per giorno.

Ci vedremo a Bassano il 27 ottobre?
Certo, con piacere.

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