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Brassaï. L’occhio di Parigi

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Brassaï. L’occhio di Parigi

Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it

Incontri

In Italia, amiamo l'amaro

Martedì 12 settembre, avvio degli incontri con l'autore alla Libreria Palazzo Roberti con ospite Massimo Montanari

Pubblicato il 14-09-2023
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Brassaï. L’occhio di Parigi

Martedì 12 settembre, la Libreria Palazzo Roberti ha dato avvio alla rassegna autunnale di incontri con l’autore ospitando Massimo Montanari, uno dei maggiori esperti a livello internazionale di storia dell’alimentazione, la presentazione del suo nuovo libro: Amaro - un gusto italiano.
Edita quest’anno da Laterza, la pubblicazione mette a fuoco con rigore, ma anche con piacevolezza e gusto — è il caso di dirlo — origini, cause e ragioni storiche di un aspetto affascinante della cultura italiana, ovvero una certa predilezione per l’amaro presente in tanti prodotti e ricette che animano la nostra tavola.
Un giro sulla giostra d’antan del Carosello, ricca di storie e ritornelli che per vent'anni hanno raccontato lo sviluppo economico e sociale del Bel Paese, conferma una ricerca più profana dai connotati artistici di parole per dirlo, questo gradimento particolare per le note dell’amaro (molti ricorderanno gli slogan: “amarevolissimevolmente”, “l’amarevole”, fino ad arrivare a “l’amarissimo”). Tolta la gradazione, fanno scuola sul territorio le incursioni tra gusti particolari che arrivano dal passato che periodicamente propongono gli Amici di Merlin Cocai e i menù di certa ristorazione, dove vengono privilegiati nelle rassegne a tema prodotti e pietanze dai tratti amari. A confermare una curiosità costante, da cottura a fuoco lento, verso l’argomento c'è ora anche la sala affollata della libreria.

Massimo Montanari, a Palazzo Roberti

Docente di Storia dell’alimentazione all’Università di Bologna, dove ha fondato il Master europeo intitolato “Storia e cultura dell’alimentazione”, Montanari nel corso dell’incontro ha conversato con Paolo Cazzaro, studioso e ricercatore, commis de partie, a sua volta laureato alla facoltà diretta dal collega, ponendo al centro della discussione storia ed evoluzione di uno dei gusti che hanno esercitato una maggiore attrattiva, e continuano nella contemporaneità ad affascinare, i commensali che si siedono alle tavole sul territorio italiano.
Oggetto di apprezzamenti ben marcati, osservati soprattutto dall’estero se confrontati con altri modelli di gastronomie — è stato ricordato guardando soprattutto ai cugini francesi inventori della nouvelle cuisine — le tracce gustose che cerchiamo in cibi e bevande comuni che hanno alla base erbe selvatiche, radici, prodotti come il radicchio, le cicorie, il carciofo, il cardo, l’asparago e molti altri portatori di note ombrose, sono rivelatrici del rapporto amoroso non del tutto alla luce del sole che intrattiene il nostro popolo con l’amaro.
Si tratta di un gusto controverso e adulto, amato sì, ma anche al contrario odiato da molti spesso per motivi non consapevoli: mancanza di un'abitudine precoce all'assaggio, retaggi di autodifesa collegati a un mondo più selvaggio, o anche per l’accostamento culturale e narrativo legato a tradizioni per lo più letterarie, dove l'amaro è spesso posto in associazione a immagini spiacevoli (vengono subito in mente il fiele che fa comparsa delle favole, tra radici e funghi a pallini rossi; l'associazione al veleno, cianuro e arsenico protagonisti dei Gialli; la medicina rifiutata da Pinocchio, e poi finali amari e virando nel sacro celebri calici mortiferi).
L’amaro è un gusto molto complesso, si è sottolineato nel corso della conversazione, lo confermano gli ampi studi sui recettori specializzati a registrarne presenza e intensità.
È stato l’incontro con un libro, quello di un gastronomo francese appunto, rendez-vous che come succede di sovente ha chiamato a catena immersioni in altri libri, a dare al via alle ricerche di Montanari sulla storia del gusto dell’amaro raccolte nel saggio. Messi da parte gli aspetti legati a scienze come la chimica e la fisiologia, la figura dello storico entra nel vivo dei passaggi evolutivi della gastronomia andando a cercare le radici culturali di un fenomeno, che in questo caso affondano nel rapporto particolarmente permeabile che in certe epoche si concretizzò “davanti ai fornelli” tra pratiche alimentari diffuse nella civiltà rurale e contadina e l’alta cucina delle classi sociali più abbienti. Da non dimenticare che nella differenziazione del gusto, un ruolo determinante fu rivestito dalle spezie.
Montanari ha nominato opere di autori vissuti in secoli lontani e testi di riferimento appartenenti a tempi più recenti che hanno contribuito a costruire nel tempo la cultura dell’alimentazione europea e italiana: una menzione speciale merita Pitagora, il cui “vitto pitagorico”, anche se nato con connotati diversi da quelli oggi diffusi nel mondo occidentale, è antesignano di certe diete a base di vegetali che per gusto o motivi etici oggi pratichiamo.
Una partentesi importante ha toccato il legame stretto tra alimentazione e salute, con le ragioni storiche che hanno accompagnato la nascita dell’amore a tavola per il “verde”.
Parlando di attrattiva sensoriale, i due relatori hanno fatto cenno anche all’importanza che riveste il gusto per il “bel piatto”, parente diretto di tante pratiche eleganti di “impiattamento” di cui fanno arte i grandi chef, ora annacquate in programmi tv e tutorial più o meno d’autore.
Nel corso dell’incontro, che si è rivelato conviviale, interessante e d’arricchimento, hanno fatto la loro comparsa per qualche attimo termini specialistici, come “paradigmi galenici”, prontamente tradotto a favore di profani e cuoche in quadretti da presine a punto croce: si tratta di accostamenti che sentiamo naturalmente perfetti come melone e prosciutto, o formaggio e pere — chissà se asparagi e uova, abbinamento must nel Bassanese virante all’amaro, sta di casa tra questi.

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