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Laura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it
Intervista a Francesca Mascotto
Sguardi e meraviglie dei suoi "Tesori Antropologici"
Pubblicato il 10-02-2009
Visto 3.535 volte
La sua mission nello svelare al mondo questi tesori
Le fotografie che propongo nei miei libri e nelle presentazioni testimoniano la volontà di documentare la ricchezza e la preziosità dell’umanità, dei suoi “tesori”. Gli scatti contenuti nel volume parlano di contemporaneità, di coesistenza di tempi diversi in luoghi vicini e lontani. Vorrei che la comunicazione estetica divenisse uno strumento etico. L’immagine in dissolvenza sulla copertina del libro ha per me il valore di un urlo: questi popoli, questa parte di umanità sta scomparendo in fretta, spazzata via dal fragore della nostra civiltà.
F. Mascotto tra gli Yali in Irian Jaya (N.Guinea Ind.)
Lei non si considera una fotoreporter, ha affermato.
Cerca qualcosa. La bellezza? La “Storia” delle storie?
La fotografia è l’occasione di un incontro. Cerco di cogliere l'essenzialità dei mondi con cui entro in contatto, di dare risalto alla bellezza della vita attraverso i personaggi, gli ambienti, i colori, gli oggetti che ci propone. Amo fermare nei ritratti i vari volti della vita, la storia dell’uomo, le scrupolose geometrie di rapporto tra i gruppi, la magia dei rituali. L’obbiettivo fotografico consente di indagare l'uomo e la sua spiritualità, di conservare nel tempo un incontro di sguardi che è un incontro di anime.
Come affronta i suoi viaggi? Sono viaggi nel tempo oltre che nello spazio
Chi guarda le mie immagini non riesce spesso a leggervi sullo sfondo il sacrificio, i disagi, le difficoltà che possono celarsi dietro uno scatto. Il “dietro le quinte” delle foto in viaggio comporta sopportazione e fatica: il caldo, gli insetti, il tempo trascorso in ginocchio su foglie di banano in ore di attesa, gli scivoloni nel fango, il timore di incontrare situazioni che vadano oltre il limite... Mi metto in cammino con l’animo predisposto al viaggio. Il turismo è un'altra cosa. Non metto mai date alle mie fotografie. Sono memorie d’attimi, d’istante, non do loro un valore cronologico ma un senso d’esistere proprio.
L’incontro con “l’altro da sé” è un viaggio senza fine, ma ci sono tappe intermedie? Le ha fermate nella sua memoria oltre che negli scatti?
Molti mi domandano se ho preferito viaggiare in Africa o in Asia. E’difficile dare una risposta. Se si volesse pensare ad una sintesi impossibile, anche solo dai punti di vista geografico e antropologico, si potrebbe dire che in Africa l’incontro con l’uomo è quasi sempre contatto col gruppo, con la parte sociale del vivere umano, invece in Asia si ha più la percezione di porsi in relazione con l’individualità, ed è fortissima la spiritualità che permea i luoghi.
L’enigma dei volti. Uno sguardo fotografico può rivelare... l’anima?
L’incontro con uno sguardo mette in relazione due anime. E’ un contatto emozionante con l’altro da sé che cerco di fermare con la fotografia. Amo molto il ritratto. Cerco sguardi che contengano in sé tracce del passato, memorie perdute e preziose che a fatica si coniugano al presente.
Le sue fotografie raccontano i “Tesori antropologici” attraverso il colore. Il bianco e nero è una tecnica che assomiglia di più alla scrittura. La utilizza nei suoi ritratti?
Utilizzo talvolta la tecnica del bianco e nero, ma in questi scatti il ruolo del colore è fondamentale. Le tinte utilizzate nelle cerimonie per gli ornamenti, i vestiti, le maschere, hanno tutte un significato preciso, sono espressione di un linguaggio del colore. Gli stessi bianco e nero hanno un valore sacro, spesso opposto in diverse civiltà.
Il tema della maschera. Quei bellissimi uomini a colori che diventano insetto, fiore, sono espressività allo stato puro. Anche noi tutti i giorni indossiamo delle maschere
Sì, e spesso le nostre maschere, soprattutto quelle dell’età adulta, sono indossate per celare, più raramente per esprimere, per comunicare.
Ha ritratto molti volti, tante persone. Da biologa riesce a leggere nelle immagini una sceneggiatura in questo “agitarsi della vita”, come l’ha definito il Prof. G. Pegoraro?
Ogni sguardo riflette la vita quotidiana percorsa da interrogativi profondi, tutto attraverso gli occhi svela una ricchezza interiore, un bisogno, una sofferenza, ma per poterli interpretare bisognerebbe avere la capacità di una forte empatia, gli occhi vivono il mistero, riflettono gesti rituali attraverso scene rituali, ma spesso è impossibile cogliere il significato. “Non pensare, guarda”, scrive il filosofo Ludwig Wittgenstein, “capire è più uno stato intellettivo che un processo mentale e il comprendere è connesso con il guardare e il vedere”. Sono entrata in situazioni dall’interno, dove entrare significa individuare una coerenza dove sembra regnare l’irrazionalità, cercando di capire la cultura, non studiarne la natura come fosse diversa dalle altre, rompendo così la cornice di esotismo.
Il Prof. G. Giolo ha ricordato che è stata la prima occidentale a documentare la cerimonia del TIJI in Mustang, che ha assistito a rituali vudù, che ha incontrato popoli antropofagi: quali scatti ritornano nei suoi sogni e quali nei suoi incubi?
L’esperienza di essere stata la prima occidentale a entrare nel Mustang e il contatto a volte faticoso che ho avuto con le popolazioni antropofaghe sono momenti che ormai fanno parte del mio quotidiano, sebbene collocati agli albori della storia, perchè oggetti della mia memoria in un eterno presente, quasi mi riflettessi in uno specchio sorretto da mani invisibili contemplandovi le infinite differenze. Gli sguardi sono testimonianza di un attimo che rimane, il sogno di un nuovo incontro, ma non sono forse i sogni l’infinita ombra del vero?
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