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Laura VicenziLaura Vicenzi
Giornalista
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L'opera-mondo del Veronese

Presentato da Luca Scarlini, al Chiostro del Museo, l'ultimo appuntamento di questa stagione di Operaestate dedicato a Ekfrasis-storie dell'arte

Pubblicato il 19-08-2014
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La terza e ultima puntata di Ekfrasis-storie dell’arte, il progetto che mette in dialogo musica, arte e parola promosso da Operaestate Festival, ha fatto tappa ieri nel Chiostro del Museo civico, dove Luca Scarlini, accompagnato dal duo Armoniantica, ha proposto “Intorno alle nozze di Cana del Veronese”.
L’opera – “un’opera-mondo”, l’ha definita Scarlini mutuando il termine dalla letteratura –, assieme ad altri capolavori, è il prodotto di un’epoca densa di cambiamenti, di affossamenti e di rinascita, contraddistinta dagli effetti di eventi fondamentali come il Concilio di Trento; un tempo “liquido” che ha segnato uno spartiacque nel mondo delle arti (la pittura, la scultura, il teatro, la musica) – e non solo.
Paolo Caliari (1528-1588), l’artista veronese figlio di uno “spezzaprede” (uno scalpellino), il creatore del dipinto oggetto e guida della narrazione di Scarlini, rivoluzionò la pittura devota proponendo un modo nuovo di rappresentare la spiritualità con le sue celeberrime “Cene”, opere di grandi dimensioni oggetto di committenza destinate a ornare refettori, chiese e conventi, in cui l’artista ha fuso i modelli del passato con elementi della sua contemporaneità. Quest’opera appartiene alla Francia dai tempi di Napoleone Bonaparte, ed è ospitata al Louvre; ne esiste un’altra versione che si trova a Dresda. Con innumerevoli altre, essa costituisce un emblema della questione dell’alienazione, più o meno forzata, delle opere dai luoghi dove vengono concepite e create.

l'opera del Veronese al Louvre (foto L. Vicenzi)

Nella rappresentazione, che ha un assetto teatrale – anche per l’impianto prospettico che anticipa la scenografia d’opera ricco di architetture palladiane – addirittura cinematografico, si può affermare senza timore di incorrere in anacronismi, soprattutto facendo riferimento all’azione e al movimento dettati dal committente che vi sono stati impressi con maestria da Caliari, si possono osservare, nel sovraffollamento attorno alla figura di un Cristo di matrice bizantina, tra i presenti al banchetto, oltre agli Apostoli, anche numerose celebrità dell’epoca (compresi artisti come Tiziano e Tintoretto), rappresentanti del clero e personaggi appartenenti alla quotidianità veneziana del ‘500, tutti a lungo soggetto di studi accurati anche per le informazioni date di sponda sulla moda dell’epoca.
Si sa tutto, o quasi, delle opere del Veronese, artefice, come Tiziano, di un celebre colore che porta il suo nome – ha ricordato Scarlini – ma la sua vita privata rimane avvolta nel silenzio: ne hanno parlato Giorgio Vasari nelle sue Vite (nell’edizione del 1568 l’ha citato abbinandolo al suo mentore, l’architetto Michele di Sanmicheli, e chiamandolo Paolino); poi oltre a lui gli storici dell’arte Raffaello Borghini e Carlo Ridolfi, quest’ultimo anche col proposito di colmare i vuoti prodotti dal trattato di Vasari nel lasciare memoria dei grandi maestri dell’arte veneta. Veronese – ha ricordato Scarlini – ci ha lasciato come unica traccia della sua “voce” e della sua visione dell’arte quella che emerge dagli atti del processo che gli fu intentato nel 1573 dal tribunale dell’Inquisizione tanto refrattario ai miracoli dell’illusionismo realizzati nella sua “Cena in casa di Levi”, opera che poi fu costretto a modificare cambiandone anche il titolo in “Convito in casa di Levi”. La tela è custodita alle Gallerie dell’Accademia di Venezia e in questi giorni è ospitata con altre cento opere, tra dipinti e disegni, alla mostra di Verona dedicata all’artista, esposizione che ha preso il testimone da quella della National Gallery di Londra.
La musica che ha accompagnato la narrazione, grazie alle esecuzioni di Arrigo Pierobon al flauto e Carlo Rossi al cembalo di sonate di Dario Castello, Biagio Marini, Giovanni Battista Fontana, ha evocato con freschezza la volontà di compositori e strumentisti di cercare di rappresentare con il loro linguaggio l'epoca effervescente in cui vivevano e in cui ha operato il Veronese – e il suono delle campane della vicina Chiesa di San Francesco è intervenuto anche qui, a distanza di quattro secoli, generando un breve intervallo durante la performance, a silenziare tanta giocosità dell’ingegno umano.
Applausi, per “l’ascolto” inedito di tanti capolavori.

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