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Venezia, il pellegrinaggio alla Madonna della Salute
Laura Vicenzi
Giornalista
Bassanonet.it
Primo piano
Modalità lettura - n.2
Oltre la siepe il nulla, o l'infinito. In viaggio con Giorgio Vasta
Pubblicato il 19-02-2017
Visto 1.728 volte
Absolutely Nothing. Storie e sparizioni nei deserti americani (Humboldt-Quodlibet, pp. 296, euro 22,50) è il nuovo libro di Giorgio Vasta, narratore e protagonista in prima persona, con il fotografo Ramak Fazel e Silva (Giovanna Silva, fotografa ed editrice della collana Humboldt Quodlibet) di un viaggio intrapreso nel 2013 tra Los Angeles e la Louisiana.
Nella seconda di copertina – la quarta è occupata da uno scatto di Fezel che immortala una veduta dal Trotter Park (Phoenix-Arizona) – l’incipit del testo che anticipa trama e argomento del libro recita: «Cosa resta di un viaggio nei deserti americani?». E se si sente echeggiare il celebre: «Che resta di tutto il dolore che abbiamo creduto di soffrire da giovani?», di Aldo Busi, si tratta di sicuro di un’interferenza da lettore, ma non è del tutto un caso.
Che il tempo del viaggio occupi in realtà due settimane, dal primo al quindici ottobre, è un dettaglio che può interessare a chi desideri seguirne col polpastrello le impronte sulla cartina a quattro facciate, in fondo al volume, facendo del libro una guida documentata e aggiornata da scaffale. Vale per chi si accinga a pedinare questo pellegrinaggio a tema di ottomila chilometri negli Stati Uniti, sosta per sosta, nello spazio fisico, geografico, fatto di coordinate e traiettorie puntuali, che ha intrapreso: partendo da Los Angeles, il territorio che nei primi del ‘900 ospitava l’insediamento della comune utopica di Llano del Rio la prima tappa – inevasa – il Johnson Space Centre della Nasa a Houston l’ultima; nel mezzo apparizioni e spettri di uomini, luoghi e città che ancora “sono”, e che hanno molto da raccontare. Ma se l’itinerario si snoda seguendo l’incanto delle indicazioni di un cartello giallo, che reca scritto Absolutely nothing – next 22 miles, le categorie troppo umane di tempo e spazio diventano inutilizzabili, fossili, “da alienare”.
La narrazione per capitoli si sparpaglia seguendo il filo della memoria riallacciata a posteriori, dove «il tempo si rompe, la linearità si perde, il ricordo si mescola all’oblio, la ricostruzione all’invenzione, il prima e il dopo si fanno relativi…».
L’io narrante rovista intorno, in questa patria dello spaesamento, come un gatto delle macerie pieno di sete, annullando le frontiere tra la finzione e il suo contrario, giocando agli “stati uniti” – perché è quello che conta, cercare di stare unito, quando le connessioni sono cadute, i segnali tacciono e ci si aggira da ovest a est nello stato dell’abbandono. A quell’indirizzo, cose, animali e persone perdono i loro ancoraggi (atterrano gli Ufo, si avverte il digrignare i denti della famiglia antropofaga, si dialoga con Spike – il fratello di Snoopy), e sul fondo del buco nero appare la sagoma lucente di una sparizione: You are not forgotten! si vorrebbe poter urlare con Vasta dal Desert Centre, «dove svanisce la differenza tra ciò che è accaduto e ciò che non è accaduto». I deserti, al plurale, diventano la giusta premonizione, il giusto teatro dell’assenza, del vuoto.
Ma occorre cercare un linguaggio speciale per tradurre questa percezione cercata lontano, in uno di quei viaggi al termine della notte che vedono compenetrarsi, sempre inaspettatamente, in un accoppiamento a tradimento, dolore e sollievo. E allora, il libro si divide in due parti che si compenetrano (il reportage del viaggio e poi il suo racconto, perché «c’è ancora altro da far accadere, ancora altra esistenza da dare a ciò che non è mai accaduto»); ci sono molte incursioni dello scrittore provenienti dal presente (dal 2015), diaristiche, digressive, lunari, dialogate; c’è la “Corneal Abrasion”, così è titolata la raccolta di fotografie-documento di Pamak Fazel inserita nel volume; e poi, generose, tante citazioni tratte da libri, film, canzoni, dal mondo dei fumetti, che accompagnano in questo viaggio e appaesano il lettore.
È interessante che l’architettura del libro risulti metamorfica, magmatica, che denunci dei cambiamenti di rotta: il presente incombe, coi suoi deserti, e accende miraggi che modificano il viaggio che è stato, che lo contaminano rendendolo contemporaneo, mai un pretesto.
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