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++ Occupato tetto Lettere alla Sapienza, stop tagli e riforma ++
Laura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it
Primo piano
Alla sbarra: Il caso Ezra Pound
Al Teatro Comunale di Thiene, il terzo appuntamento della stagione ha portato in scena lo spettacolo di Leonardo Petrillo con Mariano Rigillo e Maria Teresa Rossini
Pubblicato il 20-01-2023
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Il Teatro Comunale di Thiene, all’interno della 42^ edizione della rassegna di prosa, ha proposto in tre serate, come terzo appuntamento della stagione, lo spettacolo Ezra in gabbia. Il caso Ezra Pound, con interpreti Mariano Rigillo e Maria Teresa Rossini.
Diretti da Leonardo Petrillo, che è anche autore del testo teatrale racchiuso in un libro omonimo edito nel 2018 da La Mongolfiera, gli attori hanno dato voce al pensiero dell’uomo e del poeta, considerato uno dei grandi del Novecento, e ad alcuni passi della sua opera principale, i Cantos, raccontando nei fatti la vita di Pound. In scena, dall’apertura alla chiusura del sipario, è la vicenda della reclusione dell’intellettuale statunitense messo letteralmente in gabbia in condizioni disumane per venticinque giorni a Metato, vicino a Pisa, e poi rinchiuso per quasi tredici anni nel manicomio criminale di St. Elizabeth di Washington, con l’accusa di tradimento, dalla fine del 1945.
In una sorta di lunga dichiarazione spontanea dell’imputato, alla sbarra di fronte ai suoi accusatori ma soprattutto davanti a una giuria popolare, costituita dal pubblico in sala, si rappresenta una sorta di giusto processo, con l’udienza fissata quasi ottant’anni dopo, in cui a favore di Pound testimoniano parole spiegate nelle intenzioni e soprattutto carte scritte di una bellezza innegabile, mirabile, soprattutto nei passi letti in inglese.
Anna Teresa Rossini (foto Pino Le Pera)
La gabbia è in scena fin dai primi istanti, sullo sfondo le immagini di scenari che a tratti si distorcono proiettate a cura di Gianluca Amodio e Enrico Berardi. Vi rimarrà a lungo, a significare non solo le sbarre fisiche che hanno costretto il poeta, ma una gabbia morale che ancora oggi racchiude in parte oltre a lui la sua opera. «Non sono un fascista!» grida il vecchio Pound con la voce di Rigillo, credibile e bravo interprete in un ruolo difficile, che non vuole muovere a compassione ma ridare dignità intellettuale e umana a questa figura così complessa e controversa. Durante gli anni Trenta e Quaranta, anche in trasmissioni radiofoniche realizzate dalla radio italiana, Pound espresse ammirazione, come moltissimi altri che non si ricorda, alcuni nominati in un lungo elenco nello spettacolo, per Mussolini, Hitler, per il britannico Oswald Mosley; lodò altresì la fondazione della Repubblica di Salò, ma tutto — afferma — come emblema di una rinnovata etica finanziaria, del miraggio di uno stato ideale che pareva annullare lo strapotere dell’usura (delle banche), più volte demonizzato come fonte di ogni ingiustizia sociale. Rigillo-Pound spiega, porta prove a suo favore — Pound aveva tanti amici ebrei — e i passi dei Cantos confermano l’intreccio di un pensiero ben più vasto, coltissimo, sconfinato e profetico come lo sono i connotati dell’Imagismo, di cui il poeta fu fondatore. Confucio è nominato più volte come faro in un mare di visioni molto pragmatiche, molto più legate all’economia e agli aspetti finanziari degli apparati statali che alla filosofia, panorami sfaccettati che vorticando nella mente insieme alle parole alate sicuramente hanno contribuito a far travisare, e a sbagliare. «Ho sbagliato», dice più volte il vecchio minato sul palco, e piano piano ammutolisce, come fece il vero Ezra, lasciando “cantare” solo la poesia. Di sicuro non quanto sbaglia chi non abbraccia per intero un’opera come la sua e fa bandiera del suo nome, come afferma da tanti anni la figlia di Pound, Mary.
Alla voce profonda, calda, di Maria Teresa Rossini sono affidati i versi dei Cantos e tra questi dei Canti pisani, che all’interno dell’opera dantesca di Pound vengono a narrare un Inferno senza tempo, la cui architettura è guidata dallo studio, dalla musica delle lingue e dalla memoria. Una lunga dichiarazione di autodifesa, in vero senza contraddittorio, che a distanza di cinquant’anni dalla morte di Pound, esprime tra le righe una condanna verso il sistema giudiziario del Paese che egli tanto amava, e che lo voleva schiacciato dalla pena. Quella di difendersi e dell’ascolto un’opportunità che lì e poi altrove gli è stata negata.
La drammaturgia ha scelto in più parti un taglio didascalico, l’intento è quello di presentare sotto molti aspetti e con dovizia di richiami al suo tempo e alle vicende trascorse la vita di Pound, raccontate a viva voce in due ore di spettacolo. Forse qualche parte dal taglio biografico potrebbe essere asciugata, lasciando allo spettatore curioso l’opportunità di approfondire, con fiducia nella luce che irradia da sola la poesia.
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