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Laura VicenziLaura Vicenzi
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Modalità lettura - n.6

Materia e antimateria di un romanzo: Le particelle elementari, di Michel Houellebecq. Una recensione di Jasminka Grendele

Pubblicato il 19-03-2017
Visto 1.887 volte

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Qui di seguito, una recensione del libro Le particelle elementari, di Michel Houellebecq (Bompiani, pp. 337, euro 13), inviataci per "Modalità lettura" da Jasminka Grendele, conduttrice del Gruppo di Lettura della biblioteca civica di Bassano. La ringraziamo.

«Questo libro è innanzitutto la storia di un uomo, un uomo che passò la maggior parte della propria vita in Europa occidentale nella seconda metà del Ventesimo Secolo. [...]. Visse in un'epoca infelice e travagliata». Lette le righe iniziali, ho pensato subito: cominciamo bene! Senza ironia, beninteso. Le particelle elementari, di Michel Houellebecq, prometteva di essere un romanzo d'idee su un periodo storico che in parte ho vissuto e che proprio per questo trovo difficile da decifrare. A tenere accesa la mia curiosità hanno contribuito i successivi cambi di registro, il tono messianico del prologo che si conclude con una poesia, il titolo della prima parte: "Il regno perduto". Amo i libri scritti pescando a piene mani in generi e linguaggi diversi, dal saggio scientifico al trattato di sociologia e di antropologia, dal resoconto storico alla riflessione filosofica. Il fatto che il protagonista principale, Michel Djerzinski, porti in modo sfacciato il nome dell'autore, mi faceva supporre che al centro del romanzo, complice un ulteriore mix di elementi autobiografici e agiografici, ci fosse proprio la storia di un uomo. Non è così.

dal film Le particelle elementari (2006), tratto dall'omonimo romanzo di M. Houellebecq

Michel, scienziato di fama, e il fratellastro Bruno Clement, poeta e insegnante fallito, entrambi segnati in giovanissima età dall’abbandono della stessa madre, insieme non fanno un uomo. Nel corso del romanzo, Michel abdica a qualsiasi forma di sensibilità e Bruno al piacere fisico, dopo averlo inseguito a lungo e invano. Entrambi i fratelli assistono alla morte (essendone i responsabili non materiali) di tutte le donne della loro vita: le nonne da cui sono stati allevati, Annabelle e Christiane, specchio l’una dell’altra e ambedue dei rispettivi uomini, e finalmente la madre. Rimane la vicenda narrata.
Continuo a leggere, e provo la sensazione spiacevole che Houellebecq abbia allestito per me una sala operatoria asettica, munita di apparecchiature d'avanguardia, e che dopo avermi introdotto in essa mi porga uno alla volta, prelevandoli da un vassoio d'acciaio, strumenti chirurgici affilatissimi con i quali, guidata da lui, dovrei incidere un pezzo di storia d'Occidente, asportandone il tumore. Una parola! Le pagine si susseguono, notificando con il linguaggio impersonale dei bollettini medici alcuni sviluppi scabrosi della situazione clinica del “paziente”, la necrosi che interessa certi tessuti del suo organismo, i pus che fuoriescono dagli orifizi meno in vista.
Ci sono aspetti anche crudi dell’anatomopatologia che si prestano a interpretazioni umoristiche, se osservati con un certo distacco. Qui il distacco non fa che accrescere il senso di estraneità. Le sorti dell’Occidente, la sua interminabile agonia, non destano alcuna commozione in me. Tanta cupezza mortifera è insostenibile. Non mi interessa più sapere come se la passa Michel, che strada a senso unico imboccherà il povero Bruno, cosa ne sarà degli uomini e delle donne del Duemila, artefici della stasi politica che colpisce soprattutto le loro zone erogene: desidero uscire da questo libro al più presto. Mi auto-espello dal romanzo.
Chissà se Houellebecq avrà goduto del successo di questa sua opera prima e delle polemiche che l’hanno accompagnato e, almeno in parte, determinato. Mi chiedo: possono esistere romanzi scritti a bella posta per espellere chi li legge? In altre parole: l'indifferenza verso le umane sorti è un sentimento che il romanzo comunica a tutti i suoi lettori oppure a me soltanto? In quella sala operatoria immaginaria dove giace, con le pudenda oscenamente scoperte, il corpo tagliuzzato della civiltà occidentale, i monitor non registrano più alcuna attività cerebrale. Il battito che ho creduto di sentire è un simulacro di vita; forse non è che l’eco dei tasti della macchina da scrivere rabbiosamente percossi da Houellebecq.
Impassibile, stacco la spina. E a mo' di amaro epitaffio espongo un cartello, "Questo libro è dedicato all'uomo", la frase con cui l’autore sigilla il romanzo e la storia del Ventesimo Secolo. E le particelle elementari? Ah, questa è un'altra storia…

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